Persona
Miglietti, Paolina
- Nascita
- Luogo:
- Occhieppo Inferiore
- Data:
- 7 maggio 1923
- Attività/mestiere/professione
- Qualifica:
- tessitrice
- Biografia / Storia
- La fabbrica non è un santuario
Paolina, Occhieppo Inferiore (Biella), 1923.
Sono figlia unica. La mia mamma faceva la tessitrice, prima da Fossati e poi da Rivetti, e il mio papà il falegname. Mi piaceva tanto andare a scuola, tant’è vero che ho sempre preso il primo premio e la maestra Borghese - la ricordo ancora adesso, era tanto brava - era venuta dai miei. Era la mamma di Mastrilli1, la mia maestra, e ancora adesso vado sempre a trovarla al cimitero. Era venuta a casa mia a dire a mia mamma:
“Le do tutti i libri di mio figlio Amorino purché la mandiate a scuola!”
“Ma sì, ci piacerebbe ma non sappiamo se possiamo...”
C’era il nonno vecchio in casa, quelle vecchie case da ristrutturare un po’... era un periodo di crisi e ogni tanto rimanevano disoccupati. Le condizioni non erano delle più favorevoli, perciò ho dovuto lasciare e sono andata a cucire tre anni da una sarta. Mi hanno scelto da una signora che veniva da Torino, una buona sarta. “Se vuoi andare, così almeno impari una professione!” Mi piaceva. Ci eravamo affezionate, passavo le mie giornate lì a cucire. Lavorava molto bene, lavorava per tutti i signori di Biella.
Passavo le mie giornate a cucire. A casa poi sempre le stesse cose perché allora era diverso... si andava all’oratorio di domenica, andavo a cantare in chiesa. Sai com’erano le abitudini di quasi tutte le ragazze del paese della mia età. E gite non se ne facevano, perché c’erano solo le biciclette. Si andava alla Fontana dello zolfo, alla fiera qualche volta a Biella...Diciamo che i divertimenti erano tutt’altro che adesso. Poi alla sera si andava magari a fare le prove di canto. Facevamo anche il teatro, nella Fides. Sono passati tre anni, ma nel frattempo questa signora ha avuto un bambino e erano più le ore che passavo a guardarle il bambino...Mia mamma è venuta a casa una sera a dirmi: “Guarda che ti hanno preso a lavorare con me! Ti ho fatto un posto... a fare le spole!” E io ho pianto tutta la notte, perché non volevo andare in fabbrica. Non mi piaceva.
Sono andata nel reparto filatura. Facevo un po’ di tutto: si mettevano le matasse e venivano giù le rocche. Poi le rocche si mettevano nelle macchinette e si facevano le spole. Quando facevo la giornata mangiavo in fabbrica. Delle volte prendevo la bicicletta e delle volte il tram perché la tessera2 costava troppo. Però i miei non erano tanto contenti che andassi in bicicletta per strada, ero giovane... Mangiavo con una ragazza - c’incontriamo ancora adesso che abita a Pollone. Mi diceva: “Ah, scrivi così bene, vieni sopra... ti faccio il posto io nell’ufficio di Delfo Rivetti”. Lì smistavano, distribuivano tutto il lavoro. Siccome, senza vanto, scrivevo bene, mi hanno messa a scrivere biglietti per le orditrici e le tessitrici. Sono stata lì un po’, ma si guadagnava poco. Hanno chiesto: “Se c’è qualcuno che vuole imparare nei telai, venga!” E io ho deciso di andare. Mi hanno messa nei telai più piccoli, più leggeri. In due settimane imparavi, due o tre settimane, poi ti davano il telaio e ti arrangiavi.
