Persona
Mongilardi, Silvia
- Nascita
- Luogo:
- Mosso S. Maria
- Data:
- 10 luglio 1930
- Attività/mestiere/professione
- Qualifica:
- Rammendatrice
- Qualifica:
- Filattrice
- Biografia / Storia
- Figurati quanto aiuta lui!
Silvia, Mosso Santa Maria (Biella), 1930.
Mia mamma faceva la rammendatrice e mio papà era impresario edile. Fino a che noi, io e le mie due sorelle, eravamo piccoline, la mamma è rimasta a casa, mio papà con la sua professione la poteva mantenere... tribolando, ma si tirava avanti. Mio papà non era un cattolico, tutt’altro! Era antifascista e, mi ricordo ancora, quando è passato il duce, tutti erano in piazza e lui era coricato nel sofà che dormiva. Ha avuto tante minacce, anche sul lavoro. Non gli davano lavoro perché non aveva la tessera. Però in casa non si parlava di politica: aveva le sue idee, ma non faceva politica. E’ stato vicesindaco di Mosso. La mia mamma invece era una donna semplice, una donna che lavorava dalla mattina alla sera: ci vestiva, ci faceva tutto, mia mamma. Era una brava cuoca... Quando siamo venuti grandi, lei ha voluto essere autonoma, avere qualche soldo in più e allora è tornata a lavorare.
Sono andata all’asilo e poi, alle elementari, non ero in grado di andare avanti e mi sono fermata. Sono andata ad imparare a cucire. Si andava da quelle sarte, sai, che una volta prendevano ‘ste bambine...Qualche ora di libertà - due o tre -l’avevamo solo la domenica pomeriggio. La sera non ci lasciava uscire. La mia prima sorella si è sposata con ventun anni, con l’ultima avevamo solo tre anni di differenza e c’era più legame. Si andava in bicicletta fino a Croce Mosso, all’Avié a ballare, e poi si tornava a casa verso le sette... chiuso!
Della guerra mi ricordo dei partigiani e quando è venuto l’armistizio. Eravamo per i prati e sentivamo le campane suonare. “Cos’è successo?” Era settembre e io pensavo sempre a un mio zio che era militare in Inghilterra. Ero tanto affezionata a questo mio zio: “Meno male, adesso viene a casa!” A Mosso ci sono stati tanti partigiani uccisi e, quando sentivo che uccidevano qualcuno, andavo sempre a vederli... abitavo proprio vicino alla piazza, da bambini si faceva...
Stenti, in casa mia, non ce n’è mai stati, perché mio papà andava a prendere il formaggio... in montagna uccidevano le bestie grosse e avevamo una cantina abbastanza.... non ci è mai mancato niente.
Non mi piaceva cucire e nel ‘46 sono andata in fabbrica... dove avevo l’ago tutto il giorno in mano lo stesso! C’era uno che abitava vicino a me e che era il direttore della ditta Simone a Valle Mosso e mi ha preso in filatura. Non mi piaceva.... allora c’era un cugino di mio papà che faceva il caporeparto dal Botto Giuseppe. Sono andata lì a chiedere e lui mi ha detto: “Mah, ci sarebbe il posto per imparare a fare la rammendatrice”. Non sapevo neanche cos’era... ti insegnavano nei pezzettini piccoli, c’era una capa che ci faceva fare i primi passi... Poi mi hanno messa con una che era già capace e allora ti insegnava a fare proprio le pezze, a cercare i difetti. Ti davano magari dieci metri e misuravano il tempo che impiegavi a mettere i difetti e, magari in due o tre, si facevano le gare. Dopo un po’ ti viene spontaneo: conoscendo la corda del tessuto vedi che c’è qualcosa che non va. Si cominciava con metà cottimo: ti davano metà pezze di quelle che avevano le più anziane, e dopo nove mesi, un anno, mi hanno dato il giro come tutte le altre.
Le rammendatrici, allora, lavoravano due a due. C’era una compagna e dovevi sbrigarti. I primi tempi sono stati duri perché le altre avevano malizie che quelle giovani non avevano ancora.... nel lavoro ci volevano le malizie: a qualche tessuto manca la trama, se è una cosa che va follata non c’è bisogno di metterla perché dopo, venendo follata, non si vede più. Questa è già una malizia. Ci sono tante cosette che si nascondono dopo una lavata... se non conosci queste cose qui resti indietro rispetto alle altre. Le altre le vedevi sbrigarsi in fretta e ti trovavi lì, col mucchio dietro...
C’erano dei banchi con dei rullini per far passare la pezza. La tiravi giù e avevamo una panca grossa e una si metteva di qui e una di là. Si divideva a metà la pezza, ognuna controllava con gli occhi la sua parte. Prima cercavamo i difetti e poi li aggiustavamo.
