Persona
Baraldo, Primina
- Nascita
- Luogo:
- Candelo (Biella)
- Data:
- 16 luglio 1914
- Attività/mestiere/professione
- Qualifica:
- operaia tessile
- Qualifica:
- addetta preparazione
- Qualifica:
- tessitrice
- Qualifica:
- pinzatrice
- Qualifica:
- sarta
- Biografia / Storia
Se c’era il divorzio...
Primina, Candelo (Biella), 1914.
La mia infanzia non è stata bella perché è morta la mamma che avevo nove anni, quindi sono stata sempre con i miei nonni e con mio padre: gli piaceva molto divertirsi, bere, cantare, andare in giro. Ho sempre sentito la mancanza di una madre perché vedevo tutte le mie compagne di scuola che avevano la mamma e che erano coccolate, e io non l’avevo.... non è che avessi tanto profitto per quanto riguarda la scuola, perché nessuno mi seguiva. Una volta che ho fatto la terza elementare, non ho più voluto andare a scuola. L’ho mollata, a mio discapito naturalmente.
A undici anni, mio padre si è risposato, ha sposato un’altra donna: non era cattiva, mai che mi abbia fatto mancare da mangiare, però lei a lavorare non è mai andata. Aveva portato quattro soldi e mio padre glieli ha finiti tutti. Ah sì, gli piaceva divertirsi, farsela bene nella vita. Non si è mai preoccupato di dire: “La ragazza, cosa le posso dare? Cosa le posso fare? Ho questa figlia: devo darle qualcosa”. No, lui pensava per lui.
Lavorava alla Pettinatura di Vigliano, nelle pinzette1. Prima era capo... in fabbrica c’era una donna e s’intendeva con questa donna, sai com’è. Magari faceva delle sciocchezze e l’hanno licenziato. Rimaneva senza lavoro, dopo di che ha chiesto di andare di notte... di giorno andava in castello2 e beveva e la sera andava a lavorare. Allora si è fatto male, è rimasto a casa.
Intanto io crescevo. Prima sono andata a imparare cucito nel paese... cucivo da sarta. Poi sono andata, fino a diciassette anni, a Biella in un laboratorio. Vedevo le necessità della famiglia, non potevo andare avanti così: sono andata a lavorare nella Filatura di Vigliano, nelle macchine. Non mi piaceva, non mi andava! Abituata in laboratorio...c’era un’educazione nella fabbrica!: “Dove vai oca?”, “Dove vai cretina?”, “Se non dai la resa, ti buttiamo fuori!” Prima del ‘35 è venuta la mòla, ‘na grossa crisi3... fuori! Sempre i libri lì fermi! Non c’era lavoro, ti buttavano fuori per tre o quattro mesi, anche sei.
Quando ero nella Filatura di Vigliano, io ero molto vivace. Malgrado tutti i dispiaceri di casa mia, avevo un carattere allegro, ballavo. Sai, la sera dalle otto alle dieci, ballavo in mezzo a quelle macchinacce. Lì c’erano le convittrici4, mamma mia! Quelle monache - ‘l diav ch’a je pòrta! 5- m’han fatto la forca, m’han detto che io ero il diavolo, che dovevano licenziarmi perché davo scandalo. Ma già!
Viene la guerra d’Africa e allora lì arriva il lavoro. Cominciava la guerra e lì… avanti! Fare grigioverde, ‘sta roba lì... Tutte le hanno chiamate per andare a lavorare… io e un’altra qui di Candelo, niente!
Un bel giorno arriva la lettera di andare a lavorare a Biella, da Rivetti. Lì mi piaceva di più, però in principio mi hanno messo in un lavoro che io non sopportavo: tirare quei grigioverdi, pesanti! Vuole il Signore, diciamo così, che il capo mi prende in buon occhio e mi mette a fare la pinzatrice. Da pinzatrice ho fatto tanti anni. Era un lavoro che mi piaceva, ma anche lì ero vivace, cari i miei signori! Ne combinavo di tutti i colori! Lavoravamo con il Bedaux6 come negre, eravamo trattate come negre! Mi ricordo quando si faceva la marina, indumenti pesanti: eravamo tutte rosse che si spelava tutta la pelle perché era ruvido e bisognava dare la resa! Nessuna ditta del Biellese aveva quel cottimo, solo Rivetti! Nessuna ditta! Noi eravamo come negre, però c’era una cosa: c’era affiatamento nelle donne che si lavorava. Eravamo giovani, si sopportava tutto. Delle risate! No, tu non puoi immaginare quanto si rideva! Però gocciolavamo, neh! Nell’estate 33-34 gradi di calore con quei grigioverdi... dovevamo farne tanti tanti tanti. Puoi immaginare! e poi dovevi prenderli in spalla ‘sti grigioverdi.
