Persona
Moranino, Nive
- Nascita
- Luogo:
- Tollegno
- Data:
- 5 marzo 1926
- AttivitĂ /mestiere/professione
- Qualifica:
- filatrice
- Biografia / Storia
- PapĂ si era portato una scimmia dal Brasile
Nive, Tollegno (Biella), 1926.
Sono nata da una famiglia di operai. Credo di aver succhiato latte materno e, come posso dire?, democrazia, solidarietĂ , uguaglianza perchĂŠ mio padre era un comunista ed era anche un perseguitato. Mi ricordo che nei primi anni della mia infanzia, prima del 1° maggio, veniva il maresciallo a casa ad arrestarlo. Sia io che mio fratello siamo cresciuti in una famiglia dove tutti i giorni câera il giornale perchĂŠ a mio papĂ piaceva essere informato di tutto.
Abbiamo sempre abitato a Tollegno. Mio papà è un vercellese, mia mamma è proprio nativa di Tollegno. La famiglia di mia mamma era benestante e lei non aveva mai lavorato. Si è sposata con mio padre che era un poveretto e ha dovuto lavorare. Ha lavorato in Filatura fino a trentatrĂŠ anni e poi, essendo mio papĂ a âpaga fissaâ, è rimasta a casa perchĂŠ tutte le donne sposate ad un uomo che era a paga fissa, oppure assistente, o caporeparto venivano licenziate. Mio papĂ era saldatore, che allora era una mansione importante. Eâ stato licenziato, con altri operai della Filatura di Tollegno, mi pare nel â21 o nel â22 ed è andato a lavorare dai Morengo, non so se era giĂ a Biella o se era a Gaglianico. Poi però avevano bisogno di un saldatore e lâhanno richiamato. Lui ha detto: âVengo se prendete tutti quelli che avete fatto fuori con me!â E allora, per avere lui, hanno assunto di nuovo tutti. E poi ha detto al commendator Schneider: âIo vengo però tutte le volte che Morengo ha bisogno, io lascio e vado giĂš!â E â sta cosa è andata avanti dal â22 fino a quando poi siamo saliti in montagna. Morengo mandava una macchina e il portinaio gli diceva: âGuarda che ti cercanoâ. Lui smetteva di lavorare e andava giĂš da Morengo.
A parte che era un tipo scozzese, fatto un poâ alla sua maniera, mio padre. In fabbrica non si può fumare... lui ha sempre fumato. Diceva: âHo il fuoco in mano tutto il giorno, perchĂŠ non posso fumare la pipa? Che danno posso fare?â E andava nei reparti ad aggiustare le macchine, sempre con la sua pipa. Girava, poteva incontrare il commendatore o il cavaliere...
Il saldatore era un mestiere solo allâinizio e mio papĂ lâaveva imparato in America. Era emigrato a diciotto anni in Argentina e a San Paolo ed era tornato per fare la guerra. Ma non è mai andato al fronte perchĂŠ lavorava a Milano, sempre come saldatore, in una fabbrica di aerei, militarizzata.
I miei nonni paterni avevano delle risaie, ma era andato male il raccolto per parecchi anni. Si sono mangiati tutto e allora sono venuti a Biella perchĂŠ un fratello di mio nonno faceva il capostazione qui a Biella. Mio papĂ aveva nove anni quando è venuto a Biella. Era una famiglia numerosa, dieci figli. Poi ha conosciuto la mamma e si sono sposati. Mio fratello è nato nel â20 e nel â26 sono nata io. La mia mamma aveva sposato mio papĂ contro il volere dei suoi, dei fratelli e del padre perchĂŠ era una famiglia agiata e lei andava a sposare un tapino che arrivava dallâAmerica con un sacco, un baule, una scimmia e la pipa. Si era portato a casa una scimmia dal Brasile! Lo raccontava sempre! La mamma mi diceva che allora gli zoccoli li mettevano tutti e lei da bambina non li aveva mai messi.... Ha sposato mio papĂ che non aveva niente. Mi raccontava che per quindici giorni han mangiato su un tavolo ricavato da una cassetta del sapone. E quando raccontava quello mio papĂ le diceva: âVedi adesso quanti tavoli hai, se allora non ne avevi!â
Mio papà è stato socialista e nel â21 è passato al partito comunista con scandalo, paure da parte della famiglia di mia madre. Tanto è vero che mio nonno gli ha procurato un passaporto perchĂŠ tornasse in Argentina o in Brasile, pur di andar via dallâItalia. E mio padre ha detto: âSĂŹ, sĂŹ, me ne vado però voglio anche mia moglie e mio figlio!â Loro no, volevano far fuori lui, ma non la figlia e il nipote. Ma mio padre: âNo, non sono dâaccordo! Io sto qui!â
Sono andata allâasilo e mi hanno presa anche se non ero battezzata. Le difficoltĂ le ho avute quando ho iniziato le elementari, perchĂŠ non mi prendevano...allora, di nascosto, delle zie di mio papĂ , che erano venute da Vercelli, hanno detto a mia mamma: âOh, ma âsti ragazzi li devi battezzare!â
âMa per caritĂ ! Non faccio una cosa cosĂŹ senza dirlo a mio marito!â
âMa câè il problema della scuola!... Non te li prendono!â
Un giorno, di nascosto dai miei, âste zie ci hanno preso e ci hanno portati a Biella, al duomo. Padrino di battesimo, sia mio che di mio fratello, era il canonico Botta. Loro dicevano: âAh, va lĂ , siamo rossi noi, però vieni che andiamo a prendere un pezzo di messa!â, perchĂŠ il loro padre, il nonno mio, era stato in seminario fino allâetĂ di ventidue anni. Poi ne era uscito perchĂŠ si era innamorato della mia nonna. Lâha sposata e il prete non lâha piĂš fatto! Erano però tutti religiosi e praticanti. Mi dicevano le sorelle di mio papĂ che, quando era giovane, aveva attaccato un campanello alla testiera del letto e alle sei suonava quella campanella e tutte le sorelle si dovevano alzare per pregare!
