Sembra assodato che fin dai primi anni Cinquanta dell’Ottocento il vallemossese Giovanni Cartotto si sia dedicato alla costruzione di macchine, ma è più probabile che si trattasse di un “riparatore” e non di un vero e proprio produttore, almeno all’inizio. E, soprattutto, non è chiaro quali parti dei macchinari e con quali materiali operasse. Dal 1853 era attiva l’officina di Giovanni Cartotto cui si affiancò il figlio Lorenzo (1822-1898). Una decina di anni dopo, Giovanni e Lorenzo potevano contare su 20 operai e la loro produzione riguardava «scardassatrici, filatoi sia a mano (Mulljenny) che automatici (Selfactings), diavolanti [sic], cimatrici, gualchiere, ruote idrauliche ecc.». L’impresa non finì bene, anche perché il meccanico decise di tentare anche l’avventura della filatura cardata senza avere fortuna. Appena prima del 1860, Felice Cartotto (1825-1888), altro figlio di Giovanni, era tornato dall’Argentina dopo esservi emigrato per qualche anno e aveva impiantato uno stabilimento (i cui ruderi ancora si vedono sotto la strada che risale da Vallemosso lungo lo Strona prima di giungere a Pianezze) dove si dedicò a produrre le stesse specialità del padre e del fratello in modo che nelle due edizioni della guida Coiz (1870 e 1873) i dati appaiono identici e, per così dire, sovrapposti. Ma quella indicata nella guida è una situazione evolutasi nell’arco di quattro lustri. Ancora nei primi anni Sessanta la specializzazione dei Cartotto era orientata non tanto alla ghisa bensì al legno (altro componente delle prime macchine tessili, anche di quelle prodotte in serie). In un documento datato 13 giugno 1862 conservato nell’Archivio Storico della Città di Biella, Lorenzo Cartotto è, infatti, indicato come valente artigiano del legno.
(da da Craveia D., Il meccano-tessile biellese dalla Restaurazione al Fascismo, in «Studi e ricerche sull’industria biellese», vol. 3, Bollettino DocBi 2012)