Persona
Torello Viera, Giovanni
- Nascita
- Luogo:
- Crocemosso (Valle Mosso, oggi Valdilana)
- Data:
- 9 maggio 1890
- Morte
- Data:
- 21 febbraio 1976
- Attività/mestiere/professione
- Qualifica:
- ricercatore e studioso laniero
- Qualifica:
- allevatore
- Qualifica:
- imprenditore
- Biografia / Storia
- da Tutte le lane del mondo
di Ugo Torello Viera
in "Rivista Biellese", ottobre 2014
La passione per la fibra animale e la razza ovina segnò la vita di Giovanni Torello Viera (1890-1976), studioso e creatore di un museo. Come consulente del Ministero dell’Agricoltura operò in Italia e Albania. La creazione nel Biellese della razza “Perla”
Giovanni Torello Viera nacque a Crocemosso (allora comune) il 9 maggio 1890 in frazione Gallo. Rimasto orfano di madre a soli 9 anni, venne ospitato in un collegio a Varallo Sesia da dove, insofferente alla disciplina dell’istituto, scappò per rientrare a casa. Evidenziò sin dalla giovanissima età una spiccata personalità e indipendenza, proseguendo gli studi che si conclusero a Prato, in Toscana, nell’istituto Buzzi, presso cui conseguì il titolo di perito tessile specializzato in filatura, un indirizzo che a quei tempi non era presente nell’istituto tessile industriale di Biella. A 18 anni prestò servizio militare, arruolandosi nel corpo dei bersaglieri, e nel 1915 fu richiamato alle armi. Essendo munito di patente di guida (cosa non comune allora) fu trasferito nella compagnia Autieri, addetti alla guida di autocarri militari che in tradotta trasportavano i residuati bellici austriaci presso l’arsenale di Marghera. Fu congedato quattro anni dopo.
Tornato nel Biellese, entrò a lavorare con il padre Gaudenzio e il fratello Giacomo nel lanificio da questi costruito sui terreni di loro proprietà ed esercito in società con i cugini Guido, Luigi e Mario Torello Viera. L’opificio era situato nei pressi della stazione delle Ferrovie Elettriche Biellesi ed era dotato di raccordo ferroviario.
Arrivò il 1929, l’anno della grande crisi mondiale; gran parte dei tessuti prodotti dal lanificio era di qualità fine ed era destinato all’esportazione, specie in Ungheria. A causa del mancato pagamento di numerose commesse, nel 1931 si preferì cessare l’attività. Nel frattempo Giovanni si era sposato con Angela Guglierame, figlia del direttore dell’Ufficio del Registro di Biella (nativo di Ponti di Pornassio, in provincia di Imperia), laureatasi nel 1924 in matematica e fisica presso l’Università di Torino. Dal matrimonio nacque il 4 maggio 1931 l’autore di queste righe. La chiusura dell’azienda di famiglia costrinse Giovanni a cercare nuovi sbocchi professionali, entrando in contatto con i fratelli Giovanni, Venanzio, Silvio e Ferdinando Botto Poala, figli di Giuseppe, che in quel periodo avevano acquistato a Romagnano Sesia l’ex cotonificio Bollati per riconvertirlo al settore laniero, con la creazione di una pettinatura di lane sucide. Giovanni (detto familiarmente al Giuanet) si trasferì a Romagnano e, al fine di apprendere l’arte della lana, su consiglio dei Botto Poala si recò in Francia a Roubaix presso il “Peignage Amédée Prouvost”, dove ebbe come maestro C. Moulin Ceril. Apprese, tra l’altro, la classificazione delle lane allo stato greggio in ragione del loro utilizzo finale e come il vello porti con sé i segni delle stagioni in cui si sviluppa. Fece conoscenza con tutte le lane prodotte nei paesi del mondo e se ne innamorò.
In quegli anni manifestò una spiccata passione per i cavalli, seguendo soprattutto concorsi ippici e corse al trotto, discipline in cui l’animale poteva dar saggio di potenza, vigore ed eleganza. Un giorno memorabile, molti anni dopo, fu per lui quello in cui, invitato a Dormelletto presso l’allevamento della razza Dormello Olgiata, poté vedere da vicino il campione di galoppo Ribot, un mito che incarnò per Giovanni il modello del cavallo perfetto.