C’era la pinzatura in greggio e c’era la pinzatura in fine. La pinzatura in greggio era tutte pezze che venivano fuori dal telaio, gregge, non lavate. Per quello erano più pesanti e rigide, e ti facevano male. Diventavamo tutte rosse qui, perché dovevamo cercare i nodi. Tutto a cottimo, un cottimo bestiale! Facevamo una settimana in greggio e una settimana in fine. In fine, erano tutte pezze lavate. Si lavorava bene perché, pur avendo il cottimo, non facevano più male le braccia e allora lì eravamo sedute. Eravamo anche tante volte in piedi perché c’era il “tribunale”7 che tirava giù le pezze e dovevamo fare in fretta per questo maledetto cottimo, Bedaux non cottimo, veniva dall’America.
Ferie mai, non abbiamo mai fatto le ferie. Arrivava il mese di agosto... “Ah, faremo le ferie! Che bellezza! Una settimana, ragazze!” Arrivava l’ordine che le pezze dovevano andare, una in Cina... e quindi bisognava lavorare. Noi accettavamo perché avevamo tanto bisogno di soldi. Dicevamo: “Ma là, non facciamo le ferie, prendiamo i soldi!”
Il caporeparto era cattivo, ma cattivo! Era quello che ti veniva a prendere il cottimo...Una volta sono venuta rossa8 nel tabellone quindicinale e l’Oreste, il conte Oreste9, mi manda a chiamare:
“Sei venuta rossa perché non hai reso, quindi non sei stata capace a fare il Bedaux. Ti do ancora quindici giorni di tempo e se non riesci a dare questa resa, ti butto fuori!”
“Ah, ma non lo faccia quello, signor Oreste! Io ne ho due da mantenere!”
“La mia fabbrica non è mica una casa di beneficenza!”
Allora mi sono aggiustata io. Prima guardavo di farle bene, poi... zip! zip! avanti! Tiravo giù come un dannato. Non sono più venuta rossa da quella volta. O mangi ‘sta minestra o salti la finestra, sai?
A casa sempre uguale. Mio padre andava sempre a fare le sue ciucche e lei a lavorare non andava. Veniva dalla parte di Vercelli e era, come posso dire?… un po’ ritardata. Non era una donna che legava con nessuno. Era chiusa in se stessa. Non era eccessivamente cattiva, però io ho un carattere esuberante, allegro.
Li ho mantenuti per ventiquattro anni, padre e madre, anche se era la matrigna. Portavo a casa lo stipendio. I soldi mio padre me li prendeva tutti fino all’ultimo centesimo. Io, per poter avere quattro soldi, la sera lavoravo ancora: facevo reggiseni per quelle della fabbrica, alle volte una gonna, alle volte ancora un vestito.
Ho fatto la prima comunione e mi hanno prestato il vestito. La cresima, mi hanno imprestato un altro vestito. La domenica andavo a messa la mattina e mio padre mi insultava sempre. Lui di origine non era piemontese, perché il suo papà era di Modena. La sua mamma era di Verona e aveva un fratello prete. Mi diceva: “Tu vai a messa e loro se ne fregano di te. Vai là e ti raccontano solo storie. Io avevo uno zio prete... l’ha gnanca lassàne ‘n sodìn!10”. Mio padre, siccome aveva avuto la poliomielite, era un po’ zoppo e, per questo, era andato a imparare da sarto. Mi raccontava: “Quando facevo il sarto, andavo sempre a prendere la brace dai preti. Noi ci facevano fare il digiuno e loro avevano i capponi che bollivano nelle pentole... ch’a i mangiavo da sèt ganassi!11”
Non mi invogliava ad andare... sempre mi dava contro. Poi, quando si è fatto male, che ho avuto un fracco di disgrazie, non sono più andata in chiesa. E quando sono entrata a far parte della politica, l’ho abbandonata del tutto.
La domenica andavo a Massazza a trovare gli aviatori, oppure d’estate si andava al Cervo a prendere il sole. La sera si andava a ballare a Candelo che c’era un ballo grosso. Oh, una lotta! Sono sempre scappata! Dietro la cucina, c’era una specie di sala, chiamiamola così. C’era un’inferriata un po’ curva e io passavo di lì. Mio padre lavorava di notte, non voleva che uscissi. Aspettavo che la mia matrigna andasse a dormire e poi, perché la porta cigolava sempre, passavo dall’inferriata. Tagliavo la corda! Le mie amiche avevano più libertà... io me la sono sempre presa, per dritto o per traverso! Mio padre non mi dava mai una lira... per andare al cinema dovevo supplicare che mi desse due lire!
In fabbrica c’erano donne che venivano da tutto il Biellese. C’era chi faceva squadra con una, chi con l’altra. Io ho fatto squadra con quelli di Ponderano. Eravamo esuberanti, puoi immaginare quanto! Io ero sempre fuori con multe in portineria, appiccicate là. Sì, perché ero vivace...
