Persona
Zanoglio, Rosalba
- Nascita
- Luogo:
- Biella
- Data:
- 1924
- Attività/mestiere/professione
- Qualifica:
- tessitrice
- Qualifica:
- annodatrice
- Biografia / Storia
- Mio papà mi chiamava “pane e Rotonda”
Rosalba, Biella, 1924
Mio papà era di Balocco e mia mamma di Formigliana, però sono venuti a Biella proprio giovani giovani, a due o tre anni, era come se fossero biellesi. Si sono sposati giovanissimi: diciotto anni. Quando sono nata io lavoravano nella fabbrica dei Reda, in via Torino. Poi sono andati da Rivetti, dove sono andata anch’io, e anche mia sorella. Siamo stati tutti e quattro da Rivetti. Tutti tessitori. Tutta una vita!
Andavo all’asilo al “Losana” perché c’era solo quello. Dalla Rotonda1, dove abitavamo, mia sorella mi portava a piedi su fino al “Losana”: mi portava al mattino e mi veniva a prendere la sera, perché aveva dieci anni più di me e i miei lavoravano. Poi sono andata alle elementari alla Pietro Micca...tutto a piedi. Come fai a lasciare andare i bambini per la strada, adesso? Ci sono più macchine che gente! Noi allora eravamo liberi... non avevamo paura di niente! Si dormiva anche con la porta aperta, in quelle casa coi balconi lunghi... più di una volta il mio papà non si ricordava di chiudere.
I miei facevano tutti e due l’orario dalle due alle dieci e mia sorella dalle sei alle due, per aiutare me che ero ancora giovane. Perché ricordati bene che io, a tredici anni, sono già andata a lavorare da Rivetti, neh! Non per vantarmi, io e una di Mongrando, con quarantasette anni potevamo già andare in pensione! Mai una “dichiara”2, mai niente, mai state a casa, al di fuori di un anno che ho comprato3 la Dany. Eravamo le più giovani del Biellese! Io invece sono ancora andata perché avevo bisogno.
Per la bambina ha fatto tutto mia mamma, poverina, tanto malata. Tutta una vita ha lavorato malata, è sempre stata malata. Ma anche mio papà per l’asma: lasciamo stare, perché due o tre volte all’anno andava in ospedale. La mia mamma tante operazioni. Mi guardava Daniela e io lavoravo. Più di una volta la mia amica Natalina, che aveva un negozietto sotto casa, mi mandava a chiamare che venissi a casa: mia mamma era già sdraiata sul letto o per terra che era svenuta. Sempre malata, sempre, sempre... e mi ha allevato la bambina fino a sette anni. Sono sempre stata lì insieme a loro. Per forza! Perché allora si pagava 300.000 lire d’entrata per un alloggio: dove andavo a prenderli quei soldi? Ci siamo aggiustati, non è che l’alloggio fosse grande, sai. Ci siamo accontentati... avevamo il nostro cucinino e la nostra camera, e i miei, di là, avevano un’entratina e un’altra camera. Allora era già un bell’alloggio, per dire.
Quando ero bambina ero nell’Azione cattolica... andavo a San Paolo. Tutte le domeniche andavo a messa. Al pomeriggio si giocava, quando era Carnevale si facevano le feste. I miei erano contenti, perché la mia nonna paterna faceva i lavori dal prete, capisci, e lei era contenta che andassi lì perché mi vedeva. Poi, si capisce, quando si comincia ad arrivare con quattordici anni qualche volta bucavamo: non andavamo alla benedizione e andavamo a ballare dai ferrovieri. C’era un mio zio che gestiva lì e allora andavo e non pagavo niente! Quando mia mamma ha saputo che non andavamo più alla benedizione, pó capì, “I van balé e chì e là!”4. Poi siamo venute più grandicelle e andavamo a ballare all’aperto, al Coggiola. Io lavoravo fino alle dieci di sera, mi prendevo la mia roba da cambiarmi... Mio papà me la portava a casa, la mamma no. Invece mio papà: “Su, su. Faccio che prendertela io. Fai solo la brava!” Il mio papà mi diceva sempre che ero l’avanzo di guerra, perché lui aveva fatto la guerra del ‘15-18, ed ero la coccola di casa. Quando si è sposata mia sorella, io avevo nove anni e ho pianto tanto perché non volevo che andasse via da casa... e andavo a dormire con loro, all’inizio. Proprio una cosa da ragazzina, sai.
Per mio papà, dopo che ho avuto ‘sta bambina... c’era solo ‘sta bambina nel mondo! Non esistevamo più né io, né mia sorella, né nessuno. Solo per dirti com’era mio papà, una volta - aveva quattro-cinque anni, l’ha fatto sdraiare per terra. “Nonno, ti taglio i capelli!” Gli ha tagliato tutti i capelli! Lui è andato in cucina... mia mamma! “Della mia testa faccio quello che voglio! Tu non intrometterti!” Oh, vivevano per ‘sta bambina!