Noi invece siamo cresciuti mangiando pane e comunismo. Mio papĂ ha sempre detto: âIl vostro battesimo non vale niente, perchĂŠ non câè il mio consenso!â Ho un ricordo molto vago di mio fratello, con dodici-quattordici anni, in piedi su una sedia che declamava, faceva comizi1. Lui era piĂš bravo di me, ma io ero piĂš furba. La mamma comperava la cioccolata ed è arrivata al punto di nasconderla dentro le pentole oppure nei cuscini del divano e mio fratello non la trovava mai. Chi la trovava ero io.
Quando ho iniziato a ballare, mi piaceva molto... mi piace ancora adesso, ma ho incontrato un uomo che a ballare è proprio negato! E allora ho dovuto smettere. Quando ero giovane si andava in montagna: comitive di ragazzi e ragazze, con un poâ di pagnotte in uno zaino, qualche cioccolata e una scatola di sardine. Quello era il divertimento.
Avevi solo otto giorni di ferie... mio papĂ non ha mai fatto ferie perchĂŠ quando la fabbrica era ferma lui aveva le riparazioni da fare... se le prendeva poi, per conto suo, le ferie. A casa mia in quel periodo câera il bianco da dare, la legna da portare e otto giorni fan presto a passare! Andavi a Oropa a piedi: lĂŹ era tutta la vacanza e penso che per la maggior parte delle famiglie fosse cosĂŹ. Prima della guerra, la mia mamma mi dava 5 lire, che erano quegli scudi dâargento, e andavo con delle altre ragazze al cinema a Biella. Mi diceva: âGuarda che mi devi portare il resto!â
Prima di andare in carcere, quando al teatro Sociale facevano qualche commedia con De Sica, Besozzi, mio fratello mi portava sempre. Andavo anchâio nel loggione con lui, i cugini... Allora non câera la macchina e partivi a piedi da Tollegno. Quando lui è stato arrestato, la mia mamma ha chiuso le porte... praticamente ero in prigione anchâio perchĂŠ mi diceva: âTu vuoi andare al cinema e tuo fratello è in carcere, che non vede niente, che non può divertirsi con ventâanni.... e tu vuoi andare al cinema? Ah, no, no, non vai!â
Il giorno che lâhanno arrestato era sabato. Io non lavoravo e mio papĂ lavorava fino allâuna, perchĂŠ câera il sabato fascista. Mia mamma e mio fratello erano tornati da Biella e aspettavamo il papĂ per mangiare. Sentiamo bussare, la mamma dice: âAvanti!â. I carabinieri! Chiedono: âMoranino Francesco?â
âSĂŹâ.
âVenga sopra con noi!â
Sapevano giĂ lâubicazione della casa, delle camere. Lui li ha seguiti. Era un periodo che avevano licenziato tre o quattro operai della Filatura perchĂŠ avevano rubato della lana. Mi ricordo che mia mamma gli ha detto: âMa, Franco, non avrai mica rubato?â
âMa no, mamma, stai tranquilla!â
Va su con âsti carabinieri in camera sua e la mamma si è tolta le scarpe per andar su per la scala, adagio adagio. Sente che dicono: âTira fuori quei volantini!â
âMa io non ho niente!â
âIn quella scrivania ci sono dei volantini, tirali fuori!â
La mamma viene giĂš e dice: âPer caritĂ , Per caritĂ ! Gli stan dicendo di tirar fuori dei volantini!â
Non ho detto niente. Prendo il cappotto di corsa, era gennaio, e vado giĂš in fabbrica a chiamare mio papĂ . âPapĂ vieni a casa che ci sono i carabinieri che portano via il Franco!â
Quando siamo arrivati a casa, lui era giĂ andato via. La mamma ci ha raccontato che lâhan preso cosĂŹ, per la collottola. Lui si è voltato, non so cosa gli abbia detto, e allora lâhanno preso sotto braccio.
Sono stati anni terribili. Eâ stato condannato a dodici anni per attentato contro lo Stato, una cosa del genere, e si pensava che li facesse tutti. Con lui sono stati arrestati diciotto compagni. Noi non eravamo al corrente della sua attivitĂ . Eâ stata un poâ una spina per mio papĂ che era in contatto con i vecchi compagni che hanno âreclutatoâ mio fratello. Diceva: âSe fossi stato un estraneo... ma quei compagni erano nel mio gruppo! Se lo avessi saputo avrei detto a mio figlio che certe cose in casa non doveva tenerle!â
Cercavano anche la macchina da scrivere, ma quella era della Gil, perchĂŠ lui i volantini li andava a fare nella sede del fascio!
Nel paese abbiamo avuto solidarietĂ . In fabbrica si era organizzato il âsoccorso rossoâ e ogni tanto davano alle famiglie di âsti compagni una certa somma. Prima del processo era a Regina Coeli, poi a Civitavecchia, poi a Reggio Emilia. La mattina del 25 luglio, avevo quattordici, quindici anni, siamo partite io e la mia mamma dopo quasi tre anni che non vedevamo mio fratello e siamo andate a Reggio Emilia a trovarlo. Il papĂ ci aveva accompagnate alla stazione e aveva detto alla mamma: âStai tranquilla, non piangere piĂš! Vedrai che lo porti a casa tu!â, perchĂŠ aveva giĂ visto il giornale, sapeva che Mussolini era caduto. Abbiamo fatto il viaggio con un entusiasmo! Hanno fermato il treno, un diretto, degli operai con martelli e scalpelli a togliere lo stemma del fascio della motrice del treno... Eâ stata una cosa bella!
