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Piacenza, famiglia
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- Lo sviluppo della crisi economica nel mondo occidentale ha visto la nascita di nuovi mercati. In quelli che erano un tempo i cosiddetti Paesi emergenti sono cresciute grandi ricchezze e una clientela particolarmente attenta all’evoluzione della moda vocata al lusso. In questo scenario si distinguono realtà come Piacenza 1733 che oggi a Biella rappresenta la nuova frontiera del tessile d’alta gamma, e un modello industriale anche per Cina, India, Russia e Brasile.
«Il tessuto è diventato ormai un semilavorato che garantisce un valore aggiunto al pregio della confezione» afferma Carlo Piacenza amministratore delegato della Piacenza 1733, azienda rinomata per il suo cachemire tra i più pregiati al mondo, che quest’anno celebra i 280 anni di storia. «I tessuti più pregiati rappresentano un’attrattiva fondamentale nella scelta che determina l’acquisto di un capo spalla, perché non solo la griffe, ma soprattutto la qualità del tessuto esprime lo status al quale una nuova classe di ricchi emergenti anela».
La dimostrazione è che, per questa clientela, il costo del tessuto non rappresenta mai un problema nell’acquisto del capo spalla. «Noi stiamo vincendo la nostra sfida alla crisi, che ha colpito tutto il tessile, realizzando un prodotto di lusso estremo, destinato alla grande sartoria, alla haute-couture – dice Carlo Piacenza – garantiamo l’esclusiva stagionale sulle varianti e sui disegni a grandi case come Brioni, Zilli, Canali, Corneliani, Balenciaga. Tutte case per le quali l’esasperazione della ricerca sul prodotto è di vitale importanza. Come lo sono la nobiltà delle fibre impiegate, la peculiare tecnica di lavorazione del cachemire, della vicuña, del mohair, dell’angora».
Con i grandi stilisti i Piacenza hanno soddisfatto le richieste più estreme, fino a realizzare tessuti del peso di un chilogrammo al metro quadrato per creare vestiti progettati come sculture. E poi double-face da 250 g con filati di pura seta di titolo 600.000.
Una visione a lungo termine, quella dei Piacenza, che aveva già anticipato l’evoluzione dei mercati, quando nel 1987 decisero di aprire un loro ufficio acquisti in Cina per garantirsi il migliore pelo delle capre del cachemire provenienti da Mongolia e Tibet.
«Le capre mongole vivono ad altezze non troppo elevate, circa 1000 m di quota. Ma la regione è molto fredda e riescono a fornire un duvet finissimo da 14 micron e soprattutto di colore bianco che lo rende ancora più pregiato – spiega l’amministratore delegato – la qualità non è data solo dalla finezza. Importante è anche la lunghezza del pelo che è determinante nella definizione della migliori caratteristiche organolettiche del filato».
Quello dell’attenzione ai dettagli, alla ricerca in nome dell’amore per la natura è un tema che ricorre costantemente nella dinastia dei Piacenza. Mecenati, esploratori, scienziati ma soprattutto e innanzitutto imprenditori i Piacenza rappresentano una saga familiare che partendo da Biella, è riuscita a dettare legge nel lusso del tessile.
Ecco uno dei segreti. Garzano i tessuti con le stesse tecniche elaborate nel Settecento dai loro antenati.
Per estrarre la peluria finissima dalle pezze di stoffa impiegano ancora oggi i fiori del cardo, da cui deriva il logo del Lanificio. E follano i panni (il procedimento con cui si fanno feltrare i fili della trama e dell’ordito) sempre con le acque dell’Oremo, come faceva Francesco Piacenza, fondatore della dinastia nel 1733 a Pollone. Lui aveva creato la sua azienda in questo piccolo centro del biellese, sorto sulle rive di quel torrente che, per la scarsa mineralità delle acque, era ideale nel trattare i tessuti delicati come la vigogna, il cachemire, il mohair e l’alpaca. Francesco fondò la prima manifattura laniera con l’intento di offrire nuove opportunità di lavoro alla popolazione locale.