Nel 1935, completati i lavori di trasformazione, la pettinatura di Romagnano Sesia iniziò la sua attività con l’arrivo dei primi lotti di lane australiane provenienti da Sydney, Melbourne, Geelong. Erano balle di lana aventi un peso di circa 100 kg, pressate, reggiate e recanti il nome dell’allevatore e della farm. Questi dati, raccolti e ordinati, costituirono la base di partenza per i futuri studi di Giovanni. Il primo reparto che dovette allestire fu quello che, in gergo tecnico, viene chiamato “scarto” (triage in francese, sorting room in inglese) e ad esso impiegò inizialmente dieci giovani ragazze, dotate di ottima vista. Il loro numero crebbe successivamente sino a una ventina, ed egli continuò a istruirle con amorevole cura, rendendole partecipi dei suoi studi. Arrivarono lane dal Sud Africa, dal Sud America, dalla Nuova Zelanda, il che rese indispensabile avere contatti diretti con i paesi d’origine. Il dr. Giovanni Schneider e il sig. Dipietra per l’Australia, il sig. Casali per il Sudafrica, i signori Zignone e Cavallo per il Sud America saranno per Giovanni le fonti di precise informazioni nei successivi anni di lavoro e di studio.
L’interesse sempre più preciso e approfondito per la fibra lo portò anche a interrogarsi sull’origine delle razze ovine. Indubbiamente l’Europa, e in modo particolare l’Inghilterra, aveva curato con attenzione la selezione dell’animale. Il patrimonio ovino era da secoli una fonte di ricchezza per gli stati e in tutta Europa nacquero in quegli anni centri per migliorare le razze di riferimento. In Francia sorse quello di Rambouillet, nell’area tedesca quelli del Wüttenberg e della Sassonia; così avvenne anche nella penisola iberica.
Giovanni incominciò a disegnare una carta geografica delle nazioni europee, a cominciare dalla Gran Bretagna, dando così inizio a quelle che sarebbero poi diventate le sue “carte lane”, con l’elenco di tutte le più importanti razze presenti e la loro localizzazione. Venne a conoscenza di numerose razze a lui ignote, quali quelle delle isole Shetland, le black face scozzesi, le lincoln, le leicester, le border leicester, le cheviot, le south down, le dorset e persino quella ritenuta la più antica, la jacob, un animale munito di 4/6 corna e di un mantello pezzato, con macchie rossastre o marroni, che veniva allevato all’interno dei grandi parchi nobiliari per il suo aspetto inconsueto. La particolarità di questa razza fu apprezzata molti anni dopo, quando in occasione di una visita in Italia i delegati della B.W.A. incontrarono ad Agnona il famoso disegnatore Ilorini Mo, capace di sfruttare il vello nei colori greggio, rossiccio e marrone per produrre articoli di fantasia al naturale. Con tali stoffe vennero creati capi di alta moda femminile che vennero usati anche dalla celebre stilista Mila Schön.
Ma già allora lo stato con la maggior popolazione ovina non era più un paese europeo bensì l’Australia, e sull’Australia Giovanni concentrò i suoi studi. Come è noto, all’origine di tutto stava il fatto che una nave inglese con un carico di ergastolani destinati al Nuovissimo Continente aveva imbarcato un certo numero di pecore che, macellate, avrebbero assicurato la carne ai naviganti. Alcune di esse vennero però risparmiate e posate a terra nella Sydney Bay. Le buone condizioni ambientali, la ricchezza di ottimo pascolo e l’estensione delle vaste praterie ne favorirono la riproduzione e l’allevamento. Fu così che gli inglesi presero a inviare nuove greggi, altre razze, in breve concentrando l’attenzione sulla razza merinos di tipo “australiano”.
Sulla storia e le peculiarità dell’allevamento in Australia la bibliografia era ampia, ma essendo in lingua inglese non era facilmente comprensibile da Giovanni; unica in famiglia a conoscere la lingua era la moglie Angela, che di conseguenza divenne sua traduttrice. Ogni sera, dopo aver consumato un frugale pasto, si ponevano al lavoro; lei dava la versione letterale, cui lui affiancava, se era il caso, una spiegazione più tecnica. Solo dopo aver riletto e corretto il lavoro fatto, si ritiravano per la notte. Il mattino successivo, Giovanni si alzava per scrivere in bella copia il lavoro della sera prima. Le sue conoscenze si sviluppavano via via, tanto che la “carta lane” d’Australia dovette essere ridisegnata più volte.