Quando siamo venuti poi ad abitare qui, lei faceva la seconda elementare nelle scuole qui davanti. Mio papà dal balcone la vedeva uscire... e delle volte le andava dietro. Lei una volta si è girata e l’ha visto: “Nonno! Vai via! Che voglio andare da sola!” Sai come sono i bambini! E lui: “Ma non vengo mica dietro a te! Io vado per la mia strada!” Aveva un’ansia per ‘sta bambina!
Mio papà non ci ha mai dato un soldo se eravamo promosse. Quando Daniela ha fatto la prima elementare, lui ha messo via 10 lire, 20 lire, 50 lire. L’ha rivà a scinscént lire!5 Quando è stata promossa, le ha dato 500 lire! Che il mio papà era tirato così!... Pensa che né la radio né la bicicletta a casa mia non sono mai venute! Diceva che ero già io una radio! Era fatto così! Mia mamma gli diceva: “T’è dal rè vècc!”6, perché lei era più moderna. Quando è morto, poverino... perché hanno fatto una morte brutta tutti e due, il mio papà e la mia mamma... lei dice: “Ah, guarda, Rosalba, mi piacerebbe prendermi una radiolina!”
“Ma mamma, vado subito a comprartela! Subito, subito!” Povera donna, va’! Non ha mai avuto una radio! Perché mio papà era fatto così... per quelle 500 lire... potevano metterlo sul giornale!
Durante la guerra noi siamo stati bene. I nostri vicini, abitavamo porta a porta, avevano un grosso negozio di biciclette. Lì c’era il posto di blocco... e a quella donna portavano un mucchio di roba. Lei gli dava i copertoni delle biciclette... Tutto un contrattare! Il marito era via in guerra e lei aveva due bambini proprio piccoli. Allora ci portava a casa tanta di quella roba! Diceva a mia mamma: “Fai da mangiare per tutti, poi tieni tutto!” Da Rivetti, ci davano tanto, ma tanto! E noi eravamo in tre, perché mia sorella era sposata...Sai cosa vuol dire essere in tre in uno stabilimento ausiliare come eravamo noi? La roba che prendevamo! Quelli che erano uno, erano già belli che contenti! Ma noi tutti e tre eravamo! Davano via burro, formaggio, vestiti, scarpe... Il mio papà andava su lui a prendere. E una volta che hanno dato la roba doppia, non so più per quale motivo, lui fa: “Come faccio ad andare a prendere tutta ‘sta roba?”
E mia mamma: “Ah non so! Devi fare un mucchio di giri!”
“Prendo la carriola della padrona!”
Perché dove abitavamo c’erano le mucche nella stalla e la padrona di casa aveva le carriole. Con la carriola! Mia mamma... una vergogna! Io...!
“Passo tutto dietro, sta’ tranquilla che non mi vede nessuno!”
Qualcuno non aveva così tanto da mangiare, qualcuno era già vecchio, non aveva nessuno e non aveva niente... vivevano di miseria! Con quel pezzettino di pane della tessera... corto così e nero!...Noi delle ruote così di formaggio! Burro, scarpe, tagli di stoffa...! Basta là! La roba che avevamo! Tanta di quella roba abbiamo dato via! Tanta, tanta! Nel mio cortile, poi!... Che cosa ne facevamo noi di tutta quella roba?! Un chilo e mezzo di burro... due chili di formaggio... tre chili di stracchino...! Delle cose dell’altro mondo, proprio! E poi, tanta stoffa... Scarpe, io, ogni quindici giorni ne mettevo un paio nuovo... perché le prendeva. Puoi capire la mia mamma!... Un paio di scarpe le facevano vent’anni, a quella poveretta! Che non si muoveva mai... doveva solo lavorare... E poi quella nostra vicina... portava a casa il salame, carne, polli...! Ma di cavagnëtte!7 Le calze! Io avevo sempre le calze... me ne dava sempre delle scatole così!
Però abbiamo visto anche delle cose brutte, neh! Quando veniva l’allarme, andavamo tutti nei sotterranei, perché in fabbrica eravamo quattromila operai! Non che fossimo duecento: quattromila, dico! In tessitura eravamo duecentocinquanta telai, cinquecento tessitrici solo nel mio reparto, poi il finissaggio e tutto...! Una bella volta è venuto l’allarme... avevo diciassette-diciott’anni. C’era il conte Oreste e si è messo lì sulla gradinata. Ci guardava andar giù, sai se qualcuno parlava o sparlava... ha sentito che ridevano. Credeva che fossi io... ero giovane, passavo lì vicino... mi ha presa per una mano: “Vieni qui!” Allora c’erano dei castighi, qualcuna la portavano magari anche un giorno o due al Piazzo! Come arriva giù la mia mamma, mi vede lì vicino al signor Oreste... Figurati, povera donna! Si è messa le mani nei capelli, a piangere...