I detenuti di Reggio Emilia sono stati scarcerati il 27 agosto. Il 12 settembre è partito per andare in montagna, su al Monte Cucco. Ai primi di novembre la mia famiglia è sfollata da Tollegno ed è andata nellâospizio di Santa Rita a Roasio. Dalle suore. I tedeschi e i fascisti erano venuti in casa con unâautoblinda a cercarci. Fortuna che non câera nessuno! Io e mio papĂ lavoravamo, mia mamma era andata per castagne... Siamo dovuti scappare. Siamo stati lĂŹ un mese e mezzo e poi siamo andati da un compagno, un certo Giannetti Giuseppe di Curino, che ci ospitava. Io andavo e venivo perchĂŠ iniziavo a fare la staffetta...
Era dal 1940 che lavoravo alla Filatura. Ho deciso io di andare in fabbrica, contro il parere della mia famiglia, che mi voleva commessa in un negozio di una mia zia. Mia mamma diceva: âHai la possibilitĂ di lavorare con una zia che ti darebbe il salario della fabbrica... non vedo perchĂŠ vuoi andare in fabbrica!â Non ho detto niente e sono andata con altre mie amiche alla Filatura di Tollegno a chiedere lavoro. Ci hanno assunte. Torno a casa tutta contenta e dico ai miei: âDomani vado a lavorare alla Filatura!â Mio padre ha detto: âPensaci bene perchĂŠ indietro non torni piĂš!â
Durante il periodo della Resistenza avevo smesso di lavorare. Però la Filatura, sia a me che a mio papĂ , ha conservato il posto e quando siamo tornati ci ha dato le paghe arretrate. Tutte le volte che le brigate nere andavano in portineria a chiedere di mio papĂ , lâhan sempre protetto, fatto scappare. Di questo bisogna dargliene atto. Una sola volta si è presentato di sua volontĂ al comando di Andorno. Mi ricordo che è partito di casa alle 9 e a mezzogiorno non era ancora tornato...âEâ finita anche per lui!â - pensavo. Eâ tornato dicendo che âsto comandante gli aveva detto di convincere suo figlio a presentarsi... Câera quel famoso bando che dovevano presentarsi tutti i renitenti alla leva. âSenzâaltro, se avrò occasione di incontrare mio figlioâ - aveva risposto - âsarĂ mia premura dirgli di costituirsiâ.
Ho iniziato a fare la staffetta, senza dirlo ai miei. Loro pensavano che andassi dalle sorelle Peruccio perchĂŠ câerano ragazze giovani: la Scintilla, la Zita... e io glielâho lasciato credere. Mio fratello era scocciato e diceva: âSon giĂ io... guarda che se il papĂ e la mamma sanno che tu vai in giro cosĂŹ di notte, poi se la prendono con me!â
La prima riunione a cui ho partecipato è nel â43, su al Caramelletto dove câerano compagni, per me che avevo diciassette anni, giĂ molto vecchi. Mi ricordo di uno che aveva un tic e io invece di ascoltare quello che dicevano gli altri compagni, ero presa da âsto tic.
Unâaltra che abbiamo fatto su a Pray Alto, io e il Togna con una bicicletta coi freni contropedale, io sulla canna della bicicletta e il Togna2 che guidava... non so come, non ha frenato in discesa... ho fatto un volo. Mi sono sbucciata le braccia, le ginocchia, non potevo piĂš camminare, sanguinavo tutta.... Proprio lâincoscienza dei diciottâanni. Dovevamo ancora andare a Crevacuore, da Pray Alto. Il Togna ha fermato un carro. Siamo andati giĂš a Crevacuore da una famiglia. LĂŹ mi hanno medicata. Non so chi ha avvisato mio fratello... il giorno dopo viene a casa delle zie della Scintilla... Ah, che scene! âMa adesso non conti mica di andare a Curino dal papĂ e dalla mamma conciata cosĂŹ!â Ero tutta fasciata... e lâAngelo, poverino, aveva tutte le mani che sembrava che gli avessero presa la pelle dalle unghie e lâavessero tirata, perchĂŠ aveva cercato di abbrancarmi e salvarmi... ma allora non câera lâasfalto: câera la ghiaia. Che volo!
Come riconoscimento, avevo un anello fatto con il manico di uno spazzolino. Allora si usavano âsti anelli. Facevano scaldare il manico, lo piegavano e mettevano un fiore secco, qualcosa. Io avevo messo una foto di mio fratello e per noi era un lasciapassare. Quando incontravo le pattuglie dei partigiani - perchĂŠ pattugliavano anche loro - mi dicevano: âDove vai? Qui non puoi venire!â Gli facevo vedere lâanello e passavo.
A Curino dormivo in una camera in fondo al paese, da una famiglia dove câerano marito e moglie molto anziani, in una camera che era un deposito delle mele. Con un profumo, sempre, bellissimo! Una notte mi sveglio e vedo attraverso la finestra fiamme che toccavano il tetto e sento degli spari. Allora esco fuori in camicia da notte e mi sento afferrare da due fascisti che erano venuti per un rastrellamento. Anche per loro la paura faceva â90â: câerano dei gatti in amore e dicevano che erano partigiani che si lamentavano...Mi hanno accompagnata fino a casa e poi hanno chiesto a mio papĂ che, secondo loro, era il piĂš intelligente del paese... - insomma era una frazioncina dove erano tutti vecchi, non câerano quindici persone e il piĂš giovane avrĂ avuto quarantâanni! - di accompagnarli da Curino giĂš a Sostegno. Si sono fatti accompagnare, dopo aver saccheggiato salami, lardo... quello che avevano trovato perchĂŠ avevano ucciso il maiale qualche giorno prima. Coi fucili sparavano ai gatti perchĂŠ non câera nessuno!