C’era tutto il blu militare, il blu marin della marina, il grigioverde. C’era poco di lana. Le divise degli ufficiali, più belline, le facevano negli altri telai. C’erano circa novecento, mille telai nel salone grande, e altrettanti qui. Ah, ce n’erano! Non vedevi più la fine delle file! Il lavoro più fine lo facevano lì. Di qua c’era cardato... tutta porcheria, neh! Ma si lavorava in pieno, il sabato non parliamo, anche di domenica qualche volta. Mai a casa, mai, salvo se tu eri ammalata, sempre otto ore consecutive!
Quando è incominciata la guerra , siccome c’era l’oscuramento, era difficile venire a casa alle dieci di sera in bicicletta. Una sera sono caduta in un fosso...
E’ morta mia madre che avevo diciotto anni. E’ morta di peritonite, in due giorni. E mi sono trovata lì...Ho dovuto chiedere di fare l’orario dalle 2 alle 10, per poter far andare avanti la casa, che non ero abituata. Così sono venuta a chiedere lavoro qui da Rista, che poi è diventato Bertotto3. C’era già esuberanza di personale, ma mi hanno vista tutta vestita a lutto, sai, e gli ho fatto pena. Mi han detto: “Hai paura a venire a casa alle 10 di sera?” Sai da Rivetti a Occhieppo... e quando pioveva...basta! Allora mi hanno presa. Sono entrata lì a diciannove anni e sono uscita con cinquanta. Ne ho viste di tutti i colori là dentro!
Quando è scoppiata la guerra, figurati!, siamo usciti dalla fabbrica. Ci hanno fatto andar fuori a sentire il discorso di Mussolini. Mi ricordo bene che avevo uno zio che era un anarchico, perché aveva fatto la guerra di Libia e non ha più voluto saperne di guerra... Nella guerra del ‘15-18 è scappato in Svizzera, è stato dichiarato disertore e poi è arrivato. Ma era molto intelligente e mi ricordo, già da bambina, certe cose che diceva in casa. “State attenti” - diceva - “che se lasciamo armare la Germania fa la guerra!” E me lo sono sempre ricordato.
Siamo uscite tutte, eravamo in piazza del Comune a Occhieppo e tutte dicevamo: “Ce la vedremo brutta!” E purtroppo è stato così.
E poi da Bertotto si perdevano giornate. E’ sempre stata una fabbrica, sì apprezzata, ma non c’era quel lavoro sempre fisso. Per chi era sposata non è che andasse proprio male, sai, qualche giornata a casa... Eravamo centottanta anche lì. C’era tutta la gente della Valle Mosso4 che veniva giù di lunedì e andavano a casa il sabato. Mangiavano e dormivano lì alla “Casa nuova” tra Occhieppo e Pollone, che c’è un ristorante. Pagavano di tasca loro.
E’ stato un periodo brutto perché bombardavano. C’era l’allarme e si scappava, si smetteva di lavorare, si spegnevano le luci. Non potevi più stare lì. Molte sere si veniva fuori, si sa, spaventati. Poi è successo che hanno ammazzato quel repubblichino alla “casa nuova”. Doveva incontrarsi con mio marito, Ugo l’ha scampata bella, lì! Aveva fatto tutto, tramite quella signorina - quella che è morta poco fa, di Occhieppo - che faceva da intermediaria. Non si sa bene cosa facesse, comunque lasciamola riposare in pace... Aveva combinato che quel ragazzo dovesse arrendersi e infatti mio marito doveva andare all’appuntamento per prelevarlo. Invece è arrivato uno dei Gap, che è già morto pure lui, gli ha sparato e lo ha ucciso. Uscivamo da lavorare alle 6 quella sera. E’ arrivato il tram alla “Casa nuova” e gli ha sparato. Noi abbiamo visto tutto. Tutti scappavano, urlavano. “Diciamo agli uomini che vadano a nascondersi!” C’era uno che aveva un biroccio con un vitellino sopra. C’era la tessera5, sai, gli abbiamo detto: “Torni indietro, perché adesso faranno qualcosa!” Quello là, con quel cavallo...”Op op!”, via giù per la campagna!