I primi tempi le pezze le prendevamo noi. Sapevamo qual era la bella e quali erano più brutte e ne prendevamo una per una. Poi ce le dava quella che le passava in greggio1... Gli ultimi anni c’era il cottimo di reparto: si faceva tutto fine e io lavorare una pezza tutto il giorno e un’altra farne un carretto era lo stesso, tanto il cottimo era accumulato tutte assieme. Era meglio perché prima si litigava di più. A una arrivava la pezza buona e a un’altra arrivava per buona una pezza che invece non era buona: poteva darsi che quella che l’aveva passata in greggio non avesse visto tutto e allora era una disgrazia, si restava indietro.
Che le rammendatrici fossero staccate da tutte, è vero, perché una volta dicevano che le rammendatrici si sentivano le regine dell’élite! Le più anziane andavano a contrattare il cottimo con il padrone... il cottimo l’abbiamo sempre contrattato noi, senza dipendere da nessuno.
Ce n’erano di quelle che ti insegnavano e c’erano quelle che erano proprio bastarde. Dovevi rubare il mestiere. E rubavi, ma tanto!
Io sono sempre stata in buoni rapporti. Essendo lì il mio parente ha preso mezza parentela a lavorare. Eravamo quattro o cinque, tutte cugine prime. Ma anche con le altre ho dei bei ricordi, ogni tanto telefono. Quando sono uscita dal Botto, non ho rimpianto il Botto, ma forse ho rimpianto ‘ste mie amiche, colleghe e parenti. Andavi là al mattino e raccontavi quello che ti era successo la sera. Arrivava mezzogiorno che non ci si accorgeva neanche.
E’ un mestiere che è andato in esaurimento. Dal Botto han tolto le pinzatrici e metà delle rammendatrici. Eravamo ventidue e siamo rimaste in dodici. Dieci le hanno mandate tutte in filatura. Prima erano anni d’oro e poi siamo tornate indietro, a partire dal ‘70. Poi hanno incominciato a far fare i rammendi fuori, a domicilio.
Ho sempre fatto la giornata. Prendevo il pullman alle sette e un quarto di mattina e arrivavo a casa alle sette meno un quarto. Avevo due figli e un marito che non era mai a casa....
Disgraziatamente a me è mancata la mamma presto. Io ero appena sposata e mia mamma è morta. Avevo una zia e finché è morto mio papà, questa zia è stata con noi. Mi ha allevata la Margherita fino a sei anni e il Gianni fino a un anno e mezzo. Poi è morto mio papà e lei non ha più voluto stare con me ed è andata ad abitare da sola a casa sua, a Valle San Nicolao. Allora l’Elio, mio marito, al mattino, prima di andare a Biella, una la portava a scuola e l’altro lo portava a Croce Mosso da sua mamma. E poi, alla sera, andava a prenderlo. Tu lo sai che orari non ce n’era: qualche volta erano le otto, qualche volta erano le nove, qualche volta erano le dieci. Allora ho preso il coraggio a due mani e ho preso la patente: andavo poi a prenderlo io alle sei, quando venivo su. Poi ha cominciato ad andare a scuola anche lui... E poi nella casa c’era una sorella con una figlia grande e mio cognato. Lui faceva il panettiere e allora un’occhiata, al pomeriggio, gliela davano. Certo che la Margherita con dieci anni guardava già il Gianni. Allora le mense non c’erano a scuola. D’inverno gli mettevo il mangiare sul termo, così arrivavano a casa a mezzogiorno e avevano il mangiare caldo. Mia sorella faceva un po’ di pasta e andavano a mangiare lì perché lei faceva dalle due alle dieci. Lavoravo anche il sabato fino a che il Botto ci ha lasciato fare quattro ore in più durante la settimana e ci ha dato quattro ore al sabato. La domenica non c’era perché c’era da lavare, da stirare, da preparare... Avevo il lavatoio sotto. Ho comprato la lavatrice, proprio le prime... appena ho potuto l’ho comprata.... mettevo ancora le robe di qui e le mettevo di là per sciacquarle... Erano le prime che erano venute fuori... mio papà non era d’accordo, ma io ho insistito.
Ho conosciuto mio marito con sedici anni, diciassette e mi sono sposata con ventisei. Lui veniva a trovarmi, si usciva e andavamo al cine del prete a Mosso. Cosa vuoi, non c’era altro. La macchina allora non c’era. C’era solo la bicicletta e più che stare a Mosso...
