Ente
Lanificio Albino Botto
- Botto Albino e Figli (altra denominazione di autorità)
- Lanificio Albino Botto & Figli (altra denominazione di autorità)
Data: 18981917
Data di fondazione
Dal “Annuario generale della laniera, 1934”
Data di fondazione
Dal “Annuario generale della laniera, 1962”
- Note alle entità collegate
- Il Lanificio di Campore è il soggetto conservatore dell'archivio del cessato Lanificio Albino Botto
- Natura giuridica
- Qualifica:
- Società in accomandita semplice (Dalla “Guida laniera. Guida e indirizzi del Lanificio Italiano”, 1962)
- Luoghi di attività
- Luogo:
- Valle Mosso - località Molingros (Annuario generale della Laniera 1926)
- Luogo:
- Valle Mosso - Stabilimenti in località Molingros e Campore (Annuario generale della Laniera 1934)
- Luogo:
- Milano
- Qualificazione:
- Sede sociale (Dalla “Guida laniera. Guida e indirizzi del Lanificio Italiano”, 1962)
- Indirizzo
- Indirizzo:
- Via Provinciale, 8 13825 Valle Mosso (BI)
- Indirizzo email
- oriana@lanificiocampore.it Referente: Diego Broglia (titolare)
- Telefono/Fax
- Tel. 015.702731
- Storia istituzionale
- Il Lanificio Albino Botto nacque dalla volontà dell'omonimo fondatore nel 1850 circa; l’azienda, comunemente nota come Mulin Gros era lo stabilimento biellese più rinomato e all'avanguardia del primo Novecento; verso gli anni '50 contava quasi 2000 dipendenti, era sicuramente uno tra i lanifici più grandi della valle di Mosso e forse del Biellese. La sua attività si concluse nel 1977 con il fallimento.
"Fino al 1977 era conosciuto come lanificio Albino Botto o Mulin Gros, ma nei ricordi di chi è arrivato dopo è più conosciuto come “Lane Aurelia - Albino Botto” un negozio di stoffe a Strona. Questo esercizio commerciale era conosciuto in tutto il nord Italia, tanto che preparavano i pullman per venire ad acquistare lana e seta. Ora , anche questo luogo è stato abbandonato, come molti altri della zona di Valle Mosso, ma sono sicura che tanti biellesi ricorderanno questo negozio. Molte signore si recavano a comprare i tessuti per poi farsi confezionare abiti su misura dalle sarte. Anche se molto spesso, si trattava di persone che coglievano le occasioni per poi farsi gli abiti da sé, utilizzando le varie cartamodello delle riviste specializzate, coma la tedesca “Burda”.
Anche qui si parte da ricordi personali, in quanto la mia prozia lavorava in questo immenso “palazzo della stoffa”. Non riuscirei a definirlo in modo diverso, perché non solo ai miei occhi di bambina era letteralmente immenso. Mi ricordo che già sulle scale vi era un odore particolare, un misto tra canfora e pellame, che io adoravo, perché quando entravo lì andavo a “lavorare”; o meglio mia zia mi portava in negozio e io ritagliavo scarti di stoffa, che pinzavo su cartoncini di carta. I biellesi, che entravano lì, non possono essersi dimenticati i due immensi scaffali in metallo in cui vi erano posizionati i vari scampoli, tutti ordinatamente divisi in base alla tipologia della stoffa. Vi erano le sete, che provenivano da Como e negli anni ’80, vi erano delle fantasie a dir poco improponibili, diciamo che era veramente il trionfo del Kitch e del consumismo. Poi vi era il cotone e il jersey, ma la parte più pregiate, manco a dirlo, erano le lane.
Era la seconda stanza, quella che ogni volta mi lasciava a bocca aperta: vi erano degli immensi rotoli di cashmere di diversi colori (cammello, blu, bordeaux, verde scuro, grigio e nero), l’alpaca e il principe di Galles e il Tweed. Mi chiedevo se sarebbero mai riusciti a terminare quelle matasse di stoffa, talmente erano grandi. La risposta era ovviamente sì, ma quando si ha quattro anni era lecito chiedersi se è possibile. In questo momento mi rendo conto che l’”Albino Botto” era un piccolo gioiello del biellese.