Non ho il riconoscimento da partigiana - sembra una cosa incredibile - perchĂŠ mio fratello non ha mai voluto: âAh, ma câè tempo, câè tempo!â
Dopo la guerra partigiana, nel giugno-luglio del â45, hanno fatto un corso di partito a Biella, nellâex Gil e mi ricordo che câè stato un incendio nel deposito dove câerano le bandiere... Mio marito, Adriano3, che era anche lui in quel corso con altri ragazzi è andato a spegnere âsto fuoco. Hanno preso le bandiere che erano un poâ bruciacchiate e le hanno date a noi ragazze. Mi ricordo che mi son fatta un bel vestito rosso, perchĂŠ il bianco e il verde erano un poâ bruciati... LĂŹ ho conosciuto mio marito. Allora non câerano tanti soldi e non ti sposavi subito come fai adesso. Ci siam parlati per quattro anni e poi ci siamo sposati.
Ci siamo sposati in municipio. Mio padre... entusiasta! Anche la famiglia di mio marito... dâaccordo. Nessuno mi ha fatto obiezioni, se non delle zie da parte della mamma.... non erano proprio bigotte, però per loro il matrimonio non fatto in chiesa non era un matrimonio. Siamo partiti da casa a piedi - allora andavi a piedi - con un codazzo di parenti, amici e gente che si univa per vedere âsto matrimonio, perchĂŠ era uno dei primi a Tollegno. Ci ha sposati ancora il Mario Mancini... quarantadue, quarantatre anni fa. Eâ stata una bella cerimonia e mio marito quando gli ha detto: âVuoi prendere...â - perchĂŠ la cerimonia è come dal prete, uguale, non cambia niente - âSĂŹ, sĂŹ!â Due volte! Dal no è passato al... due volte! Siccome era uno dei primi matrimoni civili, il sindaco era molto emozionato e non ce lâha fatta piĂš ad andare avanti e allora ha preso il libretto degli articoli il segretario comunale, che era piĂš impappinato del sindaco... comunque è stata una cosa simpatica, bella.
Oh, abbiamo fatto un viaggio di nozze, cara te! Siamo partiti da Locato4 - perchĂŠ siam venuti su qui dai miei suoceri -, siamo andati a prendere il treno a Biella e siamo andati a Roma. Da Roma siamo andati a Napoli. Da Napoli siamo andati a Capri. Tornando indietro, siamo tornati a Roma. Siamo andati a Firenze. Otto giorni, eh! Lâalbergo solo per dormire... il resto mangiavamo panini perchĂŠ non câerano tanti soldi.
Siamo tornati che avevo ancora - fra me e lâAdriano - 5.000 lire. Il primo giorno mi metto a far da mangiare...mia zia, che mi aveva cresciuta, mi aveva regalato allora, nel â49, un liquigas. Però solo il fornello, il tavolino dovevo procurarmelo io. Provvisoriamente lâavevo messo su una finestra che aveva il davanzale molto largo, con le mie tendine, eh! Accendo âsto liquigas e il fiammifero... non so dove lâho posato... Mi han preso fuoco le tende! Primo giorno da sposata, quasi demolisco la casa!
Siamo tornati di sabato e il lunedĂŹ lui doveva andare a Genova che câera il congresso e allora âste 5.000 lire le ha dovute prendere lui... Sono andata sotto dai miei a mangiare e poi avevo iniziato a lavorare... ho preso la quindicina e pian pianino...
Lui allora lavorava al partito. Nel â50, quaranta giorni dopo che avevo avuto la prima bambina, lâAdriano ha dovuto scappare per il famoso processo delle armi nascoste. Eâ andato subito a Quarona, da famiglie di compagni. Mi ricordo che era in questo periodo, sotto Natale... Vado a trovarlo a Quarona e dice: âIo vengo a casa!â
âMai piĂš!â
âIo vengo a casa almeno a passare il Natale!â
Allora, dâaccordo col Togna - Togna è sempre in mezzo! - dice: âCâè una riunione a Crevacuore. Arriviamo fin lĂŹ e poi ci facciamo portare a casa. Se no ce la facciamo a piedi da Quarona a Tollegno!â Oh beh, avevamo ventâanni! Arrivati a Crevacuore, il Sola5 dice: âMa siete matti! Uno piĂš matto dellâaltro! Non è che abitate nel deserto, qualcuno vi vede! Scordatevelo!â Erano giĂ le 11, le 11 e mezza di sera. Togna dice: âAh, venite a dormire a Guardabosone, nella casa del Santusâ6. Una casa dove andava a fare le ferie dâagosto... Un freddo, un freddo! E il Togna dice: âAvete fame? Vi porto io qualcosaâ. Delle cipolline sottaceto e peperoncini... mamma mia! Non abbiamo mai fatto una notte abbracciati come quella notte lĂŹ! Non riuscivi a scaldarti... impossibile. Al mattino, lâAdriano è tornato a Quarona e io sono tornata a casa. Passati un paio di giorni - eh, la disciplina del partito! - una notte, non so se era lâuna o le due, mi sento toccare...
âCosa fai tu, qui?â
âEh, han solo delle storie!â
Eâ scappato ed è tornato a casa. Eâ rimasto quattro, cinque giorni... la mia mamma, poverina, aveva sempre lenzuola e coperte stese, a dicembre, a Natale, per impedire agli altri delle case di fronte di vederlo. Quando si alzava o veniva in cucina... Mamma, delle scene! Altro che romanzi!
Poi il partito lâha mandato a Roma un poâ di giorni. Poi è andato, per circa due anni, a una federazione di Vicenza, con Schiapparelli... I miei mi mantenevano perchĂŠ i soldi della quindicina dovevo portarli allâavvocato. Mi diceva: âSignora, ogni volta che io apro la porta sono 10.000 lire!â
Poi finalmente hanno fatto lâappello a Torino, perchĂŠ non riuscivano mai a farlo... mandavano le citazioni, io lavoravo e le firmava mia mamma, ma non valevano niente perchĂŠ non erano firmate da me. FinchĂŠ ho detto: âMa non firmare piĂš! Mandami a chiamare e vengo a casa!â Sâè preso la condizionale ed è andato al congresso di Napoli. Però lĂŹ è stato arrestato, perchĂŠ a Biella non avevano cancellato e risultava ancora latitante. Il giorno dopo, vado a lavorare, un compagno viene in reparto e mi dice: â A lâè ân parsĂšnâ7
âMa mĂŠ, lâè ân parsĂšn?â8
âLâhanno arrestato durante il congressoâ.