Mi sono sposata in Comune per volontà sua. Per i miei, anche se non erano cattolici, è stato un po’ uno choc... le spose non in chiesa allora erano contate sulle dita. Non è stato piacevole neanche per me, a voler essere sincera, ma ho accettato quello che lui ha.... non imposto... Per quello siamo andati ad abitare a Valle Mosso un mese. Mi sono sposata al 1° di dicembre. In fabbrica mi hanno fatto il regalo, ma non ci sono stati commenti. C’è stato un pranzo per quei pochi che c’erano a casa di mia suocera, e noi siamo andati via subito. Ti dirò che siamo andati a pranzo a casa del Poma2. Ci hanno accompagnati al treno e siamo andati fino a Torino. Il giorno dopo siamo partiti per Roma. Per mettere via i soldi, invece di andare al cine la domenica, mettevamo 1.000-2.000 lire (ne mettevo sempre più io che lui) e ci siamo trovati con centomila lire e così ci siamo permessi di andare. Ci siamo fermati tre o quattro giorni... abbiamo girato, poi lui aveva tutti i suoi... della Camera del lavoro...
Prima di sposarmi, la quindicina la davo alla mamma. Lei mi dava un tanto alla settimana, ma mi comperava tutto lei. Era una donna piuttosto moderna e quando aveva dei soldi le piaceva comprarci qualcosa. Ci ha fatto una bella dote, a tutte. Il corredo l’abbiamo ricamato io e la mia mamma. Come dicevo, la casa l’ho messa su a Valle Mosso. Abbiamo comperato la camera e la cucina me l’ha comperata mia mamma. Ma io a casa mia avevo l’appartamento. Ma la testa di Elio... Non ha voluto venire perché diceva che i miei non l’accettavano perché faceva il sindacalista e tutte quelle cose lì. Poi mi ricordo che il Poma gli ha detto: “Per avere devi anche dare”. Forse quello l’ha sciolto un po’ e a fine gennaio eravamo a casa mia... Ci siamo stati fino a diciotto anni fa, quando siamo venuti a Cossato. I figlioli sono nati là...
La mia vita come moglie di un sindacalista è stata difficile... lui non è uno, ancora adesso, a cui potevi dare fiducia... non so se devo dire fiducia... ma un appoggio non poteva darmelo, perché.... prima di noi ci sono sempre stati gli altri. Non potevo averlo l’appoggio perché prima c’erano gli altri, poi venivamo noi. Prima il lavoro. Mi ricordo quando il Gianni ha avuto un incidente e si è rotto il femore, lì all’ospedale sono andati a cercarlo... Quando è venuto a casa ingessato, con la Croce rossa, non poteva venire a prenderlo lui, ha mandato il Giardino3. Non potevi dire: “Fammi questo, fammi quell’altro”... il suo lavoro era così. E’ stata dura. Poi ti abitui... Io ho sempre preso più di lui, il mio stipendio era più grosso del suo... Certo i sacrifici che abbiamo fatto allora, adesso non li fanno più.
Ho avuto i bambini alla maternità di Trivero. Lui arriva su alle otto meno cinque perché alle otto chiudevano l’ospedale. Mi ricordo sempre che l’infermiere diceva: “Non lo lascio, neh, qui! Non lo lascio! Cinque minuti e poi se ne va”. E lui arrivava sempre alle otto meno cinque.
Quando l’ho conosciuto l’Elio lavorava con me, nella stessa fabbrica, in finissaggio. Poi l’hanno licenziato. Han chiesto di lavorare nelle ferie e lui aveva portato dei manifestini in cui si diceva che era il padrone che aveva forzato gli operai a lavorare. Ha fatto l’assemblea.... e là gli operai hanno detto che loro le ferie volevano farle. Poi, quando è passato il caporeparto, hanno detto tutto il contrario. L’hanno licenziato ed è andato a fare il sindacalista a Valle Mosso e poi è andato a Biella alla Camera del lavoro. Non ne abbiamo discusso assieme. Lui mi ha sempre messa davanti a fatti compiuti. E’ sempre stato così... Come adesso che si prende tutte ‘ste grane in giro, ma non chiede parere da nessuno. Come quando ha dato le dimissioni... le dava alle due e io l’ho saputo all’una e mezza.
Lui non ha mai parlato di politica in casa... solo una volta l’ho sentito fare una discussione di politica con mio zio... sono proprio l’opposto. Io non ero abituata... ero scioccata...Sono stata male.
Con i figli non credo di essere stata severa. La mia Margherita, lei, era aperta, si confidava. Il Gianni, secondo i momenti: dei momenti si apre e dei momenti si chiude. Ma lui fa la vita sua... quando lavora non è mai a casa. L’anno scorso lavorava a Prato e veniva a casa ogni quindici giorni. Ma ci sono stati periodi che stava via tre o quattro mesi per volta.