Mi viene in mente l’inizio dell’autunno e della primavera, quando mia zia era molto indaffarata perché da lì a poco sarebbero arrivate le “signore del pullman”. Quando ne parlava, nel mio immaginario, vedevo queste anziane donne, un po’ robuste, con i capelli tinti di biondo e la pelliccia invadere il negozio, a dimenarsi alla ricerca del pezzo preferito, e andare a lamentarsi in maniera dispotica dalla mia povera zia, perché il tessuto, che avevano adocchiato la stagione precedente, non era più in vendita. Oppure donne di mezza età che arrivavano alle mani per accaparrarsi il loro scampolo di seta, dall’ aspetto Kitsch. La realtà era molto meno tragicomica allora, ma ci fa capire la drammaticità di oggi del nostro biellese.
Fino al 1990 le “signore del pullman” arrivavano non solo dal Piemonte, ma anche dalla Liguria , dalla Lombardia e dal Veneto, per comprare stoffa a Biella. Poi a metà anni’90 l’”Albino Botto” ha chiuso. I locali sono stati acquisiti da una catena di negozi di abbigliamento low cost che vendeva soprabiti, che però ha chiuso senza lode e senza infamia. Ora come ormai molte fabbriche della Valle di Mosso anche qui ci ritroviamo di fronte a un luogo fantasma a uno spettro che ricorda un Biellese che ormai non esiste più e che non si è stati in grado di riconvertire" [fonte newsbiella.it, 18 agosto 2014]
- Funzioni e attività
- Dal “Annuario Generale della Laniera”, 1926: produzione di “ Lanificio al completo per stoffe cardate e pettinate”
Telefono: 27 ( Valle Mosso)
Dal “Annuario Generale della Laniera”, 1934: produzione di “ Lanificio al completo per la produzione di stoffe di lana in genere”
Telegrafo: Molingros; Telefono: 73-27 e 72-25 (Valle Mosso)
Dalla “Guida laniera. Guida e indirizzi del Lanificio Italiano”, 1962. Produzione: “Lavatura, pettinatura, filatura pettinata e cardata, tessitura, rifinizione .Tessuti cardati e pettinati leggeri, di medio peso e pesanti per uomo e per donna”
Titolari: Ernesto, Eligio ed Attilio Botto
Telegrafo: Molingros
Dal “Annuario Generale dell’Industria Tessile” 1962-1963
Sortitura, lavatura della lana, pettinatura, filatura di pettinato, filati da tessitura, tessuti di cardato e di pettinato
- Archivi
- L'archivio del Lanificio Albino Botto (100 metri lineari per un'estensione cronologica compresa tra il 1850 circa e il 1977) si trova presso la ex Albino Botto (Frazione Molin Grosso, 10, Strona) in una delle stanze che originariamente erano adibite a mensa e a spogliatoi dei dipendenti, nel piano semi-interrato di quella che era la sede del lanificio, ora completamente dismessa ed abbandonata, tant'è che il locale che ospita l'archivio è molto polveroso e senza corrente elettrica. L’archivio è custodito (in pessime condizioni) dal Lanificio Campore, non perché sia di sua proprietà, ma perché si trova nei locali che furono della Torello Viera e che la famiglia Broglia aveva acquistato. Le condizioni della documentazione amministrativa e contabile e del campionario sono pessime per quanto riguarda il disordine e la polvere, non c'è però nessuna traccia di umidità. L’archivio è conservato in scatoloni a terra, vi sono, ad esempio libri mastri, libri matricola, quaderni con dati di lavorazione, corrispondenza, fatture, riviste, etichette, bolle, campionari tessuti (senza il nome dell'articolo o annata), ma la documentazione non è censibile dettagliatamente date le condizioni di conservazione (il luogo è buio, sporco e le carte sono molte disordinate; si presume ci siano documenti dall’inizio attività).