Poi si sono vendicati! Dalla Torre del Piazzo hanno tirato giù con i mortai. Hanno colpito la fabbrica Bertotto sul dietro (meno male che era di sabato sera!). Hanno colpito in centro Occhieppo. La Maria Pia Frisin ha perso una gamba, e la Maria Caneparo e la Rina Schiapparelli sono morte, due mamme di partigiani. Erano fuori dall’uscio di casa per parlare, vicino al macellaio.
Da Bertotto ho trovato un ambiente più favorevole che da Rivetti. Prima di tutto c’era l’Ugo Rista che era una persona perbene. Ci hanno messo su lo spaccio e potevi andare a comprare a buon prezzo. Poi ti davano a Natale. C’era molta gente di Occhieppo Superiore, gente che quasi ti conosci. L’ambiente era buono, perché mi pare che fossero democratici più di quanto lo sono adesso. E poi avevamo un solo telaio, un telaio ciascuno. Si lavorava tranquilli. Alla sera, quando eran fuori i caposala, potevi mettere un asse sopra al cestello delle spole e potevi anche sederti, perché c’era lavoro abbastanza buono, e potevi stare... figurati che facevamo l’uncinetto! E anche le solette per le calze! Qualcuna si addormentava e si svegliava, magari, quando sentiva tutto fermo. Eravamo in tante giovani... All’8 settembre, l’abbiamo saputo alla sera, noi giovani urlavamo: “E’ finita la guerra!”, invece non è stato così, ma si credeva in quel momento. E una di Occhieppo, che aveva il fidanzato soldato, urlava: “Ico, son contenta che ritorni!” e ha scritto sulla pezza col gesso: “Ico ritorna”. E poi, il giorno dopo, una bella girata! Quand’era Carnevale - e tutti fuori facevano festa e noi ci facevano lavorare - le giovani erano tutte arrabbiate, e allora coriandoli, bottiglie, paste... si faceva festa, quando non c’era più nessuno. Solo che il giorno dopo c’erano più coriandoli nel salone che in città. E lì, sempre sgridate! Si festeggiavano i compleanni delle amiche... sempre lavorando.
Ma poi non era tutto lì. C’erano le multe: se sbagliavi qualche cosa ti mettevano la multa o ti facevano prendere il pezzo della pezza, se facevi uno sbaglio grosso. Quello non era tanto gravoso perché lì c’era molta stoffa bella e non è che prendevi un pezzo per fare il pantalone. A mio marito gli ho preso un vestito!. E poi c’erano le furbe, quelle più anziane... noi, poverine, non è che fossimo proprio stupide, ma dicevi piuttosto la verità: “Ah, ho messo una spola falsa!” Le più anziane non dicevano niente e poi mandavano a chiamare... Mi ricordo sempre una signora che mi era amica e mi aveva detto: “Ti sei fatta criticare perché hai messo una spola falsa!”, ma lei si è presa il paletot per il marito... Era facile sbagliarsi, infilare un colore al posto dell’altro, quando c’erano colori che si assomigliavano, se non stavi ben attenta! E allora cambiava tutto il disegno!
E poi c’erano tante cose... durante la guerra faceva freddo e c’erano poche luci. Hanno messo poi i neon, ma il freddo l’abbiamo sofferto molto. E c’erano sempre quelle che volevano essere superiori e non protestavano mai. Quando c’era poco lavoro e ti lasciavano fuori... Una volta ne hanno lasciate fuori una trentina per due mesi, tra cui una di Occhieppo che ha detto al direttore: “E lasciate fuori me che non ho mai protestato per niente. Queste qui protestano sempre: una volta per la luce, una volta perché fa freddo...” E il direttore: “Ha fatto male, signora. Doveva fare come le altre!”
