Persona
Moranino, Francesco
- Franco (altra denominazione di autorità)
Data: 1920 - 1971
- Nascita
- Luogo:
- Tollegno
- Data:
- 16 Febbraio 1920
- Morte
- Luogo:
- Grugliasco
- Data:
- 18 Giugno 1971
- Wikipedia
- Francesco Moranino
- Biografia / Storia
- Francesco Moranino (Tollegno, 16 febbraio 1920 – Grugliasco, 18 giugno 1971) è stato un partigiano e politico italiano, organizzatore e comandante delle formazioni garibaldine comuniste nel Biellese durante la Resistenza.
Iscritto al Partito comunista clandestino nel 1940, l'anno successivo venne arrestato e condannato a 12 anni di carcere da parte del Tribunale speciale. Detenuto a Civitavecchia, venne liberato nel 1943 a seguito della caduta del fascismo e, dopo il successivo armistizio, entrò nella Resistenza. Inviato dal PCI nel Biellese, assunse il nome di battaglia di "Gemisto", diventando comandante del Distaccamento delle Brigate Garibaldi denominato "Pisacane".
Attorno al "Pisacane", e al suo successivo sviluppo, si formerà nel gennaio del 1944 la piccola Repubblica Partigiana di Postua, una delle prime prove di autogoverno partigiano. In seguito Moranino comandò la 50ª Brigata Garibaldi fino a che, con l'incarico prima di comandante e poi di commissario politico, fu destinato alla XII Divisione Garibaldi Pietro Pajetta (Nedo). Francesco Moranino era cugino di Luigi Moranino, che Francesco aveva introdotto giovanissimo nella lotta partigiana; Luigi Moranino, con il nome di battaglia "PIC", diverrà a sua volta vice commissario della 2ª Brigata Garibaldi "Ermanno Angiono" ("Pensiero"). Anello Poma, già miliziano antifascista in Spagna, riorganizzò la guerriglia partigiana nel Biellese fino ad assumere l'incarico di commissario politico del Comando Raggruppamento Divisioni Garibaldi del Biellese. Essendo fino all'inizio del 1944 pochi gli uomini disponibili alla lotta partigiana, circa 200, Anello Poma indicò il metodo di scelta dei comandanti dei primi distaccamenti, i più difficili da strutturare, se non si voleva correre il pericolo che fossero repentinamente distrutti dai nazifascisti.
Anello Poma poteva essere considerato in quel momento, per la sua età, relativamente agli altri partigiani ma soprattutto per i trascorsi di combattente antifascista, uno dei "vecchi". Il reclutamento s'indirizzò verso i giovani e i giovanissimi: Moranino era giovane e aveva già dato prova di grande affidabilità, per cui fu assegnato al comando del "Pisacane", distaccamento la cui efficienza era molto importante per lo sviluppo della Resistenza nella zona. Fra questi neofiti - o quasi - della lotta armata, Moranino - ovvero "Gemisto" - mise in luce immediatamente spiccate doti di organizzatore e di amalgamatore della banda partigiana.
Con il "Pisacane", "Gemisto" organizzò scioperi operai: il suo carattere decisionista lo portò a ignorare le indicazioni del comando militare partigiano, dei comunisti stessi e dei sindacalisti che lo invitarono a limitarsi alla sua attività militare di partigiano. Per questo fatto era malvisto all'interno dei settori summenzionati. In realtà il lavoro di Moranino fruttò tantissimo poiché l'interazione con gli operai portò sia nuovi partigiani al "Pisacane" sia appoggi nelle retrovie, in modo da mettere in atto iniziative militari di grosso spessore contro i nazifascisti come non era accaduto prima; Moranino aveva costituito un retroterra popolare di supporto, indispensabile per l'esistenza e l'attività clandestina di una banda partigiana.
La strage della missione Strassera
Nell'estate del 1944 ebbe luogo nel Biellese quella che è conosciuta come strage della missione Strassera. Emanuele Strassera, agente dell'OSS, era stato inviato in Liguria dalle forze alleate con il compito di coordinare la lotta partigiana e di consegnare un rapporto agli agenti alleati operanti in Svizzera. Egli contattò Francesco Moranino e arruolò quattro partigiani. Cinque partigiani della "missione Strassera", sospettati di essere in realtà spie nazifasciste, furono fucilati il 26 novembre 1944 in località Portula, attirati in un'imboscata, e due delle loro compagne uccise.
Le vittime furono: Emanuele Strassera, agente del Sud, sbarcato sulla costa ligure da un sommergibile USA, all'inizio dell'estate 1944; Gennaro Santucci, partigiano; Ezio Campasso, partigiano; Mario Francesconi, partigiano; Giovanni Scimone: partigiano. Il 9 gennaio 1945, furono liquidate le compagne di due dei partigiani uccisi, Maria Santucci e Maria Francesconi: un uomo bussò di notte alla loro porta, esse uscirono e furono uccise con un colpo alla testa, perché stavano per scoprire la verità sulla sorte dei loro mariti. Gli assassini cercarono di far ricadere la responsabilità della morte delle due donne sui fascisti.