Viene la guerra. Ah lì, i uma tiràje fin ch’i uma vorsü!12 Io che dovevo mantenere padre e matrigna - la chiamavo mamma - non avevo mai ‘na frutta da mangiare. Vedevo le altre che avevano la mela, avevano la pesca, avevano l’arancio, e io mai niente! Non ho mai avuto i soldi per comperare la frutta, come non ho mai avuto i soldi per comperare un panettone a Natale, mai!
Inizia la guerra, allora cosa vuoi, sai?, disperate eravamo, la mia squadra, eravamo disperate. Viene che fanno la guerra alla ... Grecia13, mì sì ch’i sò14, arrivano i legionari. Chi vuole andare fuori a vederli? Noi! Fuori a vederli. Le mani non le abbiamo mai battute, ma bastava ‘ndé fóra col momènt!15 Bisogna inaugurare l’ospedale di Biella, arriva la principessa José. Allora, fuori a vedere la principessa. Due piedi lunghi così! L’arà avù ij pè quarantedüi meraco!16 Ero in prima fila con la mia squadra, lì abbiamo battuto le mani perché era la principessa José. Per me bastava andar fuori quel momento... eravamo lì con il Bedaux che ci soffocava.
In tre siamo andate a reclamare dai sindacati fascisti. Partiamo la sera alle sei, a camminare in fretta in fretta per arrivare. C’ero io, la mia amica di Ponderano, un bel tipo, alta, molto guardata dagli uomini, e un’altra più anziana. Andiamo lì, parliamo... “siamo pagate poco, lavoriamo come negre, e qui e là...”
“Dovete portarci le buste paga! Avete le buste paga?” C’era il nome sopra e noi non gliel’avevamo dato il nome!
“No, no, non le abbiamo!”
“Dovete portarcele e poi noi faremo reclamo”.
Venute fuori: “Può star fresco quello lì che portiamo la busta paga col nome!”
Sapete che cosa hanno fatto questi qui? Vengono in fabbrica per individuarci. Combinazione, io mi trovo proprio dove arrivano questi qui: vedo arrivare il conte Oreste con quelli del sindacato. Ho tagliato subito la corda, ho detto alle altre: “Ragazze! Via via che qui c’è la verifica!” Siamo andate a chiuderci nel gabinetto. Quelli là non ci hanno trovate. Sono andati via con una bella busta e noi siamo rimaste come prima.
Doveva venire il duce, quando ha fatto conte il Rivetti, gli ha dato i soldi... è lì che il Rivetti ha avuto la fornitura delle divise militari... quei poveri cristi che sono andati in Russia con quel grigioverde che invece di essere spesso così era sottile così... noi lo tiravamo e si apriva... trrr...Io avevo detto: “Se quelli che vanno in Russia si mettono questo, muoiono di freddo!” E difatti sono crepati di freddo!
Allora doveva venire il duce... se non ci andavamo, non ci pagava la giornata. Io avevo bisogno della giornata, mi sì ch’am fregava del duce!17... Siamo andati tutti lì ad aspettare quel babacio18... Eravamo dentro la fabbrica, c’erano le transenne. Abbiamo dovuto aspettarlo per ore. Quando è passato, dovevamo sventolare la bandierina... io non ce l’avevo... non so dove era andata a finirmi la bandierina! I miei genitori erano socialisti, mia madre, proprio la mia mamma... avevo trovato in casa dei libricini socialisti, ma non li ho mai letti, mai venuta voglia di leggerli! Avevo altro per la testa... Il duce ha fatto conte il Rivetti e abbiamo dovuto fargli la pergamena.... abbiamo dovuto mettere un tanto a ciascuno... Ci ha dato la medaglia, che poi l’ho data al partito questa medaglia.
Arriva il giorno che dichiarano la guerra, ci mandano fuori e lì c’erano gli altoparlanti. Il duce: “Guerra, guerra, guerra!” “T’ è capì quaicòss ti?”19... Non capivo niente! Ma deh, questo duce ci aveva tenuti ignoranti più che mai, neh! A casa mia non ci arrivava mai un giornale, mio padre in casa non parlava mai...non avevo i soldi, io, per comprare la radio... sì, c’era la guerra, ma sì ch’a m’anteressava a mi!20... io non andavo in guerra... Abbiamo ascoltato e io ho visto la gente lì: nessuno ha battuto le mani - c’erano sì tre o quattro fascisti che le hanno battute - gli altri, tutti con la testa bassa... “La guerra! “Ma ti cò ‘t na dighi”?21
“Ah, i so gnènte mi!”22
Una non sapeva, l’altra neanche... Chi poteva dire qualcosa erano le madri di famiglia, le donne più anziane di noi che avevano un marito, il figlio... allora sì lì, sì!