Vado dal caporeparto: âGuardi che io ho bisogno di uscire...â
Corro giĂš a Biella dallâavvocato: âMa comâè âsta storia?â
âAh, si vede che la questura non ha tolto il mandato di cattura...â
I compagni hanno fatto quello che dovevano fare... un poâ di casino. Ma lui si è fatto due o tre giorni a Poggioreale.
In fabbrica ho sempre fatto il turno dalle sei alle due, perchĂŠ mi veniva bene. Avevo giĂ la Edvi e lâAdriano alle sere aveva delle riunioni o qualcosa. Mio papĂ non ce lâavevo piĂš e la bambina sarebbe rimasta sola fino alle dieci, cosĂŹ la sera io ero a casa e lui poteva star fuori fin che voleva. Quando succedeva che doveva assentarsi per andare a Roma per qualche congresso, dicevo alla signora che affittava il negozio sotto: âFaâ il piacere! Vai a vedere la Edvi alle sette e mezza. Mettile il grembiule e preparala!â, perchĂŠ doveva andare a scuola. Ci siamo aggiustati cosĂŹ. Quando ho avuto la Marvi, ho dovuto stare a casa. Mi sono licenziata e sono rimasta a casa....eh, nove anni! Dal â61 al â69. La Marvi aveva sette anni e ho ripreso a fare il turno, sempre dalle sei alle due. In quel periodo, sia lâAdriano - quando non era via per lavoro - sia la bambina mi hanno aiutato molto. Venivo a casa alle due e non avevo mai i piatti da lavare, nĂŠ il letto da fare. Mi accontentavo certo perchĂŠ alle volte la Marvi faceva il letto e sembrava la tana della volpe! Prendeva le coperte, tirava su e via! Ma ho sempre avuto molto aiuto. Guai se non fosse stato cosĂŹ! Malgrado tante disavventure e tante disgrazie, ci appoggiavamo uno allâaltra e tiravi avanti!
In fabbrica câera un bel rapporto anche perchĂŠ fra donne câera molta solidarietĂ . Quando sono andata in fabbrica, a quattordici anni, dicevano: âFai la bocia!â, cioè impari, fai lâapprendista. Ma le piĂš anziane erano severe nellâinsegnarti e pretendevano anche. Io avevo tre zie che lavoravano nel mio reparto: alle cinque e mezza dovevo giĂ essere in fabbrica perchĂŠ dovevo andare a prendere per loro i balĂšn, come si chiamavano allora. Erano dei cilindri dove passava il filo - adesso sono di gomma - che si avvolgevano con la carta; se la carta si strappava, dovevi cambiarla! Câera la gara tra le donne per prendersi âsti cilindri, perchĂŠ poi il filato andava meglio, avevi meno rotture. E le mie zie volevano che glielo facessi trovare... per tutte e tre, altrimenti erano grane! Per 90 centesimi! Che non erano piĂš nove ore, ma nove ore e mezza!
Ero nei ring, ho sempre lavorato lĂŹ. Come dicevo, câera molta solidarietĂ : se una non stava bene, per non farle perdere la giornata andando a casa, le dicevamo: âVai nel gabinetto! Prendi delle filandre e te le metti come un cuscino. Ti siedi e la tua macchina te la guardo io!â Penso che il doppio macchinario sia scaturito proprio da lĂŹ.... un assistente o un caporeparto va avanti e indietro e vede che âsta operaia è un poâ che è assente... âMa e allora?... Con le file tutte attaccate!â Mi ricordo che quando abbiamo fatto le prime trattative per il doppio macchinario, il direttore mi diceva: âMa proprio lei viene a dire queste cose! Che è una cosa impossibile! Guardi che io so come funziona il suo reparto!â E cosa volevi dire?
Durante il periodo partigiano, quella che aveva piĂš fegato rubava della lana, la portava fuori per confezionare calze e maglie per âsti ragazzi. Lo sapevano tutti, compresa la direzione: mai nessuno ha detto niente! Però, finita la guerra, la direzione chiama la Commissione interna: âBeh, adesso basta! Eâ finita! Adesso non si tocca piĂš! Fate la cortesia, avvisate!â Mi ricordo che sono andata, macchina per macchina, ad avvisare. PerchĂŠ câerano mille sotterfugi per portar fuori âsta roba: schiacciavi le spole, le riducevi piatte, le mettevi nelle scarpe e prendevi le scarpe un poâ comode... o mettevi due o tre spole nel baracchino del latte, quando era vuoto. Delle altre le mettevano nellâombrello, se pioveva o le mettevano qui schiacciate, attorno alla vita, sotto il busto, venivamo un poâ piĂš grasse, ma sai! Qualcuna ha continuato a farlo ed è stata licenziata in tronco! Câera la moglie del portinaio che perquisiva le donne e il portinaio gli uomini, una volta ogni tanto. Ti guardavano in faccia... dipendeva dalla simpatia del portinaio. Poi hanno messo un congegno.
I rapporti coi capireparto sono sempre stati ottimi per il fatto che era tutta gente del paese: se câera un lavoro mal fatto o qualche errore, il caporeparto lasciava perdere. Câera confidenza. Mi ricordo che si mangiava mentre lavoravi, facevi attenzione che non arrivasse il direttore, ma per solo il caporeparto e lâassistente... Era tutta gente del posto. Câerano friulane, ma quando sono andata a lavorare io, eran giĂ tutte sposate con bambini, e quindi erano giĂ anni che erano qui. Poi veneti, meridionali, ma gente che si è inserita bene nellâambiente... i figli giĂ nati qui, giĂ piemontesi, diciamo.