Il dopoguerra
Nel dopoguerra Moranino - abbandonate le armi - iniziò la sua carriera politica, diventando segretario della Federazione comunista biellese e valsesiana. Candidato dal PCI (circoscrizione di Torino) con 11.909 preferenze, il 2 giugno 1946 fu eletto deputato all'Assemblea Costituente, il 3 febbraio 1947 - nel terzo governo De Gasperi - fu nominato sottosegretario alla Difesa, il 18 aprile 1948 (prima legislatura) fu eletto deputato nel Fronte Democratico Popolare con 69.452 preferenze (circ. di Torino); il 6-7 giugno 1953 (seconda legislatura), Moranino fu rieletto per il PCI con 52.647 preferenze.
Nel 1951 fu nominato segretario della Federazione mondiale della gioventù democratica.
Il processo e la condanna
Nel dopoguerra i familiari dei cinque partigiani fucilati e delle due donne uccise svolsero indagini e raccolsero prove che presentarono alle autorità. Furono fatte delle indagini ufficiali che orientarono le responsabilità sul deputato comunista: Moranino fu pertanto accusato dell'eccidio della "Missione Strassera" e delle due donne. Anello Poma, basandosi sui personali ricordi e sul proprio ruolo centrale nell'organizzazione della Resistenza nel Biellese, ipotizzò quasi una mancanza di difesa di Moranino da parte di alcuni settori politici a lui vicini, proprio a causa delle ostilità maturate a seguito delle sue posizioni politiche e delle attività extramilitari attuate durante la Resistenza.
Oltre a ciò sulle montagne del Biellese, dove era forte la Brigata Garibaldi "Pisacane" comandata da "Gemisto", erano possibili lotte intestine fra settori della Resistenza che si rifacevano a diversa ideologia politica e si è ipotizzato che anche a causa di ciò avvenne l'eccidio. Nel 1953, sotto il governo Pella, Moranino fu incriminato per i fatti avvenuti durante la Resistenza, ritenuti non compresi tra i reati amnistiati dal ministro Togliatti nel 1946.
Il 27 gennaio 1955, durante il governo Scelba, la Camera dei deputati, con una maggioranza di centrodestra, votò l'autorizzazione a procedere nei confronti di Moranino su richiesta della Procura di Torino. Quella di Moranino fu la prima autorizzazione all'arresto di un parlamentare concessa dalla nascita della Repubblica e fino al luglio 1976 rimase anche l'unica[6]. Nel corso della seduta il deputato socialista Guido Bernardi, relatore di minoranza, cercò di accreditare la tesi per cui tutti gli omicidi furono ordinati ed eseguiti per errore, riportando tutta una serie di indizi in tal senso. Tale tesi non fu però accolta dalla maggioranza[7]. Iniziò quindi il processo in aula per l'accusa di omicidio plurimo aggravato e continuato e occultamento di cadavere. A seguito di ciò Moranino fuggì - per la seconda volta - in Cecoslovacchia. Il 22 aprile 1956, il processo, svoltosi in contumacia a Firenze, si concluse con la condanna all'ergastolo per Moranino.
Si legge nella sentenza: «Perfino la scelta degli esecutori dell'eccidio venne fatta tra i più delinquenti e sanguinari della formazione. Avvenuta la fucilazione, essi si buttarono sulle vittime depredandole di quanto avevano indosso. Nel percorso di ritorno si fermarono a banchettare in un'osteria e per l'impresa compiuta ricevettero in premio del denaro.». La sentenza di condanna all'ergastolo fu confermata dalla Corte d'Assise d'Appello nel 1957.
Diametralmente opposto il punto di vista dell'ANPI:
«Era così evidente l'intento persecutorio contro il comandante partigiano che, nel 1958, il presidente della Repubblica, Giovanni Gronchi, decretò la commutazione della pena in dieci anni di reclusione.»[8]
La latitanza e la grazia
Moranino si sottrasse alla cattura espatriando clandestinamente in Cecoslovacchia, dove divenne direttore dell'emittente radiofonica in lingua italiana Radio Praga e, secondo alcuni personaggi di estrema destra, strinse contatti con gruppi italiani. Nel 1958 alcuni sospetti sullo svolgimento del processo, che per molti aveva come solo scopo un intento persecutorio contro il comandante partigiano - e quanto descritto da Anello Poma rafforzerebbe simile tesi - portarono il Presidente della Repubblica Giovanni Gronchi a commutare la pena in dieci anni di reclusione (cosa che avrebbe permesso a Moranino di rientrare in Italia). Moranino, da Praga, si rifiutò di tornare. Il 27 aprile 1965 venne poi definitivamente graziato dal presidente della Repubblica Giuseppe Saragat. Rientrò in Italia soltanto dopo l'entrata in vigore dell'amnistia prevista dal Decreto del Presidente della Repubblica 4 giugno 1966, n. 332, che si applicava ai delitti politici commessi fino al 2 giugno 1946, anche a favore di chi si era opposto alla Resistenza.
Senatore
Rientrato in Italia nel 1968 solo in seguito ad amnistia, il 19 maggio 1968, PCI e PSIUP annunciarono la candidatura nel collegio senatoriale di Vercelli dell'ex deputato, originariamente condannato all'ergastolo. Moranino sarà rieletto (ma solo con i "resti") con 38.446 voti ed entrerà nella Commissione Industria e Commercio del Senato. Morirà, tre anni dopo, nel 1971, stroncato da un infarto.
Fonte: Wikipedia