Le sue ricerche proseguirono poi studiando tutti i principali luoghi extraeuropei di provenienza della fibra animale: Sud Africa, Argentina, Uruguay, Nuova Zelanda... Giunto al completamento delle “carte lane”, Giovanni fu contattato dalla casa editrice Paravia di Torino, intenzionata a pubblicarle, ma Giovanni Torello Viera, per eccesso di modestia, rifiutò l’offerta.
Il Museo delle Lane nel Mondo
Nel 1949 Giovanni Torello Viera decise di allestire il “Museo delle Lane nel Mondo” in un locale di circa 50 mq, situato al secondo piano del lanificio Botto Giuseppe e Figli di Romagnano Sesia. Lo spazio, ricavato nel reparto pettinature, era reso molto luminoso da un’ampia vetrata posta sul lato sud. Scelse con molta cura i contenitori che dovevano conservare i campioni e li volle in vetro chiarissimo, di forma quadrata, affinché, accostati, formassero una parete. La chiusura era ermetica con tappo a vite. Alla parete, fissate per tutta la lunghezza, c’erano alcune mensole su cui erano posti i contenitori. Fece realizzare in faesite la forma della nazione da cui il campione esposto proveniva. Tutto il mondo ovino figurava ampiamente e dettagliatamente presentato. All’interno del museo si conservava anche un ariete merino australiano imbalsamato, avuto in dono dal dr. Giovanni Schneider.
Per il miglioramento della razza ovina
Nel 1938 Giovanni Torello Viera venne invitato dall’Unione Industriale Biellese a collaborare con il Ministero dell’Agricoltura nel progetto di valorizzazione delle greggi nazionali. Altri biellesi che offrirono il loro apporto furono Giovanni Botto Poala, Oreste Rivetti ed Ettore Fila. Il Ministero aveva creato due centri di studio per il miglioramento delle razze ovine autoctone: uno nel Lazio a Monterotondo, presso la tenuta Maccarese, e l’altro a Foggia (ovile nazionale). Nel 1939 venne organizzato a Roma il primo congresso nazionale ovino al fine di porre a contatto diretto allevatori e utilizzatori delle lane da loro prodotte. Si decise di immettere nuovi arieti allevati e accuratamente selezionati dai sopra citati ovili. Giovanni Torello Viera visionò le greggi più importanti e suggerì agli allevatori come operare in via pratica.
I rapporti con il prof. Maimone, direttore del Maccarese, e con il prof. Tortorelli, direttore dell’ovile nazionale di Foggia, si fecero via via più stretti e la necessità di ricorrere ad arieti qualificati richiese ai centri ovini un grande impegno. Gli allevamenti furono impiantati a Tormancina, complesso agricolo situato all’interno del Maccarese. Le due razze seguite furono la vissana e la sopravissana, le più allevate nel Centro-Sud Italia. La prossimità con la centrale organizzativa del Ministero fece sì che le migliorie fossero attuate con maggiore facilità e disponibilità di mezzi finanziari. Il Ministero dell’agricoltura vigilò con attenzione, ricorrendo ai giudizi di Giovanni Torello Viera e del prof. Tortorelli prima di conferire premi ai pastori che più si erano impegnati.
Constatato che in Patria si era ben operato, venne deciso che la stessa équipe si recasse in Albania (una delle conquiste italiane) per studiare quali fossero le possibilità per un miglioramento della situazione locale. Da Brindisi il gruppo di esperti giunse in aereo a Tirana per poi arrivare a Durazzo; qui trovarono allevamenti disorganizzati in cui le pecore erano destinate alla produzione di latte e non di lana. Oltre a partecipare alla redazione di una meticolosa relazione sullo stato delle cose, Torello Viera colse l’occasione per localizzare e classificare le razze presenti in Albania.