Quando c’erano già i Bertotto, ci hanno avvertite che probabilmente venivano i tedeschi fuori dalla fabbrica per portarci in Germania... e lì, sai, non si andava più a lavorare tranquilli. Volevano prendere quelle nubili, quelle sposate non le avrebbero prese. Quelle più grandi si mettevano tutte l’anello matrimoniale. Due mie amiche di Occhieppo si sono sposate così, in fretta, perché avevano già il fidanzato... ma le altre dicevano: “Ma chi ci prende che non c’è nessuno?!” Eravamo tutte senza fidanzato perché praticamente i giovani della mia età erano tutti via!
Si era diffusa la voce che erano gli industriali che volevano mandarci via e un certo Giachino di Ponderano ha detto: “No, io voglio convincervi che non siamo noi che vogliamo farvi andare in Germania. Venite a Biella! Andiamo lì al comando!” Il comando era vicino all’Unione industriali. C’era il Giachino, io e quattro-cinque altre. Avevamo anche paura ad andare lì! Lui ha spiegato attraverso l’interprete, non so cosa. C’era uno che ci guardava ad una ad una. Sempre attraverso l’interprete mi fa:
“E lei?”
“Guardi che io sono senza madre, e mio padre, se dovessi andare a lavorare in Germania, rimane solo con questi tempi!”
“In Germania c’è posto anche per suo padre!”
Oh già! Allora figurati! Siamo rientrati in fabbrica, abbiamo parlato un po’ con tutti. C’erano ancora degli uomini, pochi, solo quelli più anziani... Hanno avvisato i padroni: “Guardate, se non prendete qualche provvedimento - ma lì, tra parentesi, ha preso provvedimenti il vescovo, si è interessato lui - noi vi facciamo venire a prendere dai partigiani!” E io non so se si sono messi paura, comunque ci hanno fatte stare a casa una ventina di giorni, tutte le più giovani, quelle da sposare, e ci hanno poi risarcite, alla fine della guerra, tutte quelle giornate lì. Ma abbiamo passato dei momenti brutti!
A guerra finita, abbiamo cominciato a ballare! Ballavamo tutti! Sembrava che avessimo solo più voglia di ballare!
Mio marito l’ho conosciuto che avevo ventidue anni, a settembre del ‘45. Lavorava già prima della guerra alla Octir e poi è rientrato lì. Ha fatto la guerra partigiana, andava a prelevare anche gli industriali, per portarli in montagna. Aveva il cavallino. Ma faceva in basso, distribuiva la carne... e mia suocera era giù a Vermogno6, ma non osava neanche prendere un pezzo di carne e portarglielo perché a casa di mio marito avevano rotto tutto! Cercavano lui... e mio cognato era prigioniero in Germania, mio suocero l’hanno messo in prigione...
I miei suoceri si sono già sposati anziani, non è che si interessassero molto di politica prima della guerra... sai com’erano... Ma non erano nemmeno aderenti al fascio! Tutt’altro. Mio marito, già da giovane, non aveva voluto fare l’avanguardista. Lavorava a Torino, prima... E non aveva neanche voluto fare il premilitare. Era in Francia, dopo l’8 settembre. E’ scappato ed è venuto in Italia. E’ subito andato coi partigiani. Lui lavorava in basso, aveva le mansioni della distribuzione, quando riuscivano ad avere dei viveri.
Finita la guerra è tornato alla Octir. Allora facevano le feste campestri e andavano dagli industriali a chiedere qualcosa. E’ venuto dove lavoravo io a chiedere delle lampadine per la festa di San Clemente. Correva voce che alcuni partigiani si erano fatti ricchi e Giachino gli ha detto:
“Come mai, Riccardi, lavora ancora, lei?”
“Guardi, venga a casa mia a vedere come mi hanno ridotto! Mi hanno spaccato tutto! Mia madre è a Vermogno e mio padre se l’è preso il dottor Beccario, al Monferrato, perché non potevano più stare insieme, per la paura! Mio fratello è in Germania! (che poi è arrivato con la tubercolosi)”.