E inizia la guerra e incominciamo a tirare la cinghia, non subito... ma poi ho mangiato tante di quelle pagnotte fatte di riso, dure come questo tavolo! Una volta è arrivato lo staff del fascio al Sociale. Tutto pieno! Ci hanno messi tutti nei palchi e ne abbiamo tirata giù di roba! Che han dovuto prendere gli spazzini! C’era la signora Buratti, quella che aveva quel castello a Ronco, faceva il discorso e ci dice che dovevamo mangiare la buccia delle patate perché conteneva vitamine. Basta, una ha incominciato a tirare fuori il pacco, ha incominciato a mangiare il pomodoro e poi l’ha sbattuto per terra.... abbiamo fatto in maniera tale che gli è andata via la voglia di chiamarci! Siamo venuti fuori, puoi capire, sentivi la gente: “Ma che! Dobbiamo mangiare la buccia delle patate!? Gliela diamo noi a quella lì!”
Un’altra volta sono venuti i tedeschi a visitare la fabbrica. Noi parlavamo in piemontese: “Varda ‘s tomatica!”23
“Varda, i uma ‘ncù da vöghi si chì bèli chi? Ah, l’ha rivàne bèla! Chi sa ‘dess ‘nté ch’i ‘nduma a finì!”24
E loro facevano sorrisi, ci salutavano...
Viene la guerra partigiana.... Abitavo vicino a un parrucchiere, si chiamava Cicci, Viana Felice, c’era lui, la moglie, un bambino piccolo. Andavo sempre lì, perché dovevo solo aprire la porta ed ero a casa sua. Da loro c’era Alfieri, Vogliolo Giovanni, che ha lavorato anche in federazione25 come segretario politico. Ho chiesto:
“Pina, ma chi è questo signore?”
“E’ un mio parente di Torino”.
Io avevo altro per la testa: l’appuntamento, i morosi... Sia chi voglia... poi non sono un tipo curioso, non mi interesso mai degli affari degli altri... Prima andavo dalle mie amiche a ballare. Si ballava col grammofono... Loro erano tutte lì vicino, io dovevo passare tutta la piazza e era tutto buio (c’era il coprifuoco). Avevo un paio di scarpe fatte con le foglie della meliga.... non si sentiva camminare! Facevo tutto il giro della piazza, le due - tre di notte, e venivo su su, quando arrivavo qui, tiravo l’orecchio per sentire se sentivo dei passi.... Non c’era nessuno e saltavo a casa. Mi hanno presa due o tre volte i carabinieri, mi hanno detto che mi portavano dentro, in guardina, e allora non mi sono più fidata. E allora la sera dove andavo? A casa non c’era quell’armonia di stare a casa, non avevo né radio né grammofono, e andavo da questo parrucchiere. Il Cicci incominciava a parlare dei partigiani... Io avevo una rivoltella a tamburo, lunga così, di mio padre, perché il mio papà una volta aveva anche il fucile perché andava a caccia... Avevo tanto bisogno di soldi, cercate di capire... io dò questa rivoltella, mi han dato qualcosa, adesso non ricordo più, ma una cosa da poco...
Un giorno arriva la “repubblica”, e io ero a letto: “Ehi ragazzi, fuori! che mi vesto”. Ho subito pensato che c’era Gianni Alfieri che dormiva nella cucina, che avevano la radio attaccata, radio Londra. Sono andata di là e ho detto: “Gianni, la repubblica!” Poi sono andata ad aprire la porta, erano giovani, li ho tirati nel cortile. Gianni è riuscito a scappare. Cicci si era alzato, aveva sfatto il letto della cucina. Sono andati da una famiglia lì vicino. Ho avuto un’ispirazione: “Cicci, hai qualcosa da nascondere?” Mi dà un pacco, lo prendo e lo porto nella tettoia dove c’erano le fascine. Poi sono venuti in casa, guardano, aprono i cassetti....
“Cosa cercate?”
“Sono andati a rubare da Barberis”
“E venite a casa mia perché sono andati a rubare da Barberis? Ma scherziamo!”
Sono andati via a mani vuote, però gli ho salvato la pelle a questo uomo.
Credevo sempre che fosse il parente di questa donna, ma sapevo che se c’era una persona in casa bisognava denunciarla. Il giorno dopo vado a lavorare tranquilla, beata, senza pensare a niente. Arrivo a casa la sera, la famiglia del Cicci:
“Tu adesso sai tutto”.
“Ma tutto cosa?”
“Non hai capito?”
“Capito cosa?”