”Ma cosa...?”
“Va’ sotto, tu!”
Era così, sai! “Vai sotto!” Difatti la mia mamma è andata sotto... sempre a piangere... non sapeva che cosa mi faceva... poi, però, mi ha lasciata andare e mi ha detto: “Un ‘altra volta invece di ridere, quando c’è l’allarme... Vuoi che ci rovinino tutta la fabbrica! E’ per quello che ridete!”
E poi quando c’è stato quel brutto uragano, quella tempesta enorme! Ha spaccato tutto, neh!
Due mesi a casa da lavorare! L’autoambulanza dentro allo stabilimento! Gente con la testa spaccata! Ma deh! Pezzi di vetro che cadevano giù, grossi così! Un fulmine! Quel giorno lì è successa una cosa tremenda! Io lavoravo in un telaio e proprio vicino c’era un ufficio piccolino, che tenevano per dei fogli... Mi è venuta l’ispirazione di andare lì dentro, che sopra non c’erano i vetri; io e quattro, cinque altre perché l’éra ‘n gabiutìn8... Mia mamma gridava solo: “Rosalba! Rosalba!” Ma grida lì, grida lì. Io: “Mamma, mamma!” Ma da là dentro... Io non sapevo dov’era lei... Qualcuno si gettava sotto il telaio... Facevi quello che potevi. E la mia mamma (poi dopo me l’ha detto) è scappata dove c’era la macchina della colla... che lì non c’erano vetri. Tutti i soffitti erano di vetro, come in tutte le fabbriche, per la luce. Che poi, tutti gli anni, perché loro erano i più ricchi del mondo, d’estate, davano il blu per il sole... Due mesi a casa da lavorare! Però andavamo poi, tutti i giorni a pulire. Ci pagavano la giornata a pulire e tanti si facevano ancora male...
Ai miei tempi, la Rivetti era la fabbrica della salute. Un telaio, delle spole così grosse9... oh, avevi tempo di leggere... Era la fabbrica della salute10, proprio!
Io ho finito la quinta e non ho più voluto andare a scuola, perché i miei non è che volessero farmi diventare maestra, a quei tempi, però a mio papà sarebbe proprio piaciuto che facessi almeno ‘sti tre corsi dopo le elementari. Diceva: “Noi abbiamo solo fatto la quinta, qui e là...” Invece io non ho proprio più avuto voglia. Sono andata a cercarmi un lavoro. Avevo undici anni. Sono andata su dall’Avidano, in Riva, abiti fatti, che sapevo che cercavano una ragazzina. Sono andata lì e mi ha preso subito. Mi dava...aspetta, venti lire al mese. Avevo poi quasi tredici anni. Ho trovato delle mie amiche che lavoravano da Rivetti. Una mi ha detto: “Prendo quattro e venticinque al giorno!” Quattro e venticinque al giorno. E io, là, venti lire al mese! Ho subito voluto indagare perché i miei... mia mamma mi ha già avuta che aveva trentatré anni, non era più giovane e poi una di quelle donne proprio, sai... Non parliamo di mio papà, per carità, che era antico come Noè! Allora, tutto quello che gli dicevo, ci credevano. Non potevano starmi dietro. Facevo tutto io. “Ah, la mia Rosalba sa fare...” E difatti sono andata io a chiedere da Rivetti. Mi ricordo ancora che c’era il Magno, che è stato cinquant’anni lì, custode.
“Hanno bisogno di ragazzine?”
“Ma adesso aspetta ch’i vach ciamé”11.
Ho fatto tutto io! E i miei a dire che ero disbrujà ‘d la quarta!12 “Ah, non ce n’è nessuna come la mia Rosalba!” Adesso lasciamo stare... sono stata sfortunata in un modo!... ma ho fatto io per tutta la mia famiglia, per tutti...per sposarsi, per i funerali, per tutto! Va’ a sapere, erano tutti imbranati, tutti che non sapevano...
Allora vado in fabbrica per fare subito l’annodatrice come faceva la mia amica, per prendere quei quattro e venticinque al giorno. Come sono entrata, sono andata lì. Ero spigliata al trecento per quattro, eh! Dopo tre o quattro giorni, il Forinetti mi ha vista e mi ha mandato a chiamare nell’ufficio.
“Sei una ragazza che va bene. Vieni insieme a me negli uffici. Guarda qui puoi farti una carriera! Subito fai etichette!”
“Sì, ma io ho solo fatto quinta...”