Una volta ho litigato con una mia compagna di lavoro, piĂš per un fatto personale che per il lavoro. Lei riteneva che la maestra del ring fosse piĂš... pendesse piĂš per me che per lei. Questa era una balla, perchĂŠ non è che facesse differenza... Questa donna compiva gli anni e allora quelle della volante, di cui facevo parte, avevano organizzato una colletta per farle un regalino e non avevano interpellato le donne che lavoravano nelle macchine. Questa mi investe dicendo che, siccome ero amica anche con lei, dovevo dirle che facevamo il regalo, che lei avrebbe contribuito. Ho detto: âMa perchĂŠ dovevo fare unâeccezione per te, quando la cosa era limitata al gruppo della volante?!â Una parola tira lâaltra... Quando sono entrata in fabbrica la volante câera giĂ . Penso che sia nata per dare aiuto a quelle che lavoravano nelle macchine: noi facevamo la levata in modo che loro non perdevano tempo. Il lavoro era piĂš celere e si produceva di piĂš. In quel periodo câera stato lâordine da parte del caporeparto di lasciare, nelle rotture, un filo, che noi chiamavamo coda, che sarebbe servito alle donne della doppiatura per attaccare il filo senza perdere tempo. Lei inizia il suo lavoro e mi dice: âGuarda che non mi hai fatto la coda!â
âPuò darsi, magari mi sarĂ sfuggito...â, perchĂŠ era uno dei primi giorni che dovevamo fare âsta novitĂ .
âHo visto io! Hai iniziato ad attaccare le file9 e non mi hai fatto la coda!â
âMa guarda che se sostieni una cosa del genere mi fai buttare fuori!â
âAh, beh, non mi interessa!â
Allora non ci ho visto piĂš e.... le ho lasciato partire uno schiaffo. E lĂŹ...oh!... un correre di donne, lâassistente, il caporeparto che diceva: âMa proprio voi due, amiche come siete, vi dovete mettere le mani addosso!â
Basta, la cosa è finita lĂŹ. Il caporeparto non ha detto niente, ma è stato un poâ come il âsegreto di Pulcinellaâ. Vado a casa, mio papĂ mi aspettava: âGuarda che non si può picchiare in fabbrica, ti buttano fuori!â Il giorno dopo mi chiamano in Commissione interna. Câera il povero Tronco: âEh, ma potevi aspettarla fuori dalla fabbrica, cento metri piĂš in su...â
âE va beh. A me la rabbia era passata alle 10 di sera!â
La cosa è morta lĂŹ. Non so se la direzione lâha poi saputa o no...ma, figurati, altro che!
Mi ricordo che allâinizio della guerra sono passati a chiedere chi voleva andare a fare la mondina. Sono andate ragazze giovani e anche delle donne sposate che avevano i bambini. Han lasciato il lavoro e sono andate in risaia. Era un periodo di crisi e sono andate a fare la mondina. Però sono rimaste poco perchĂŠ... a chi gonfiava la faccia, a chi le mani, per le bestie, per lâacqua... una cosa! Credo che poche siano riuscite a fare i quaranta giorni della monda!
Era la guerra, a noi mancava quello che mancava allâaltra gente... mi ricordo che i miei mangiavano polenta per lasciare il pane a me che andavo a lavorare e dovevo fare i due panini, allora lo lasciavano a me e loro mangiavano patate e polenta. Nella mia famiglia siamo stati... o dio, non ricchi, però abbiamo sempre mangiato per il fatto che la sorella della mia mamma, avendo âsto commestibili, la prima caritĂ era per noi. Poi avevamo lâorto, quindi un poâ di verdura e il resto... chi aveva i soldi comperava in borsa nera. Mi ricordo che mio papĂ si è fumato una pianta di limoni. Ha iniziato dalle foglie, poi ha fumato la corteccia e poi anche il legno...Erano anni che câera in casa âsta pianta di limoni! Lui ha iniziato con âste foglie di tabacco che concimava... e la mia mamma diceva: âMa pianti un odore con âsta pipa che non si può resistere!â Allora ha cominciato a mettere delle foglie di limone e ha fumato il limone!
In fabbrica in tempo di guerra si faceva il grigioverde per lâesercito e câè stato un periodo che si lavorava la canapa, quindi câera tanta polvere, tanta sporcizia e lavoravi male. Io allora ero ancora âbociaâ, ma câera malcontento perchĂŠ la paga era sempre uguale, sempre quella, e il lavoro era aumentato. Mi ricordo che da apprendista prendevo novanta centesimi allâora: le paghe delle donne non credo che fossero tanto di piĂš... non arrivavano a prendere duecento lire. Eâ vero che il pane ti costava quaranta centesimi al chilo, ma con duecento lire non è che andavi tanto lontano eh!Allora facevamo nove ore al giorno. Câerano parecchie donne sposate con il marito che era in guerra, avevano figli e quindi il problema era grosso con una quindicina sola. Câè stato uno sciopero... ma era giĂ nel â44, quando sono venute le Brigate nere che hanno portato via anche una donna dai ring...
Quando ho occasione di trovare le mie vecchie compagne di lavoro, torni... âTi ricordi, quella volta?...â Fatti della vita, che hai vissuto insieme, perchĂŠ metĂ della vita lâhai passata in fabbrica. Allora avevi confidenza. Una arrivava al lunedĂŹ, che aveva il muso lungo, chiedevi: âMa come mai? Ieri non ti è andata bene?â
âAh, sai, mio marito è uscito: è venuto a casa alle quattro del mattino!â
Insomma, fatti intimi che ti raccontavi una con lâaltra. Parecchie donne le buscavano, ma non câerano separazioni. Subivano. Mi ricordo diversi casi di donne che avevano il marito che aveva lâamante, e magari la stessa compagna di lavoro era lâamante del marito e dovevano lavorarci assieme! Qualche volta câerano anche delle scenate... ma câera tanta solidarietĂ . Ti coprivi lâun lâaltra, anche in quelle cose lĂŹ. Quando due attaccavano âdi bruttoâ, câera sempre quella che faceva da paciere...