Mi mettono al corrente della situazione, tutta la sera mi spiegano il movimento, la questione dei partigiani. Allora ho capito perché non era possibile non capire. Di lì ho cominciato a partecipare alla lotta partigiana. Sono stata anche denunciata. Hanno mandato una lettera anonima. Fortuna che avevamo un compagno lì che ci ha avvisate. Ho dovuto scappare. Sono andata a Vigliano da una mia zia. Sono venuti tre volte a casa. Io avevo detto con i miei genitori: “Se viene qualcuno a cercarmi, voi dite che sono a Torino che ho una zia moribonda”: Avevo sempre zie moribonde! Quando si andava a Biella a tirare il ciclostile, io e la mia amica, la Elsa Borri, avevamo a tracolla una borsa con dentro tutti i fascicoli del partito e dell’Unione donne italiane. Tutto aperto. Arriviamo alla Rotonda, c’era la garitta. Ci fermano.
“Alt! Dove andate?”
“Andiamo all’ospedale... ho una zia moribonda, che sta male... Ma che bei ragazzi! Ma guarda, Elsa, che bei faccini!”
Accarezza uno, accarezza l’altro... Loro: “Andate all’ospedale? Non avete un pezzo di sapone? Qui ne abbiamo proprio bisogno!”
“Ma certo! Al ritorno ve lo portiamo...”
Al ritorno abbiamo preso il treno... Pìjtitla lì!26
A Biella c’era una ragazza, che avevo trovato io, e questa qui, a casa sua, tirava il ciclostile. Il materiale sapete dove lo metteva? Aveva un camino. Legava la roba con una corda, la metteva la roba con una corda e chiudeva il camino...
In fabbrica si parlava dei partigiani, ma tutto sottovoce perché c’era tutto fascismo lì... però erano tutti coi partigiani, neh! Quando hanno ammazzato quei ventuno sulla piazza, allora io non sapevo niente...Vado nello spogliatoio, una fa: “Ah! Hanno ammazzato quei ragazzi, quei poveri ragazzi!” Non dicevano mai partigiani, non dicevano niente. E io ho detto: “Ma se l’hanno ammazzati è perché hanno fatto qualcosa!” Oohh! Non l’avessi mai detto! Sono stati tutti zitti. Ma mi sì ch’i sava!27
Quando poi ho capito, hanno capito anche loro... Mi seguivano nelle lotte... Mi hanno segnalata: una bionda, ero più chiara di capelli, che viene... non sapevano chi era! Siamo stati chiamati dal padrone e lì sono venuta fuori... perché il Gianni e il Cicci mi facevano scuola: “Tu devi dire così!” Loro mi facevano scuola e io allora parlavo, ero sempre io davanti a tutti! Mi hanno presa ‘n ghignun!28 E, appena hanno potuto, mi hanno mandata via!
Il contratto della montagna sono andata a discuterlo con il figlio del padrone. Lui mi chiedeva: “Ma tu parli per te o per la collettività?” E io, che ero ammaestrata da questi qui: “Per la collettività!” C’era uno sfasamento! Una diceva una cosa, l’altra un’altra.... tutte le operaie non erano ben inquadrate. Io che ero alla scuola di Vogliolo Giovanni, ero precisa, schematica: “Piano! Piano, donne, per la gran carità! Adesso parlo io!” Eravamo tante donne! Uomini anche, ma più donne che uomini.
Finita la guerra, non sono entrata subito nella fabbrica, perché ho lavorato otto - nove mesi nel partito. Mi ricordo sempre quando hanno fatto la sfilata i partigiani. Eravamo nella federazione vecchia, sul balcone. C’erano tutti. Io ho detto: “Ah! Finalmente è finito! Adesso sì che andiamo bene!” E Vogliolo Giovanni ha detto: “No, non è finito!”
“Come non è finito?”
“Alzeranno ancora la testa, e dovremo ancora lottare. Ma tanto e tanto!”
Mi è mancata la parola.
Per la bellezza di nove mesi ho fatto la vita di federazione. Facevo comizi, riunioni. Ho fatto tutta la Val Sessera, meno Coggiola. Con la bicicletta, tutta la salita per Pray da Biella! Mi son presa la bronchite che ce l’ho ancora adesso! Poi io non potevo mantenere i miei genitori, non potevo andare avanti e poi... lasciamo perdere, per carità! C’era gente non onesta che han fatto man bassa, intrapreso attività che poi sono andate a male, soldi che sono andati a ramengo. Mi son detta: “Qui non va!” Sono andata alla federazione e ho detto: “Guardate, io ho deciso: ritorno in fabbrica!” C’era uno che non mi poteva tanto vedere: “Ah, sì!” Per lui non ero una bella donna, già perché era bello, lui!