Le nipotine ce l’ho lontane, a Serravalle. Vado giù una volta o due alla settimana. Dopo che sono stata a casa mi hanno tolto la macchina.... cosa facevamo con tre macchine? Tre persone, tre macchine? Quando lui non aveva le grane del ..., andavamo giù al giovedì perché la Valentina veniva a casa alla mezza. Lei è patita per suo nonno, eh. E’ tutta per suo nonno. Perché lui ci gioca insieme. Invece adesso lui il giovedì va lì e bisogna cambiare giorno. Si va al mercoledì. Ma lei al mercoledì esce alle quattro e mezza e allora è un po’ arrabbiata e poi ha i compiti da fare...
Vado giù qualche volta io, quando sono ammalate.
Sono undici anni che sono a casa. Delle mie compagne ce ne sono che sono anni che non le vedo più. Il mercoledì vado al mercato a vedere se trovo qualcuna. Poi c’è quella cugina che è forse quella con cui ho tenuto di più i legami. Ma abbiamo tutti i nostri problemi, i nipoti, chi ha i suoceri o la mamma malata... sono pochi quelli che sono disponibili.
In fabbrica come ho avuto i momenti belli, ho avuto i momenti brutti....Ho sofferto tanto quando c’erano gli scioperi... loro non li facevano mai e io uscivo da sola. Uscivo da sola perché non potevo non aderire con un marito sindacalista. Una volta mi hanno mandato una lettera perché una ha detto che facevo propaganda, già il giorno prima. Quando sono rientrata, mi arriva il capo (non il mio parente, eh, un altro!)... mi ha sempre voluto bene, era un amico di Elio, anche. Mi ha sempre vista bene quell’uomo lì ed era pallido nel portarmi questa lettera.... L’avevo poi data al sindacato e loro sono andati a discuterla, ma non l’hanno ritirata...
Quando hanno licenziato quelle dieci, dodici rammendatrici, io pensavo di essere la prima.... quando ci hanno mandate a chiamare e leggevano i nomi, io non c’ero. Ho chiesto al direttore: “Ma mi tenete qui per cavia? Cosa mi volete ancora fare?” Gli ho detto così e lui mi ha risposto: “Ci ha sempre reso. Non abbiamo niente da dirle!”
Quando sono uscita dalla ditta, ho detto: “Vado a salutarlo” perché abbiamo discusso insieme quasi quarant’anni, trentasette. Quando sono andata a prendere la liquidazione, mi sono fatta annunciare. Mi ha ricevuta e mi ha ringraziata. Io ho detto: “Oh, devo io ringraziare lei che mi ha dato il lavoro”.
“Oh, no. Devo ringraziare anche lei. E’ stata una delle...”
E lo vedo girare attorno al tavolino, mi viene vicino... “Mi dà la mano”- pensavo.... E invece mi ha baciato.
Le compagne mi hanno fatto il regalo... Prima non si facevano regali per nessuna. Hanno cominciato quando è stata a casa una e allora ho detto: “Perché non le facciamo un regalo?” E poi via dietro le altre. A me hanno regalato un servizio, quel servizio di bicchieri che c’è lì... Dopo, quando andavano a casa le altre, andavano già nell’oro...
La fabbrica non mi è mancata.... non voglio dire una liberazione, ma quasi. Una volta ho trovato il mio direttore... eravamo andati a “insieme per la vita”... e lì mi ha chiesto: “Non vuole venire a fare qualche ora?” Gli ho detto: “Fossi scema!”
E poi, quando sono venuta ad abitare qui, in questa casa grande: “Ah con questa casa grande, come farò?”
E l’Elio: “Fra tutti, facciamo tutto!”
Oh, figurati! Adesso viene a casa a mezzogiorno, mangia, si corica e dorme fino alle due e mezza, che va via. Poi arriva a casa verso le sei mezza, le sette... Figurati quanto aiuta lui!
Le nipotine sono lontane. Con noi stanno volentieri, però qui no. A casa loro. C’è la Valentina che viene due o tre giorni d’estate, ma poi vuole la sua mamma... Vorrei averle più vicino... Se le vedi solo una volta alla settimana....Le sento tutte le sere, ma vederle e stare insieme cambia. Fosse anche un’ora al giorno, cambia.
1 La pinzatura è una delle operazioni di finissaggio, e consiste nella pulitura del tessuto dalle piccole impurità incorporate durante la tessitura e dall’estrazione dei nodi e delle imperfezioni del tessuto, che viene successivamente passato alle rammendatrici. L’operazione, che viene fatta prima “in greggio”, ossia sulla pezza appena uscita dal telaio, poi “in fino”, sulla pezza lavata, è condotta tramite l’utilizzo di piccoli attrezzi simili a pinze, dotate di punte molto affilate.
2 Anello Poma, allora segretario della Camera del lavoro di Biella
3 Renzo Giardino, funzionario della Camera del lavoro, collega del marito.
- Luoghi di attività
- Luogo:
- Valle Mosso
- Qualificazione:
- rammendatrice