Giovanni Francesco, suo nipote, diede un forte impulso all’azienda. Con un viaggio di sei giorni in carrozza e nave si recava almeno due volte l’anno in Inghilterra, per aggiudicarsi le lane migliori alle aste di Londra. Lui fu il primo a introdurre in Italia la lavorazione dei tessuti con disegni fantasia. La tessitura, anno dopo anno cresceva d’importanza e così per quasi tre secoli il destino di una famiglia si è fuso con quello di un’industria.
Agli inizi del Novecento, Felice aveva dato all’industria la massima espansione: negli stabilimenti di Pollone e di Torino lavoravano oltre 2 mila operai. La grande depressione del 1929 e una serie di errori di gestione ne decretarono la prima crisi. Poi il crollo. I Piacenza persero proprio tutto, tranne la casa di Pollone. Ma gli anni bui durarono poco e vennero poi quelli della ripresa.
Enzo, figlio di Felice, ottenne dei prestiti, costruì un nuovo edificio, e negli anni tra il 1932 e1940 riuscì a battere sui mercati internazionali la concorrenza dei lanaioli inglesi. Così lasciò in eredità ai figli Giovanni, Riccardo, Guido ed Emilia un’azienda sana, senza debiti, ritornata ai fasti di un tempo.
E non solo. Enzo amava molto la natura contagiato dal padre Felice che aveva creato il parco della Burcina con oltre 2 mila rododendri alti fino a 11 metri, crocus, e narcisi selvatici che crescono tra azalee secolari di rara bellezza. Così in famiglia non poteva mancare chi avrebbe dedicato la sua vita agli studi naturalistici: Guido Piacenza. Appassionato di botanica, Guido ha scritto per riviste autorevoli in materia, è stato presidente per oltre vent’anni del Parco Burcina “Felice Piacenza”, ed ha fondato società botaniche filantropiche come il “Club delle fucsie” e il “Club dei rododendri”. Inoltre negli anni ’70 diede il via ad un mini arboretum dove comparvero per la prima volta piante esotiche come la rosa antica e le begonie. Lo spirito di avventura scorreva invece nel Dna del recentemente scomparso Riccardo Piacenza. Al mestiere di industriale alternava quello dell’aviazione. L’amore per il volo e i grandi orizzonti lo legavano allo zio Guido, fratello di Enzo, pioniere dell’aviazione italiana, per aver battuto con il suo pallone aerostatico, agli inizi del secolo scorso, il record nazionale d’altezza, volando alla quota di 9400 metri. Esplorò il Congo Belga e bonificò l’isola di Giannutri.
Un altro Piacenza, Mario era avvocato in tribunale. Ma preferiva la montagna: sua la prima ascensione del Cervino per la difficile parete del Furggen, aprendo la via che porta il suo nome. Diresse l’esplorazione della catena occidentale dell’Himalaya. Scoprì numerose zone isolate del Drang Drung e scalò i monti Sikkim e Kintchengiunga.
Oggi i Piacenza imprenditori, quelli dell’undicesima generazione, sono i figli di Giovanni e Riccardo che negli anni Ottanta e Novanta hanno dato un grandizzimo impulso all’affermazione del brand Piacenza 1733 in Italia e nel mondo.
Il testimone, da tempo è passato nelle mani dei loro eredi. Carlo Piacenza è l’attuale Amministratore Delegato. Vittorio si occupa dell’amministrazione e della finanza. Enzo è responsabile dell’area commerciale. Da trent’anni lavorano insieme, e il fatturato dell’azienda è oggi di 31 milioni di euro.
Riccardo Piacenza già negli anni Ottanta diceva: “…noi produciamo qualità e non quantità. E la qualità oggi è sempre più richiesta”. L’etichetta rossa con impressa l’effigie del fiore di cardo con l’anno di nascita 1733 spicca nelle fodere delle giacche blu degli uomini più eleganti del mondo. Oggi come allora.
Claudio Gallone
da Made in Biella, luglio 2013