Sono tornata in fabbrica. Mi sono messa a lavorare, sapevo che bisognava rendere... il partito aveva questa direzione, no? Mi hanno girato tutti le spalle! Con tutte le lotte che avevo fatto lì dentro! Vedevo che una non mi parlava, l’altro non mi parlava.... non capivo: “Ma varda mé ch’a j’han gnü si chì! Ma codì ch’a parlo pü?”29 Non mi parlavano più perché lavoravo... poi hanno dovuto mettersi a lavorare anche loro. Non c’era più il Bedaux, ma ti prendevano il tempo che mettevi a togliere un nodo, a togliere un rientro... con il cronometro dietro alle spalle. Arrivavano certe rivoluzioni dall’America, andavano sempre a prenderle in America, loro! Lavoravi in piedi, sempre in piedi... la luce sotto... Ma erano così avidi di soldi, così arretrati di mentalità, che non hanno cambiato i macchinari. Le altre nazioni, la Germania, l’Inghilterra, avevano tutti macchinari nuovi.... c’è venuta la crisi. Nel ‘58 hanno fatto una retata, diciamo così, e io, la Mary, tutte le politiche, fuori! Tutte fuori! Con tanti altri, perché solo noi non potevano. Hanno licenziato soprattutto in finissaggio. Eravamo cento e più, sono rimasti una trentina.
Io non avevo ancora l’età della pensione. Sono andata in federazione: “Sono stata licenziata”.
Hai avuto te una parola di consolazione? C’era quel segretario... l’ho odiato! con tutte le mie forze! Solo uno, di Borgosesia, ha detto: “Mi dispiace, mi dispiace molto”. L’unico. Gli altri.... uno si è squagliato di qui, l’altro di là... Sai che cosa ho detto (e non ho vergogna di dirlo): “Se questo è il partito comunista, ti saluto!”
C’era da prendere la cooperativa di Candelo... Ti dico io che umiliazione... ho dovuto battere tutte le porte, come una mendicante. Ho dovuto prendere un’altra ragazza, la mia amica Ines, che poi ho capito che non era un’amica... lei aveva la casa, io non avevo niente e sono stata sotto di lei, praticamente lei era la reggente e io la subalterna. Cara mia, ho fatto proprio la sguattera in quella cooperativa. Ci pagavano poco e lei segnava la metà.... poi se n’è andata a lavorare in una filatura e mi molla là da sola. Ho dovuto venir via, perché hanno messo un’altra gerente. Di nuovo disoccupata. Veniva via la donna della latteria e sono andata in latteria. Lì guadagnavi ancora meno... La mia matrigna, avevo dovuto dire con i suoi che non potevo più mantenerla. Allora l’hanno messa in un ricovero, che però son sempre andata a trovarla. Dovevo mantenere mio padre, anche se me ne aveva fatte di tutti i colori, ma era mio padre.
Che vite ho fatto in quella latteria... per una ciocca da niente! Andavo a Biella e qualche volta trovavo quelli del partito: “Vieni a fare le riunioni”. “Ma va in quel mona, te e le riunioni!”
Mi sono rimessa a fare la sarta. Guadagnavo 3.000 lire la settimana. Ah ne ho viste! I pianti che ho fatto in quella casa! Poi, dopo ventiquattro anni che non fai più la sarta, ho dovuto farmi un apprendistato da sola. Andavo dalla moglie del Gim, la Nella: “Nella insegnami!”
Non ho voluto sposarmi. Ho avuto diverse relazioni e avrei anche potuto sposarmi, però c’è questo: io vedevo nella mia famiglia che non c’era l’unione. Vedevo che mio padre si ubriacava... Non ho fatto tante scuole però ho letto molti libri... sempre su un piano sentimentale, intendiamoci... e ti apre un po’ il cervello. Non politicamente, perché erano tutte robe d’amore... Allora leggevo che nelle altre nazioni c’era il divorzio. Mi dicevo: “Ma io mi devo sposare con un uomo che dopo non vado d’accordo... Devo andare a lavorare, far da mangiare, lavare e poi servire il marito ancora a letto? Eh, no! E se mi trovo uno che si ubriaca, devo tenermelo tutta la vita sulle spalle? Se ci fosse il divorzio, magari. Ma non c’è il divorzio, non mi sposo!”
Una volta ho avuto una relazione con uno che mi ha chiesto: “Come mai non ti sei sposata?”
“Non mi sono sposata perché non c’era il divorzio”. E’ rimasto a guardarmi con la bocca aperta.
Dopo tantissimi anni è venuto il divorzio in Italia, che io l’ho votato ben volentieri.
Le donne che lavoravano con me da Rivetti e che facevano dalle otto alle sei, non potevano badare molto alla casa perché avevano anche i bambini e, per salvarsi un po’ si mettevano una settimana in malattia... Io vedevo delle belle ragazze, belle, giovani, fiorenti, con quella bell’aria!…“Mi sposo!” Contente, felici! Allora si faceva il regalo, mettevamo due - tre lire. Chi aveva la madre vicino, più o meno andava bene...chi non l’aveva, dopo sei mesi... smunte, patite, invecchiate! Il Bedaux, il marito, la casa.... Oh, io devo fare una vita del genere? Puoi star fresca!