Come ti dico, si è offeso.
Da fidanzati andavamo a ballare all’Anpi di Occhieppo perché lui faceva parte del comitato. Non avevamo né macchina né moto e, quando si usciva a fare qualche passeggiata di domenica, si andava in bicicletta. Veniva a trovarmi a casa e anzi mi aiutava, perché mio padre aveva un po’ di campagna. Ha cominciato a fare un po’ l’uomo di casa pure lui, difatti quando ci siamo sposati è venuto ad abitare a casa mia. Anche mio cognato è andato ad abitare a casa della moglie, perché eravamo proprio poveri. Proprio poveri-poveri! Lui non aveva niente e nemmeno io.
Mio padre e mia madre avevano risparmiato qualcosa, ma abbiamo mangiato tutto con la borsa nera, per sfamarci. Si andava a cercare un po’ di burro su, fin quasi sotto al Mombarone!
Abbiamo cominciato a mettere da parte i soldi assieme, per riuscire a comperarci il mobilio. La camera da letto me l’ha fatta mio padre che faceva il falegname. Ci siamo sposati dopo tre anni... quei matrimoni a piedi, senza macchine, senza vestito bianco... Mia cognata l’aveva il vestito bianco e lui mi diceva:
“Potresti metterlo... l’Ersilia ha messo il vestito bianco, e tu perché ...?”
“Ah, io non voglio che mi guardino tanto!”
Non è per falsa modestia, ma a me non vanno quelle cose lì. Ho detto: “Così almeno mi compero un vestito e lo metto ancora dopo!”
Alle compagne di lavoro portavi i confetti, come facevano tutte. Ho ancora il regalo: un servizio di posate. Sai nel ‘48 c’era ancora poco, neh!
Mi ricordo che si facevano le feste nei paesi: il priore del rosario... Avevo appena incontrato Ugo e a lui non piacevano quelle cose. A me... mi avevano tirata su, un po’ in chiesa e un po’ all’oratorio, perché non c’era niente quando ero giovane. Non era come adesso che li porti al lago di Viverone, li porti dappertutto i figli. L’unico passatempo di domenica... andavo in biblioteca a prendere dei libri, che mi piaceva tanto leggere!
Una volta mi hanno fatta “reginetta”... Ah, guarda! Sono andata a sfilare in processione con le scarpe tagliate dietro. Ah che vergogna! Ah, me le ricordo ancora adesso!
Quando è stato il turno, l’anno dopo, di fare la festa, eravamo in quattro, tutte mal combinate. Per quella festa mettevano l’abito bianco o celeste, col velo. Tutto una cosa in grande stile, e noi eravamo tutte angosciate. Non trovavi della seta per fare un vestito un po’ bello! Me la sono fatta arrivare da Como, da quella signora da cui andavo a cucire. E poi le scarpe! Cominciavano appena a uscire di nuovo le scarpe di camoscio. Io le ho comprate belle, ma ho speso un occhio della testa! Mio padre mi ha fatta piangere due giorni!
E poi, quando ho cominciato a frequentare l’Ugo, ho cominciato a deviare un po’... di andare a messa non avevo più tempo: dovevo preparare il matrimonio. Ma quella di avere fiducia in “qualche cosa”, quell’idea lì non me la toglie nessuno! Ti allevano da bambina, ti insegnano certe cose... e quella lì non mi è mai passata... Senza fare tanto chiasso, senza correre...
Con lui frequentavo un ambiente tutto diverso... e poi mi sono trovata con due uomini: uno in fonderia e l’altro falegname... portavano a casa la maglia... Mio papà diceva: “Dagli un punto!” e mancava tutto il davanti! Questo qui, dalla fonderia, tutto sporco! Delle tute da lavoro... Figurati se avevo ancora voglia!