“Tu non pensarci. Vedo che sei una bambina molto spigliata. Stai qui con me. Al mattino devi solo raccogliere quello che c’è: scopi... e poi stai qui con me”.
L’ho detto a mia mamma e mia mamma: “Oh!” E mio papà: “Ma lasciala fare. Ha sempre fatto lei quello che andava bene. Lascia che faccia!”
Sono andata, ma quel quattro e venticinque era sempre quattro e venticinque! Sotto aumentavano: quattro e trenta, quattro e trentacinque, quattro e quaranta. “Ah, non ci sto io qui! Io vado sotto!” Gliel’ ho detto, e lui: “Oh, ma quattro e venticinque! Non fai niente, metti solo etichette!...”
Ho voluto andare sotto. Ho lavorato sette o otto mesi come annodatrice e prendevo già quattro e quaranta... perché io ho lavorato sempre a cottimo! Anche dopo, in certi posti, non ero capace a lavorare a giornata! Mi hanno sempre apprezzata tutti, perché noi siamo state “allevate a cottimo”!
Poi mia sorella mi fa: “C’è un telaio vuoto vicino a me. Prova a chiedere se te lo danno. Così ti guardo, perché sai, neh, la prima volta che fai girare un telaio...” Me l’hanno dato subito. Sono stata una settimana con mia sorella che mi guardava. E poi, cara mia, ho lavorato, lavorato. Io volevo arrivare ai mille, sai13. La macchinetta. Mi hanno messa in un telaio più alto. Quelli di prima li chiamavano i barachët14, perché andavano piano: tac, tac. Invece gli altri giravano forte.
Al tempo di guerra, mio papà l’hanno mandato a Vigliano, sempre da Rivetti. Lavoravano per l’aviazione. Tutta roba battuta, che tingevano poi dopo. Venivano a casa che sembravano dei mostri a lavorare lì. E poverino anche lui, già con quell’asma che aveva! Lavorava di notte e la mattina veniva a Biella. L’ha fatta un po’ di tempo ‘sta vita, poi c’era uno della Balma che veniva via e allora la mia mamma ha detto: “Ma sì, fa che prenderti una stanzetta lì!” Si è preso una stufetta e tutto quanto. Poi la mamma... e anche lui diceva: “Ah, che stufa di stare là tutta la settimana da solo! Mi alzo a mezzogiorno e non ho più voglia di farmi da mangiare...”
“Ah, no! Una vita così!” - ho detto - “Chiedo io al caporeparto!”
Sono andata e gli ho detto: “Guardi, così e così... Avrei proprio piacere se me lo mandasse su! Così saremmo qui tutti e tre insieme! Mia mamma è già sempre malata...”
“Ah, sta’ tranquilla che parlo io!”
Nel giro di una settimana è venuto su. Quando ci ha viste il sabato, ha detto: “Da lunedì vengo a Biella! Vengo a Biella!”
E mia mamma: “Ah, pensa che c’è quello del telaio davanti a me che va in pensione! Ti mettessero lì! Per portarmi via i pesi...”
Allora ho detto: “Lunedì vado subito in ufficio, vado subito dal Tallia che ti metta lì!”
Nel giro di due giorni l’ha messo lì. Mi ricordo ancora: mia mamma 132 e mio papà 133. Ero la ragazza più felice del salone. Contenta. Tutti e due vicino. E infatti alla mia mamma, dopo, le portava via ‘ste pezze e tutto quanto.
Aveva sempre male, poveraccia! Prima glieli portavamo sempre via io o quelle che le erano vicine, i pesi. Perché la pezza la dovevi portare magari fino a là in fondo, neh! Tutto a spalle. Noi giovani, tac! Come niente! Ma certe povere donne, come mia mamma! Gliele ho portate via, altro che una volta, a mia mamma!
Mio papà aveva un’asma tremenda. Tutte le volte che doveva pulire il telaio, c’era polvere. Due o tre volte all’ospedale. Tutti gli anni, tutti gli anni. E tante tante, non solo una volta, neh, quando avevano il telaio pronto per vuotarlo, li vedevo già di lontano, perché io ero 169, andavo là, lo prendevo e dicevo: “Papà vai nel mio telaio!” E io andavo, lo scaricavo, glielo pulivo, glielo cominciavo, glielo annodavo... Si lodava con tutti: “Oh, ma una ragazza così! La mia Rosalba, qui e là...” Facciamo che neanche più parlare...Oh, che magone!
Quando Rivetti stava già andando male, era già un po’ lì lì, ma è andato ancora avanti quattro anni, un assistente che c’era lì, che mi sono allevata, è andato a Cossila. Chi poteva aggiustarsi se ne andava perché un bel giorno potevano licenziare tutti... A Cossila c’erano dei padroni che affittavano un edificio dal Bracco, quello che correva con le macchine. Un giorno vengo a casa da lavorare, allora facevo dalle sei alle due per tenere la bambina al pomeriggio. Mi suona il campanello, guardo. Si chiamava Libero, adesso è in casa di riposo, ‘stó marùn15.