Sono stata anche nel Consiglio comunale, però siccome ero un po’ una “ballerina”, diciamo così, non mi hanno più voluta... non ero più idonea. Erano moralisti.... Dopo qualche tempo, riunioni di qui, riunioni di là - e mi pagavo sempre io gli autobus e i treni - viene che dobbiamo fare una lista comunale...
“Adesso la Primina è matura per entrare nel Consiglio comunale!”
“Adesso la Primina non accetta più!”
Dei moralisti! Se almeno loro fossero stati gente irreprensibile, ma ne han fatte anche loro! Aveva ragione l’Anna Pavignano quando ha detto: “Per voi avete la manica larga così! E per le donne l’avete così!”
Noi a mala pena avevamo i soldi per andare al cinema, neanche per comprare il giornale. I libri ce li imprestavamo l’un l’altro. Adesso i giovani per conto mio hanno troppo e non riescono più ad apprezzare. Mentre noi abbiamo fatto dei grossi sacrifici per i genitori, loro non li vogliono più fare. Se i genitori possono aiutare loro, gli sta bene, se no... Io ho tenuto cinque anni mio padre infermo da sola. Non ho chiesto niente a nessuno e nessuno mi ha dato niente. Ero disoccupata e poi facevo la sarta e a mala pena si campava... Loro subito al ricovero. E questo non è giusto, non è umano. Io non mi sono sposata e dico: “Meno male!”, perché se devo andare a finire in un ricovero non pretendo niente da nessuno. Ma quei genitori che hanno allevato due o tre figli o quattro, che si vedono buttati là... è una sofferenza che io non so se sopporterei.
Ben poche sono le famiglie che allevano bene i figli, li allevano viziati: vogliono la moto, gli danno la moto, vogliono la macchina, gli danno la macchina. Quando si accoppano piangono, però gli danno tutto quello che vogliono...
Un giorno sono andata in un negozio a comperare della roba. Quello del negozio mi diceva: “Noi diamo ancora valore alle mille lire, i giovani no. L’altro giorno sono passati due ragazzini con la bicicletta. A uno sono cadute 200 lire. Quello dietro gli dice: ‘Guarda che hai perso duecento lire!’
‘Oh! Per duecento lire! Che me ne faccio?’ Sono venuto fuori dal negozio e sono andato a prendere le duecento lire!”
Quando sono venuti i veneti in paese, dal Polesine e anche dopo la guerra, non sono stati accettati bene in principio. Si guardavano proprio male, a parte noi giovani che eravamo curiosi di vedere ‘sti ragazzi. Però si son dati da fare. Il nostro era un paese contadino, gretto, con tutti quei muri anneriti. Invece i veneti, già più avanzati di noi, avevano già subito una guerra del ‘14-’18 e allora loro imbiancavano le case. Si son dati da fare. Sono venuti su che andavano a fare addirittura la fascina nella Baraggia, eh! Si son fatti tutti la casa e sono stati quelli che hanno insegnato ai piemontesi a tenere le case pulite, questo bisogna dirlo senz’altro. C’erano tanti contadini, con la casa e molta terra, ma nessuna delle ragazze qui, anche le mie zie, li volevano: “Ah! I vuluma nèn si suclùn, nüi!”30 Allora le venete se li son presi tutti. C’era la casetta e loro guardavano la casetta. Tutti questi roclò31, questi contadini così arretrati, se li sono sposati tutti e non c’è più stato un ragazzo da sposare. I veneti son furbi! Son furbi come il diavolo! Hanno fatto benissimo. In ogni modo, noi possiamo dire che se abbiamo avuto un’emancipazione nella casa è grazie ai veneti. I veneti adesso sono inseriti qui, hanno famiglia eccetera. Hanno fatto tutte case nuove... sono dei grandi lavoratori, i veneti. Lavorano in fabbrica e lavorano a farsi la casa, mattone per mattone. Invece il contadino qui viveva con quella mucca, con quel poco che dava la terra e fait. I veneti si sono tirati su le maniche, son venuti qui che non avevano niente, ma in poco tempo, nel giro di una ventina d’anni,... se tu fa il giro, tutte le case nuove che vedi qui son tutte dei veneti.
Ormai proprio di origine del paese siamo pochi... però io non sono completamente piemontese, mia madre è piemontese, mio padre era di Verona, quindi sono metà.
Ho sempre lavorato a Biella e conosco poca gente di Candelo. Quando mi dicono: questo e quell’altro... io non li conosco, perché andavo via al mattino e tornavo alla sera... Quelli che vengono a casa per dei lavori, li conosco... Altrimenti per la strada: “Buon giorno” “Buona sera”, è come fosse un po’ in città.