Il progredire della guerra rese poi impossibile l’attuazione di qualsiasi intervento e con la fine del conflitto fu abbandonata ogni sperimentazione precedentemente condotta in Italia e altrove. La riforma Segni e lo spezzettamento delle grandi proprietà terriere determinò la fine della grande pastorizia nazionale.
La razza “Perla”
Giovanni Torello Viera non dimenticò mai la nostra razza “biellese” e cercò di promuoverne il miglioramento presso i pastori, tutti suoi amici ma talvolta sordi ai suoi consigli.
Era la primavera del 1940 quando, a seguito della dichiarazione di guerra alla Francia, l’aeronautica militare dislocò un gruppo di bimotori da bombardamento su un modesto campo situato a Ghemme nell’alto Novarese. Come poligono di addestramento fu scelto un cascinale in territorio di Rovasenda requisito al proprietario, il dr. Schneider, che lì allevava, non sappiamo per quale ragione, un gruppo di pecore di razza south down. Il dr. Schneider le donò a Torello Viera, che le collocò all’interno della vasta area della pettinatura Botto Giuseppe.
Il nucleo iniziale era costituito da un ariete e sei pecore, ma ben presto nacquero i primi agnellini e si poté dar seguito ad incroci south down biellesi. Giovanni si recò presso i pastori biellesi Seletto e Dazza per acquistare sei giovani pecore di primo parto, perfette sotto ogni aspetto. Dal primo accoppiamento tra un maschio south down e una pecora biellese si ottenne un animale dotato di un vello assai più fine, con struttura corporea più tozza che mal si sarebbe adattata alla transumanza praticata nelle nostre valli. In una seconda fase si presero sei femmine nate dal primo incrocio, mezzo sangue south down e mezzo sangue razza nostrana, e si accoppiarono con ariete biellese opportunamente selezionato dallo sperimentatore. Nacquero animali aventi solo il 25% di sangue south down e il restante biellese; secondo l’ideatore si trattava di un incrocio ottimale. L’animale era più snello mentre il vello manteneva ottime qualità.
La nuova razza fu battezzata “Perla” e forniva anche una carne tenera al palato, benché priva di marcato sapore.
Nel pieno delle guerra Giovanni, che possedeva ormai un nutrito gregge, si pose il problema di come utilizzare le lane prodotte dagli oltre cento capi di razza “Perla”. Bisognava risolvere il problema di come trasformare il prodotto in filato di lana greggia e ciò fu reso possibile dall’utilizzo del vecchio arcolaio. Intanto tutte le cascine iniziarono a far richiesta di ovini “Perla”. Giovanni Torello Viera acconsentì ma a precise condizioni: gli si doveva concedere il diritto di scelta sull’agnellazione femmina o maschio; i maschi sarebbero rimasti di sua proprietà al fine di poterne disporre per il progresso della nuova razza ovina; la tosa degli arieti era appannaggio di chi li aveva in custodia come pure i ricavi di quanto veniva macellato. Spesso erano i figli dei contadini a curare il gregge acquistato, mentre le mamme e le nonne si specializzavano nel filare (alcune con fuso e conocchia) le lane lavate nei ruscelli. Alla fine del conflitto bellico la razza “Perla” poteva contare un centinaio di capi. In commercio iniziarono però ad essere disponibili gomitoli di lane tinte in una ampia gamma di colori e venne meno, di conseguenza, ogni interesse economico per l’allevamento di quella razza.
Abbiamo tracciato in questo modesto scritto un ritratto di Giuanet (così lo chiamavano i suoi vecchi amici di Valle Mosso) per ricordare un uomo integerrimo, modesto, innamorato del suo lavoro; giunto a 75 anni si ritirò in pensione dedicandosi al giardinaggio. La tremenda alluvione del 1968 distrusse tutti i suoi sforzi. Morì il 21 febbraio del 1976, lasciandoci un severo monito: «Abbiate nella vostra vita un fine e ad esso sappiate interamente dedicarvi». È doveroso ricordare quanto la moglie Angela gli fu preziosa collaboratrice ed affettuosa partecipe durante tutta la sua vita. Parecchi furono i suoi allievi, alcuni stranieri, dallo svedese Werner, al turco Nisso Soriano, all’uruguaiano Furet.
Un ringraziamento affettuoso a Marilisa Cugini e Teresa Pivotto per la fattiva collaborazione.