“Ah, Libero!”
“Posso mica venire su un momento?”
Viene su e mi dice: “Guarda Rosalba, tu lo sai che la fabbrica di Rivetti va giù. Un bel giorno resti disoccupata! Vieni via!”
“Ma dove?”
“A Cossila!”
“Oh, per la gran carità! Non ho mai preso né pullman né niente! Ho passato tutta la vita da Rivetti! Non vengo a Cossila!”
Ne ho parlato in casa. E mio papà: “Vai lì insieme al Libero! Che ti trovi poi bene! Lui ti conosce!”
Sono andata lì, dunque... Non sono mai stata a casa un giorno nella mia vita. Mai! Mai mandato una dichiara, niente! Sono andata da Rivetti, ho segnato gli otto giorni, ma non li ho fatti, perché si poteva fare questo. Ho finito sabato sera e lunedì ero già lì. Mi sono presa l’abbonamento del pullman, però lì si faceva la giornata. Ma si usciva alle cinque perché si riprendeva all’una. Delle vite! Oh, che non mi ricordi più!
C’era un disegnatore (da Rivetti ce n’erano venticinque!), che mi ha preso proprio in simpatia. “Oh, Rosalba, sono tanto contento! Se potesse venire ad annodare, qualche volta, anche la domenica mattina!”
“Nossignore! ho anche una bambina! Lavoriamo già fino a sabato!”
“Ma adesso, al sabato, lavoriamo più solo fino a mezzogiorno!”
E’ poi venuto il padrone: “Ah, se potesse farmi un’ora al giorno!”
Aveva l’ingordigia sopra. Due anni. Nove ore al giorno senza perdere un’ora. Con la casa, la bambina e tutto il resto. Basta. Lavoravo bene, ho guadagnato tanto Guadagnavo delle volte più di straordinari. Delle volte andavo anche dei sabati pomeriggio. Per fare un piacere, andavo qualche volta la domenica mattina. Ma poche volte. Sono andata pochissime volte la domenica mattina. Il mio assistente, quel Libero diceva: “Te l’avevo detto io che venissi qui! T’è vist?16”
“Ah, sì, ma qui...”
Un bel giorno ci mandano a chiamare nell’ufficio. Eravamo dieci-quindici operai... poca gente. Proprio il padrone: “Ragazze ho una cosa da dirvi... Siamo sfrattati!”
“Oh, povera me! - pensavo - Sono di nuovo a piedi!”
“Non licenzio nessuna. Però dovete venire a Baldicati, su nella Valle Mosso. E dovete fare tutte il turno del mattino, perché quello del pomeriggio lo fanno quelle del paese, per essere a casa al mattino e fare il pranzo...”
Avrei dovuto alzarmi alle quattro! Figurati la paura della strada di notte!
Quando mio papà lavorava dai Reda, c’era un assistente che aveva poi aperto una fabbrica, la fabbrica Fossati. Duilio si chiamava. Era coscritto di mio papà. Era uno che non comperava la macchina! Erano ricchi come i Rivetti, quelli lì, ma un pezzetto di “filandra” così bisognava consegnargliela! Qualche volta incontrava mio padre: “Deh, ma tua figlia è sempre ancora dai Rivetti?”
“Oh, pö capì!17. Mia figlia lavora su al Bottalino!”
“Ma li mandano via da là! Dille che venga da me che ho bisogno!”
Aveva bisogno perché nessuno stava lì dentro. Andavano un giorno o due, e poi non prendevano neanche quello che avevano guadagnato! E’ stata la fabbrica più... Ne hanno parlato tutti nel Biellese. E poi si lavorava da bestia, da bestia, proprio! Se rompevi la corda del pasaròt sopra, ti faceva pagare la corda. Nella quindicina ti teneva giù la corda. Proprio delle cose... era peggio di mio papà!
Allora mio papà diceva: “Va’ dal Duilio, va’!” A Baldicati non sono andata. Nessuna è andata, tranne due sorelle da sposare. Si facevano compagnia alla mattina e poi, loro, non avevano problemi. Arrivavano a casa e dormivano fino alle sei... Sai? Quando sei sola, da sposare... Io sono andata subito dal Fossati. Appena dentro mi sono presentata.
“Sono la figlia dell’Ercole”.
“Vieni, vieni. Fermati già adesso!”
“No, per la gran carità! Arrivo alla fine del mese che il lavoro c’è ancora”.
“Ma cosa? Licenziati, licenziati!”