Quando sono tornata a lavorare nel â69, dopo nove anni che ero stata a casa, era cambiato tanto! Non ero piĂš alla Filatura, ma mi hanno detto che anche alla Filatura non câera piĂš lâatmosfera di quegli anni... perchĂŠ ognuno badava che andasse bene per sĂŠ. Avevi roba che andava male o avevi tante rotture... te la dovevi sbrogliare da sola. Non avevi piĂš amiche. Prima due ring, poi tre, poi quattro e allora la donna addetta a quelle macchine non aveva piĂš il tempo di venire da te e darti una mano. Ma poi ho trovato anche tanto menefreghismo, specialmente dal Sassone. Forse era anche dovuto al fatto che il signor Sassone ha saputo legare gli operai cosĂŹ bene al suo carro che non sapevano piĂš tenergli testa. Allora tutti iniziavano a comprarsi la macchina e si facevano dare i soldi per comprare la macchina, che lui volentieri glieli dava, di modo che poi li poteva ricattare. Erano legati mani e piedi! Glielo spiegavi e loro: âSĂŹ, sĂŹ, hai ragione, però, sai, mi ha dato i soldi per la macchina!â
Poverini, la maggior parte erano meridionali, brave persone, che magari votavano per noi... Ho solo cambiato, nella mia vita, due fabbriche ma... dal giorno alla notte! Mi ricordo uno sciopero che ho fatto lĂŹ da Sassone: siamo venuti fuori in cinque. Ai lati della strada câerano gli altri lavoratori che ci fischiavano perchĂŠ eravamo solo in cinque. Mica potevi prenderli per i capelli e tirarli fuori, eh!
Non câera Commissione interna, ma io non me la sentivo piĂš! Facevo lo sciopero, anche se dovevo uscire da sola, ma lâattivitĂ sindacale lâavrei dovuta fare piĂš a pugni che a parole, perchĂŠ era un ambiente proprio brutto, brutto! Il signor Sassone mi ha dato lavoro molto volentieri, ma con la speranza che io facessi in modo da dargli una mano, siccome avevo il marito segretario della Camera del lavoro, quando lui aveva delle questioni in fabbrica. GiĂ dalla prima settimana che lavoravo lĂŹ gli ho detto: âGuardi, amici come prima, se le vado bene io sto come unâoperaia qualunque. Se lei ha delle questioni da porre al sindacato, sa dovâè la Camera del lavoro, o lâUnione Industriale... vada dove vuole, ma io...â
Tra parentesi, è venuto una sera a casa nostra lui e un dottore commercialista. Volevano parlare con lâAdriano. Io gli avevo offerto un cicchetto. Vado a prendergli una bottiglia di Punt e Mes, non so dirti, forse avrĂ avuto dieci anni... Noi non bevevamo e chissĂ da quanto tempo era lĂŹ! Lâavevano assaggiato e poi non lo toccavano piĂš. Lâhanno lasciato lĂŹ. Quando sono andati via, lâAdriano fa: âChissĂ perchĂŠ non lâhanno toccato!?â Eh, lo credo! Era marcio!
Quella volta lâAdriano gli ha detto: âGuardi, se viene a trovarmi cosĂŹ, son contento. Ma per quelle beghe lĂŹ câè una sede, venga lĂ !â
Magari mi avrebbe assunta lo stesso, ma io penso che il fine era quello. Ma, tolto quel ricatto che câera tra il Sassone e âsta povera gente, per il resto non è che lavoravi male. Câera abbastanza libertĂ . LibertĂ nel senso che non venivano lĂŹ a opprimerti per farti fare piĂš di quello che potevi fare.
La mia prima bambina, un parto settimino, è nata morta e, nella quarantena, mio marito è dovuto scappare perchĂŠ allora si dava la caccia alle armi che i partigiani avevano nascosto. Eâ stato clandestino per due anni. Quando è tornato, dopo un anno sono rimasta incinta della mia seconda bambina. Ho avuto un parto molto rapido e... a mio marito è toccato fare da levatrice! Lâho avuta stando in piedi: mi asciugavo per andare in clinica e ho avuto le spinte... lâho buttata lĂŹ e lui ha fatto in tempo ad afferrarla. Mi ricordo che mio papà è andato a chiamare la levatrice, il dottore e lui e la mamma erano lĂŹ che aspettavano a vedere se dovevano tagliate âsto cordone ombelicale. Io non avevo sentito la bambina piangere e dicevo: âEâ morta anche questa!â
âNo, no! Eâ viva! Eâ viva!â
Anche la Marvi è nata in casa perchĂŠ io non ho mai fatto in tempo ad andare in clinica. Ho perso le acque alle due del pomeriggio e mi sono coricata. Ho telefonato al dottor Del Piano, ero in cura da lui, ed era a Borgosesia per un parto. Mi hanno detto: âLo avvisiamo e, quando arriva, vieneâ. E io che aspettavo... âSte doglie, prima erano piuttosto lente, staccate una dallâaltra, poi venivano rapidamente.
Mio marito mi diceva: âPovero me, unâaltra volta!â E nessuno si fidava a lasciarmi lĂŹ. Mi dicevano: âTira su le gambe!â
âSe tiro su le gambe, compero la bambina!â
Alle quattro arriva il dottore. Dice: âMa signora, cosa fa con le gambe giĂš? Alzi le gambe!â
Non gli ho dato neanche il tempo che si mettesse il camice... la Marvi è nata.
Le mie figlie le ho cresciute un poâ come i miei hanno cresciuto me, ma per via del lavoro del loro papĂ in casa si parlava del sindacato, del partito. La Edvi se la toccavano su quel terreno reagiva, ma non è che provocasse o che andasse a cercarsi lei le rogne... la Marvi era diversa perchĂŠ aveva la lingua molto lunga e non stava zitta. Sono andata molte volte, chiamata dalla preside, sia al Crivelli sia al Santa Caterina10 per la Marvi. Al Crivelli una volta un professore ha detto che in Unione Sovietica tagliavano le mani ai bambini e lei si è alzata e ha detto: âProfessore, lei è male informato, perchĂŠ adesso gli tagliano i piedi!â Al Santa Caterina la preside mi ha detto: âSignora, sua figlia mi fa venire lâesaurimento nervoso! Si veste in modo bizzarro e le altre ragazze le van dietroâ. Era vista un poâ come la pecora nera. Però se lâè sempre cavata.