Dopo sette mesi sono rimasta incinta... un anno e mezzo è nata la Mariella. Andare a lavorare con una bambina... Il padre di mio marito è morto mentre aspettavo la Mariella: è stato tanto malato. La sua mamma è ancora vissuta cinque anni e veniva a guardarmi la bambina. Non potevi perdere il posto, allora... avevamo tutto da cominciare: il frigo non c’era...
La bambina non l’ho mai mandata all’asilo. Ci aggiustavamo. Lui arrivava alle 6 e io alle 10. Abbiamo fatto tante di quelle vite! Arrivavo a casa, magari dovevo ancora lavare i piatti della cena... Prima di andare a lavorare, preparavo tutto: anche le pappe per la bambina, il pasto per due uomini. La mattina la tenevo con me, e nelle ore che eravamo fuori, c’era una signora piuttosto anziana. Solo che ogni tanto qualcuna si ammalava...
Poi in fabbrica sono cambiati i tempi. Hanno cominciato con due telai... sai, uno potevi anche lasciarlo, che te lo guardassero, quando avevi bisogno di andare per tuo conto, magari ai servizi. Con due... c’era già da guardare di più. Solo che, vedi, nelle fabbriche c’è sempre chi accetta... La prima che ha accettato, sai come hanno fatto? Le han messo lavoro più buono, che andava bene. Ha incominciato una, poi due... e poi abbiamo dovuto cedere e prenderli. Con due siamo andati avanti diversi anni e poi hanno cominciato con quattro, quando licenziavano. Ma lì si faceva la giornata, non più i turni. Non potevi più lavorare una al mattino, un ‘altra al pomeriggio! C’era da rovinarsi la salute, neh!
Con due eravamo ancora a cottimo. Ma ti aiutavano molto. Avevano messo gli addetti a pulire il telaio, non come prima che te lo dovevi pulire. Avevano cambiato però anche i dirigenti. Tutti meno umani, di una severità enorme! Mi ricordo una cosa: sai, avevamo tutte nelle colonne, chi la Madonna d’Oropa. chi... perché sai c’è pericolo nei telai! Volavano le navette e tu le prendevi sulla testa! Implori sempre qualcuno che ti guardi un po’... e una aveva la Madonna, l’altra aveva Santa Rita... col tuo vasetto legato, con due fiorellini... Un giorno sono arrivata al pomeriggio: “Guarda cos’è successo! Hanno detto che non è un santuario! Hanno tolto tutto!”
Gli altri capi erano più buoni, più comprensivi. Ce n’era uno che abita lì per andare al mercato all’ingrosso, tutte le gambe storte. Era bravo! Quando sbagliavi: “Guarda cos’hai combinato!” e lasciava andare. Invece alcuni: “Una multa! Questa è una multa!”
Siamo andati avanti per tanto tempo con quattro telai. Hanno messo tanti accorgimenti che non dovevi fare tanta attenzione, potevi lavorare più tranquilla: il telaio si fermava al tempo opportuno. Però tu eri qui e si fermava questo. Davi il via a quello e si fermava questo. Era tutto il giorno, avanti e indietro! Non era facile. Ma si vede che non bastava ancora, perché poi hanno smontato molti di quei telai e hanno messo gli “Otto”, quelli automatici che non fanno più rumore. Allora c’era una persona sola con otto. Io e un’altra eravamo le più anziane della fabbrica e, quando mancava qualcuno o facevano il campionario nei telai vecchi, ci mandavano ad aiutare quelle con otto telai. Era una camminata tutto il giorno! Facevo fatica, perché avevo già cominciato a mettere gli occhiali, e sai, i colori... era un rompicapo tutto il giorno. E poi, a giornata, ci controllavano, avevamo sempre quello con l’orologio in mano, dietro. E lì nascevano anche i contrasti. Una aveva il lavoro buono e magari in un altro telaio il lavoro andava male e quella lì voleva che tu andassi adagio come lei. Ma come facevi che avevi sempre quell’orologio?!