Difatti mi sono licenziata. Non so dirti le ore che ho fatto là dentro! Perché non c’erano i turni, c’era la giornata. Le ore non si possono fare con i turni perché alle due viene l’altra fino alle dieci! Da Rivetti non ho mai fatto un’ora straordinaria. Mai, mai. Perché poi da Rivetti chiedevano di andare ad annodare al mattino della domenica, ma la mia mamma non mi ha mai lasciata. Mi ha sempre detto: “Io sono contenta se tu lavori sempre, ma la domenica stai a casa tua: fai i tuoi lavori, le tue robe, ma a lavorare alla ‘festa’ non vai!”
Invece lì, figurati! E poi l’ingordigia della quindicina, dico la verità! Nove anni ho resistito là dentro. Tra tenaglia e martello, là dentro. Delle volte, quando incontravo qualcuno:
“Ma cosa?! Lavori da Fossati?”
“Eh, sì! Proprio!”
Litigavo con tutti, col caporeparto, col ragioniere. Faceva il masciutìn, trusciava nelle buste18... Ma a me non mi fregava. Andavo dentro, gliele cantavo:.
“Ma ragioniere...”
“Oh, ma porcu fàus! Sono andato a sbagliarmi!”
Sbagliava sempre!
Nove anni ho resistito. Però sono stata la prima a cui hanno fatto il regalo là dentro. Si usava già da Rivetti: ho ancora il servizio da ventiquattro piatti che mi han fatto, dopo i venticinque anni!... Volevo stare a casa perché tribolavo da impazzire, specialmente alla fine, perché c’era un assistente che non era capace. La Dany, quasi si sposava, mi diceva:
“Ma stai a casa, mamma! Ma segna questi otto giorni! Da quando hai i trentacinque anni?... Ma da anni!”
“Sta’ tranquilla. Un giorno o l’altro vengo a casa e ho segnato gli otto giorni!”
“Ah, non succede questo, non succede!”
Sono andata finché ho potuto... Se si rompeva qualcosa nel filo dicevano che l’avevi rotto tu! Delle robe! Morto il vecchio, sono venuti i giovani. Il ragioniere era il genero. Era solo capace a dire che era ragioniere, ma non era capace di far niente. Gli insegnavo ancora io cosa doveva fare! E poi fregava, fregava... allora gli ho detto: “Deh, giuinòt!Iu travaià tüta la vita. I sun bun-a, sè, a tènme i cünt!”19. Qualche mese dopo che la Dany si è sposata, sono stata a casa.
“Dany, sai...”
“Ah, era ora!”
Ho detto: “Punto e basta. La barra nella mia mano non viene più!” E non è più venuta. E mi hanno chiamata tanto e tanti! Il ragioniere, un bel giorno, non so a chi abbia chiesto, ha telefonato a Cossila da mia figlia. Io ero là con la bambina piccola, di due mesi: “Pronto, sono il ragionier Fossati. Ho bisogno di un piacere grosso! Abbiamo un campionario da fare... avremmo proprio bisogno che venisse! Le diamo l’uomo che chiede... solo per una quindicina di giorni!”
“Ma lo sa che io lì dentro mi son mangiata il fegato e il motivo lo sa anche lei!... Sono stata a casa perché ne avevo proprio abbastanza di tribolare! La barra nella mia mano non viene più!”
“Ma non mi dica così, non mi dica così! Ma le diamo quello che chiede!”
Credeva di darmi il mondo in mano! “Ma sì ch’i ‘m na fach dij só sót!”20. E non ho avuto rimpianti!
Sono stata a casa e sembrava che avessi vinto la lotteria. Di una contentezza! Me lo sento ancora adesso. Una contentezza! E la mia Dany: “Ma chi te l’ha fatto fare?” . Mi viene un nervoso quando dice quello! “Hai ragione. Ti do ragione!” Eppure ero fatta così. Andavo a lavorare... o dio, non che non abbia avuto niente! Anch’io ho avuto male ai denti, qualche volta dei dolori. Sono andata a cadere dalla scala e mi sono messa fuori posto il piede. Non sono andata a farmelo mettere a posto, mi sono messa la calza elastica e andavo via la mattina alle 7 e 10 per essere al lavoro alle 8 meno 10. Non ho perso una giornata! No, ma delle volte mi picchierei da sola!
Poi lei ha fatto ‘sta figlia. Doveva comprarla a fine di marzo. Io il 15 avevo già chiuso casa. Ho chiuso qui. Un anno. Già tutto pronto! Andavo a far ginnastica con lei all’ospedale. Le sono andata dentro insieme. Lei è andata in prima: avevo la camera insieme a lei, perché siamo state dentro diciassette, diciotto giorni, neh, a trasfusioni di sangue e via dicendo... La sciamo stare. Abbiamo fatto dei parti brutti sia io che lei... Sono andata su a Cossila... perché da quando ha conosciuto questo Renzo, c’è solo Cossila. Biella non è più niente. Io volevo che si trovassero un alloggio qui, insieme... No. no! “Ma vuoi mettere l’aria di Cossila?”