Io lavoro perché non voglio che il mio cervello venga atrofizzato. Quando lavoro devo spremere il cervello, fare fin quando mi ricordo. Adesso mi faccio un tailleur da sola, me lo misuro... Non ho più tutte quelle clienti che avevo prima... e allora lavoro per me. Non mi va di andare a fare salotto da una parte e dall’altra... Esco, vado al cinema, vado a mangiare la pizza, cerco di stare con la gioventù. La mia amica ha la macchina e allora giriamo. ‘Sta mattina sono andata a Biella al mercato. Tutte le settimane vado a Biella, vado a fare le mie commissioni, poi vado in un bar, mi prendo il mio cappuccio o la mia cioccolata, poi prendo l’autobus e vengo a casa. Non mi fermo, e tutte le mattine, mezz’ora di ginnastica, digiuna.
Quando ero giovane, la sera uscivo con le amiche, si andava all’appuntamento. Si stava tutte assieme, si andava a fare la passeggiata, si cantava, perché eravamo molto allegre. Adesso non sento più nessuno cantare, nessuno va a fare la passeggiata, come facevamo noi, giù per Vigliano...
Quante maledizioni abbiamo mandato noi a quella gente che si sedeva fuori dalle case a far pettegolezzi! Ci vedevano: “Quella è andata all’appuntamento!” E l’altra: “Con chi è andata?” Quante maledizioni! “Van ancù nèn dorme lór lì?”32 Allora era così... adesso ognuno va per conto suo, ma adesso vanno a fare il week end, vanno già dormire... a letto. Noi il letto non lo abbiamo mai visto... si andava lì nel fieno... madonna che freddo faceva con la neve! Per l’amor di Dio!
1 La pinzatura è una delle operazioni di finissaggio, e consiste nella pulitura del tessuto dalle piccole impurità incorporate durante la tessitura e dall’estrazione dei nodi e delle imperfezioni del tessuto, che viene successivamente passato alle rammendatrici. L’operazione, che viene fatta prima “in greggio”, ossia sulla pezza appena uscita dal telaio, poi “in fino”, sulla pezza lavata, è condotta tramite l’utilizzo di piccoli attrezzi simili a pinze, dotate di punte molto affilate.
2 Si riferisce al Ricetto di Candelo.
3 Letteralmente: la molla, una grossa crisi.
4 Si riferisce alle ragazze, in genere provenienti dal Veneto, ospitate nel Convitto Rivetti di Vigliano. Nel Convitto, gestito da suore, vigevano regole molto rigide, che si estendevano anche alla vita esterna delle convittrici.
5 Il diavolo che le porti!
6 Sistema di razionalizzazione del lavoro che prende il nome dall’ingegnere francese Charles Bedaux.
7 Era chiamato “tribunale” il reparto di controllo delle pezze: gli errori venivano segnalati e le operaie venivano multate proporzionalmente al numero degli errori.
8 Venivano contrassegnati in rosso, su un apposito tabellone, i nomi delle operaie che non avevano raggiunto la produzione minima stabilita dal’azienda.
9 Oreste Rivetti, il padrone della fabbrica.
10 Non ci ha nemmeno lasciato un soldino!
11 Che mangiavano a sette ganasce!
12 Ah lì, abbiamo tirato la vita in tutti i modi possibili!
13 Si riferisce naturalmente alla guerra di Etiopia.
14 Che ne so io?
15 Uscire quel momento!
16 Avrà avuto forse i piedi numero 42!
17 A me cosa importava del duce!
18 Pupazzo.
19 Hai capito qualcosa tu?
20 Ma cosa interessava a me!
21 Ma tu cosa ne dici?
22 Ah! Io non so niente!
23 Letteralmente “Guarda quel pomodoro!”, quello sciocco.
24 “Guarda, dobbiamo anche vederli qui? Ah, c’è capitata bella! Chissà dove andiamo a finire!”
25 Si riferisce alla locale Federazione del Partito comunista
26 Prenditela lì!
27 Letteralmente “Ma sì che io sapevo!”, cioè “Ma io cosa potevo sapere!”
28 In antipatia.
29 “Ma guarda come sono diventati questi qui! Ma perché non parlano più?”
30 Letteralmente: “Ah, noi non li vogliamo quegli zoccoloni!”, cioè questi zoticoni.
31 Letteralmente “vecchi arnesi”.
32 “Non vanno ancora a dormire quelli lì?”
- Luoghi di attività
- Luogo:
- Candelo
- Luogo:
- Vigliano
- Luogo:
- Biella
- Cariche e funzioni
- Qualifica:
- iscritta alla Cgil
- Qualifica:
- iscritta al Pci
- Note ai luoghi collegati
- La madre lavorava alla Pettinatura italiana di Vigliano