Infatti io avevo litigato con una della Commissione interna. Un giorno vado dentro, mi guardavano tutti di traverso: “Ruffiana!” Puoi immaginarti! Ah, me la sono presa! “Ruffiana, io? Guarda che non ho mai fatto la ruffiana!” Quando andavamo dal capo, volevano sempre che andassi anch’io, non perché fossi tanto esperta... ero piuttosto timida. Però volevano che andassi per ascoltare e poi perché alcune andavano ed erano peggio di me: parlavano male, dicevano cose fuori posto... “Ma come facevo?” - ho detto - “Dovevo mica rompere i fili, che mi vedevano!” Ce n’era uno, quello lì era odiato da tutti, che si metteva lì alle 2 del pomeriggio e non si muoveva più... ti controllava quanto impiegavi a caricare una navetta, se facevi in fretta, se andavi adagio... Non era bello, sai!
Siamo arrivati al punto che non facevano più sciopero, anzi! Vedevi delle cose! Quando eravamo a cottimo, avevamo la mezz’ora per mangiare e, per guadagnare, alcune lavoravano. Mangiavano in piedi. Io non l’ho mai fatto quello, perché non è che avessi salute da vendere. Per me era già faticoso, avevo già la schiena curva, e poi sempre camminare, sempre camminare. Ma alcune tessitrici non mangiavano... dalle 2 alle 10 non si sedevano! Per guadagnare qualcosa in più! E tu che non lo facevi, non è che facessi tanto bella figura. Addirittura sembrava che tu non avessi voglia. A me non è mai importato niente di quello: “Dicano quello che vogliono! Almeno mezz’ora per mangiarmi una pagnotta!”
Prendo la pensione, io, per un orecchio! Sono andata alla prima visita, poi hanno scoperto che queste pensioni le davano troppo facilmente. Mi hanno mandato a dire che dovevo andare a Torino per un controllo. E lì me l’hanno passata la pensione. Ho preso poi anche gli arretrati. Adesso prendo 175.000 lire al mese. Ci facevano già qualche visita quando lavoravo. Avevo già perso un pochino. Adesso quando sono lì che lavo i piatti e suonano qui, non sento. Certe volte Ugo mi grida: “Oh, ma accidenti!”
“Ti piace prendere la pensione?!”
Grandi infortuni sul lavoro non ne ho avuti. Una volta mi sono presa un dito nei cassetti, volevano tagliarmelo in ospedale, ma io non ho voluto. Ah. ho sofferto tanto! Sessanta giorni sono stata a casa da lavorare. Potevi prendere una navetta in testa e potevi piantarti delle spine. Sono stata a casa per un’infezione per una spina delle navette sotto l’unghia. Adesso quelle cose non capitano più, perché non ci sono più le navette, c’è tutto automatico!
Quando sono stata a casa, non ho più pensato alla fabbrica! E’ cambiato in bene: ho potuto aiutare il nonno che non aveva più salute. Ho smesso in ottobre e nell’aprile dell’anno dopo c’era già la Mariella incinta. Poi è stato a casa Ugo, ma un po’ più tardi. Il giorno che è arrivato Daniele, mi è arrivato il libro della pensione!
1 Amore, poi Bruno, Salza, “Mastrilli” come comandante partigiano nel Biellese.
2 L’abbonamento.
3 Fabbrica tessile di Biella, ma molto vicina a Occhieppo Inferiore.
4 Lo stabilimento centrale della Modesto Bertotto era in Valle di Mosso.
5 La tessera annonaria, il razionamento di guerra.
6 Frazione di Zubiena.
- Luoghi di attività
- Luogo:
- Biella
- Qualificazione:
- Lanificio Rivetti
- Luogo:
- Biella
- Qualificazione:
- Lanificio F.lli Bertotto