Sono stata su un anno. La Dany è maestra d’asilo, però non l’ha mai fatta. L’hanno chiamata da Cerruti. Figurati! Una ragazza con diciotto anni, stare con ‘sti bambini a fare la baby-sitter la sera! Non ho voluto. Poi a Zumaglia... non era statale e io non volevo. Volevo che fosse a posto. Poi è venuto un amico, il marito di una mia amica, che era sindaco a Verrone, a chiamarla per una ditta. Lei aveva il morbillo, a diciotto anni, era qui che piangeva tutto il giorno per casa, alta così! Figurati lei: “Ma va’! Ma scherzi! Con quello che ho studiato, vado in una fabbrica! Ma non so neanche cos’è! Non mi intendo niente di filati!”
Tutte le ragazze che erano uscite dal Santa Caterina erano finite in quelle assicurazioni, prendevano 20-30.000 lire al mese. A lei ne offrivano subito 100.000. Le ho detto: “Beccati ‘sto centomila!” Siamo andate anche dalla superiora: “Daniela, prenditi questo. Guarda che son tutte nelle assicurazioni. Non trovano, non trovano!”
Ha lavorato da ragioniera e poi è andata a scuola al Clim. E’ tanto puntigliosa. La sua fabbrica l’ha in mano lei. Fa tutto, stratutto. Adesso anche lì c’è ancora due o tre operai, due impiegati e lei. Lei dice “Un giorno o l’altro...” Lei non la fanno fuori, neh. Va ancora oggi, che la bambina ha tredici anni, a lavorare alle 10 - 11 del mattino. Diciamo delle cose esclusive. Eppure, perché non venisse via, l’hanno sempre lasciata fare.. Quando mi raccontava... perché adesso non parliamo neanche più di quelle cose lì... guarda che il padrone quando doveva prendere l’aereo o cosa le chiedeva:
“Mi dica, Dany, cosa devo prendere?”
“Ma quanti giorni sta via? Ma in che albergo vuole stare?”
Gli dava lei le 700-800.000 lire!
Mi adorano ‘sti ragazzi. Mi adorano. Hanno fatto la camera anche per me. Lei mi dice: “Mamma sei un angelo, sei stata un angelo! Se ero io al tuo posto... non farei, sai, quello che hai fatto te!” Ma sai, adesso si parla ben di rado. Si parlava di più... Solo che non ha mai tempo di sedersi lì. Quando io lavoravo, la mia mamma diceva sempre alla Dany: “Ah, la tua mamma, non viene mai qui a sedersi un po’, che parliamo...” Allora lei veniva a casa: “Ma mamma... ma io, quando sarò poi sposata, vengo poi, sai, a sedermi là a parlare...” Alle volte suona sotto: “Mamma, puoi venire a prendere il pacco?” Provare per credere, come diceva quello là!
Mio papà me l’hanno ammazzato vicino alla Rotonda, sotto una macchina. Erano quattro giorni che mia mamma era a casa dall’ospedale, poverina. Quindici giorni, io, tutte le sere venivo fuori da lavorare, andavo all’ospedale, portavo a casa sacchi così da lavare, che ha fatto emorragia. Io avevo detto: “Vieni a casa che dormo una volta al mattino!” Mi ricordo, era il 4 novembre, di domenica. Mio papà era vecchio, era in pensione... Con quest’asma, al mattino, si alzava alle 4, 4 e mezza. Andava alla stazione San Paolo. Lì tranquillo, prendeva il suo giornale, il suo caffè e poi veniva a casa verso le 8, 8 e mezza. Un bel mattino, un camioncino che va a prendere la posta l’ha investito giù alla stazione! Quel mattino lì, che volevo dormire, alle 5 suonano il campanello. Un signore mi fa: “Signora scusi... guardi, sono proprio stato io. Ho investito suo papà. Ma non c’è niente di grave. Vada all’ospedale!” Tutto a piedi. Sono arrivata alle 6 all’ospedale col cuore in gola. Era in neurologia. Vado sopra... dio, ho dovuto sempre farmi forza anche quando non ce l’avevo!...Tutta la testa fasciata, solo gli occhi fuori.
“Rosalba mi hanno ammazzato. Sono bello e morto!”
“Ma no, papà! Figurati! Parli! Figurati se sei morto!”
Ah, se mi avessero bucata, non avevo più un goccio di sangue addosso! Del 4 è poi morto il 9. L’ho proprio visto spirare...