Fintanto che câera il mio papĂ , lui si prendeva la Edvi e la portava con lui a giocare le carte nella cantina11. E quando la Edvi è andata allâasilo, la suora mi ha detto: âUna bambina molto brava, molto simpatica, ma dice delle cose!...Canta delle canzoni!...â Figurati i nonni che giocano alle carte! Bestemmie, per caritĂ ! Grosse come qui dentro!
Da parte di mio marito ho avuto sempre tanta comprensione.... avevo una bambina, lavoravo e avevo mio papĂ che viveva con me. Allora non è che avevi la macchina, per il sindacato avevi otto ore pagate alla settimana e quelle che perdevi in piĂš le rimettevi tu.... I compagni piĂš fortunati avevano la bicicletta... se le riunioni erano nelle ore che câera il treno, prendevi il treno, se no partivi dalla Filatura e andavi alla Camera del Lavoro a piedi e cosĂŹ tornavi. PerchĂŠ in bicicletta, andar giĂš, qualche volta il Castagna mi caricava, ma venire a casa, piĂš eh! Ho sempre avuto tanto aiuto, tanta comprensione da parte di mio marito, perchĂŠ, se non fosse stato cosĂŹ, col travaglio che abbiamo avuto in famiglia, tra una cosa e lâaltra... eravamo giĂ separati. E invece sono quarantâanni...
Ho avuto anchâio i miei giorni angosciati per mio fratello che era lontano dallâItalia. Mi è morta la mamma, in modo inaspettato, dâinfarto. Mio fratello era ancora a Praga12. Sono rimasta col papĂ che è sempre vissuto con me fino a quando è morto. Però câerano dei giorni che mi piaceva cantare e cantavo. Cantavo anche con la bambina e poi è nata la Marvi. Ho avuto degli alti e bassi anchâio. Dei giorni che mi sembrava tutto nero, che non dovesse piĂš finire, che per noi sarebbe sempre stato peggio e dei giorni che invece la vita mi sembrava bella...
Penso di essere stata importante nei riguardi di mio marito perchĂŠ io non lâho mai contrastato per quello che riguardava il suo lavoro. Se contrasti, se cosĂŹ si può dire, ci sono stati è perchĂŠ avevo mio papĂ con me, che viveva con noi. Quando lui ha ricevuto unâofferta dal partito di andare a Roma, unâaltra volta a Novara, io ho detto: âNon posso seguirtiâ, perchĂŠ mio papĂ non sarebbe venuto. Ma per il resto... Io ero giĂ abituata a una vita di alti e bassi, da âscappa e corriâ, per quello siamo sempre andati dâaccordo, ci siamo sempre appoggiati lâuno allâaltro. Sia nel bene che nel male. Se câera da gioire si gioiva insieme e, quando câera da stringere i denti, ci appoggiavamo lâuno con lâaltro.
Sinceramente tornerei indietro, perchĂŠ era anche bello... Non so se è lâincoscienza dei ventâanni, facevi le cose cosĂŹ... perchĂŠ se fosse adesso, non dico che non le farei, ma in un altro modo. Mi ricordo che, nel periodo partigiano, passavi i posti di blocco - quella è incoscienza! - con un cestino dâuva, cinque o sei grappoli sopra e sotto due pistole. Ti fermavano: âEâ dellâuva. Ne vuoi?â
Andavi al Principe13, dove câera il comando tedesco, andavi con una scusa qualunque e portavi i volantini. Roba che... Una parlava con un tedesco, lo teneva occupato e lâaltra lasciava da qualche parte âsti volantini. Quando è venuta la Lalle Anderson a cantare LilĂŹ Marlene allâImpero... una ressa che non ti dico! Pieno di giovani, era un poâ come adesso Madonna, però questa qui cantava una canzone tedesca. Le vetrate dellâImpero sono partite tutte! Un poâ con la scusa delle spinte, un poâ perchĂŠ han tirato qualche pietra...
Era bello perchĂŠ ti sentivi viva. Avevi un motivo...Io non so, io penso che la gioventĂš di adesso abbia anche degli interessi, per caritĂ , però, secondo me, han perso tanti valori. Non ci sono piĂš. Quello della solidarietĂ , dellâamicizia, della comunitĂ ...
1 Il fratello è Franco Moranino, âGemistoâ come comandante partigiano.
2 Angelo Togna, partigiano che nel dopoguerra diventerĂ funzionario del Pci, poi della Camera del lavoro di Biella.
3 Adriano Massazza Gal, giĂ partigiano, poi funzionario del Pci di Biella, quindi segretario generale della Camera del lavoro di Biella dal 1961 al 1981.
4 Una frazione di Andorno, nella Valle del Cervo
5 Guido Sola Titetto, segretario della Federazione provinciale del Pci.
6 Benvenuto Santus, dirigente del Pci.
7 âEâ in prigione!â
8 âMa come è in prigione?â
9 I fili.
10 Istituto magistrale tenuto da religiose.
11 Locale pubblico dove si mangia e si beve.
12 Franco Moranino trascorre molti anni nella capitale cecoslovacca, impegnato in âRadio Pragaâ.
13 Lâalbergo Principe, a Biella.
- Luoghi di attivitĂ
- Luogo:
- Tollegno
- Qualificazione:
- operaia
- Date:
- 1940-1970
- Luogo:
- Biella
- Qualificazione:
- operaia
- Date:
- 1971-1985
- Cariche e funzioni
- Qualifica:
- membro di Commissione interna di fabbrica