Sì, sì, mia figlia l’ho lasciata libera. L’unica cosa che non ho voluto è che andasse a lavorare nei paesi e che non fosse statale da maestra... A ventun anni se n’è già andata! E’ uscita dal Santa Caterina proprio bambina, con diciotto anni. Era proprio una matulina! Che io, a diciotto anni, ero già tanto più sveglia di lei! Io, “Pane e Rotonda”, come diceva mio papà, perché andavo sempre a ballare là.
Un anno, prima di partire per il mare, mi fa:
“Sai, quel ragazzo di Cossila dovrebbe venire al mare con noi...”
“Cosa? Ma deh, è mica il tuo ragazzo?”
“Ma no!”
Lui è partito con la sua macchina e noi siamo andate con il nostro pullman siccome andavamo prima. E’ arrivato e la mattina lo sento già bussare alle 8!
“Dany, bussa già!”
“Scusatemi, sotto non c’è un finestrino. Ho un caldo da morire, non ho uno specchio per farmi la barba...”
Comunque, l’unica cosa che le ho detto: “Senti Dany, è un tuo amico? Lasciamo stare: ti piacerà, non vuoi dirmelo...Però ricordati bene! Che tu non vada mai sopra con questo ragazzo, che non ci sia io! Sai che a noi ci conoscono qui...” Difatti sono stati prudentissimi, neh. Poi lo aspettava sotto... Un giorno a tavola, così, ridendo: “Diglielo tu!”
“Un altr’anno, a settembre, ci vogliamo sposare!” . A Rimini, là a tavola! Io sono rimasta senza parole...
Ce l’avevo poi qui tutte le sere. Però mi ha voluto bene ‘sto ragazzo, perché, proprio all’inizio, è stato dietro a ‘sta bambina...Avevo la mamma lassù a Trivero. Veniva lassù con noi alla domenica. Si beveva qualche succo di frutta e qualche panino, perché passavamo dalla mattina a mezzanotte su nella camera con la mia mamma, io e la mia Dany. Che la mia Dany voleva più bene alla mia mamma che me. Perché la nonna, per la gran carità! E questo ragazzo passava le domeniche con noi là. E io gli dicevo:
“Dany, andate sotto a mangiare un piatto di pastasciutta!”
“No mamma” - diceva - “No mamma!”
“Ma vada almeno lei!”
“Oh, io, se non viene Daniela, non vado!”
E’ stato tanto vicino quando è morta. Perché, quando è morta la mia mamma, la bambina... è come se fossi stata morta io!
Ah, il giorno che si è sposata, la sera prima mi fa: “Non voglio che domani mi sposo senza che la nonna abbia i miei fiori!” Siamo andate a farle fare il bouquet e l’abbiamo portato sulla tomba. E, prima di partire, è andata di nuovo al cimitero a portare la corbeille più grossa. E poi ha preso una donnina vecchia che abitava vicino alla mia mamma: “La Marietta deve rappresentare la nonna!” Ce l’ha nell’album da sposa: lei, la Marietta e il Renzo!
Ah, per la mia mamma...L’ha allevata e lei era molto attaccata, molto, molto! Com’è attaccata a me, mia figlia... e anche mia nipote perché ci sono solo io, non ha altri nonni!
L’altra nonna è morta dopo nove mesi di matrimonio. Vengo fuori da Fossati, una sera, la trovo lì, piangendo. Mi è venuto il batticuore, neh! Nove mesi di matrimonio e piange! Ho detto: “Cosa c’è?”
“La mia suocera è in ospedale in fin di vita!”
“Ma come in fin di vita? Ma se domenica era là...”
Aveva male al cuore. E’ morta il giorno dopo.
Era una di ‘ste donne un po’ di paese, di campagna. Era rimasta vedova giovane... ha lasciato che facessi tutto io...21
Le ho fatto un alloggio che non ti dico. Senza l’aiuto di nessuno. E un matrimonio... un matrimonio d’oro. Vedessi che album ha la mia Daniela! Alle volte dico: “E’ l’album più bello...” E loro ridono: “Noi siamo i più belli di tutti!”
1 Una piazza di Biella.
2 Un certificato medico, cioè un’assenza per malattia.
3 Partorito.
4 Puoi capire, “Vanno a ballare e qui e là!”
5 E’ arrivato a cinquecento lire!
6 Sei (dei tempi) del re vecchio!
7 Ma dei cestini!
8 Era un piccolo gabbiotto.
9 Piccole.
10 Il lavoro era poco faticoso.
11 Che vado a chiedere.
12 Spigliatissima.
13 I mille colpi di telaio
14 Letteralmente baracchini, catorci.
15 Questo poverino.
16 Hai visto?
17 Letteralmente: puoi capire!
18 Truffava nelle paghe.
19 “Ehi, giovanotto! Ho lavorato tutta la vita. Sono capace, sai, a tenermi i conti!”
20 “Ma cosa me ne faccio io dei suoi soldi!”
21 Che organizzassi il matrimonio.
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