Ente
Filatura e Tessitura Franco Alice
- Storia istituzionale
- Da "Eco di Biella" del 10 febbraio 2025
Articolo di Danilo Craveia
Davvero esigue le notizie a corredo del pezzo di questa pagina. Alice Franco ha lasciato ben poche tracce di sé. La sua tomba, nel cimitero di Strona, racconta tre generazioni con tre nomi. Il padre Antonio, morto a 63 anni nel 1909, Alice, classe 1884, e il figlio Eriberto, nato due settimane prima del suo decesso, il 16 ottobre 1918. Quest’ultimo morì nel 1984. Una tomba desolata, ma non abbandonata. Un lumino elettrico acceso, un vaso di fiori quasi freschi e la lapide aggiunta di un Cappio, Savio (1911-1955), forse imparentato con Estella. Una tomba che tramanda dignità, lavoro, la speranza di una dinastia più ampia che non c’è stata, e i segni di una sorte avversa, quella che accosta alla culla di un bambino la bara del genitore. Sul “Albo dei produttori italiani in ogni ramo industriale” del 1917 si legge il nome della ditta. Per l’anno seguente, invece, si trova quello della “Ditta Grupallo & Franco”. Quest’ultima, che il “Corriere Biellese” non collocava a Strona, bensì a Campore (cioè a Crocemosso, forse confondendola con la “Filatura e Tessitura Franco Alice”?), nel febbraio-marzo 1916, fu teatro di uno sciopero di tessitrici per questioni di orari e di salari, per millesimi di lira ogni “mille” battuto al telaio. Null’altro.
In calce, la firma del medico dottor Lorenzo Depetro. Poco sopra, a sinistra, la data: Valle San Nicolao, 6 novembre 1918. La dichiarazione: “il Signor Franco Alice, fu Antonio, industriale, domiciliato a Valle San Nicolao, il 19 ottobre 1918 veniva colpito da influenza, dapprima non grave. Il 23 ottobre 1918 fece una grave ricaduta, che presto si complicò a doppia bronco-polmonite, con febbre sempre altissima (40°-41°). Tutte le cure del caso, in unione a medici consulenti, furono tentate, ma nulla valsero; sì che la mattina del 29 ottobre 1918, ed alle ore cinque del medesimo decedeva nella borgata Molin Filippo”. Alla famigerata “spagnola” si era unita una nefrite, e per il malato non ci fu scampo. Alice Franco [Franco è il cognome] aveva trentaquattro anni. Nativo di Strona, sull’atto di morte, redatto dal sindaco Giuseppe Pizzoglio alla presenza del parroco don Emilio Sereno, è indicato come meccanico, coniugato con Stella (o Estella) Cappio. In quell’atto non è evidenziato che il defunto lasciava anche un figlio. Ma perché ci interessa una delle tante vittime della pandemia che colpì l’umanità alla fine della Grande Guerra? Perché alcune labili tracce della breve esperienza imprenditoriale dello sfortunato stronese si sono inaspettatamente conservate e, da oggi, si possono consultare on line (retearchivibiellesi.it), oppure alla Fabbrica della Ruota di Pray. L’attività industriale di Alice Franco è inserita nel comparto tessile laniero e, per quanto breve ed estemporanea, si presenta come un esempio significativo di quelle iniziative, numerose, non sempre coronate dal successo e, proprio per questo, per lo più obliate, che si manifestarono appena prima, durante e appena dopo la Grande Guerra. Si trattò, nello specifico, di un periodo di vitalità produttiva innescata dalle commesse militari, sia come effetto a lungo termine a seguito del conflitto italo-turco, sia, e più ancora, come diretta conseguenza del 24 Maggio. I documenti pervenuti al DocBi Centro Studi Biellesi, non molti, in verità, ma comunque rilevanti, attestano un primo sodalizio costituito da Alice Franco con Giuseppe Grupallo, originario di Pettinengo, sotto la ragione sociale “Ditta Grupallo & Franco”, una società in nome collettivo corrente in Strona il cui avvio è datato al 1° giugno 1914. Prima di quella data, il 3 agosto 1913, i due soci e un terzo compagno d’affari, Felice Moschetto, stronese di nascita, ma residente a Cossila, avevano sottoscritto un contratto d’affitto per una serie di macchinari (due assortimenti Stabilimento Meccanico Biellese, due selfacting Oscar Schimmel e Richard Hartmann, entrambi fabbricati a Chemnitz, Sassonia, otto telai Grossenhainer Webstuhl und Maschinenfabrik di Grossenhain, pure in Sassonia, un battitoio da miste costruito da Desiderio Colongo e un sistema elettrico inclusivo di dinamo, trasformatore e motore marca elvetica Elektrizitätsgesellschaft Alioth AG) ceduti loro in locazione da Domenico Cappio Borlino. La “Ditta Grupallo & Franco” nasceva dalle ceneri della cessata “Moschetto & C.”, di Felice Moschetto (forse la stessa che aveva affittato le macchine il 3 agosto 1913), e aveva per oggetto la carderia e la tessitura. Lo testimoniano alcune note contabili di debiti nei confronti delle ditte sassoni Grossenhainer Webstuhl und Maschinenfabrik di Großenhain (telai) e Mechanische Kratzenfabrik di Mittweida (carde). Le carte di detta azienda datano fino al 1919. La “Ditta Grupallo & Franco” lavorava esclusivamente conto terzi, in particolare per lanifici di più cospicue dimensioni, come Successori Sella di Valle Mosso, Cerruti & Perolo di Vigliano Biellese, Ottavio Reda di Lessona, Piana Giacomo & Figli di Cossato. Un copiafatture del 1915-1918 indica la produzione di panno grigioverde come prevalente, sempre su commessa dei suddetti clienti. Da evidenziare anche lo smercio di filandre millefiori e di cotone tanto per il Maglificio Francesco Maggia (stabilimento di Vercelli) e per tale Pietro Michelone, rottamaio di Biella. Lo stesso Michelone acquisì, in quegli anni, un piccolo quantitativo di scarti di lavorazione metallici. Derivavano probabilmente dall’attività secondaria della “Ditta Grupallo & Franco”, ossia la produzione di bossoli per proiettili svolta per conto della Società Fabbricazione Proiettili di Torino. L’officina della fabbrica era una delle innumerevoli che le contingenze belliche avevano di buon grado fatto “reclutare” dal Regio Esercito che, come è facile comprendere, non di solo grigioverde abbisognava, anzi. L’ultima velina del citato copialettere tramanda la minuta di una lettera firmata da Alice Franco e datata 27 giugno 1918. Destinataria la “Agenzia delle Imposte Dirette e dell’Entrata” di Cossato. La breve missiva reca una dichiarazione secondo cui lo scrivente aveva servito al fronte come armaiolo (essendo un meccanico non stupisce) in una non meglio identificata 10a Compagnia Mitraglieri tra il 16 febbraio 1916 e il 4 maggio 1917. Da quel giorno, l’imprenditore vallestronese era stato trasferito all’Arsenale di Torino e lì si trovava al momento di redigere la lettera (e verisimilmente anche dopo, ma all’epoca del manifestarsi dell’influenza era già rientrato a casa). Il resto dei documenti riguarda poi la seconda intrapresa industriale di Alice Franco, ossia la sua ditta individuale attiva a Crocemosso. L’azienda era sicuramente già in esercizio nel giugno del 1915, come documentato da un libro giornale compilato a partire da quel periodo. Un’altra unità produttiva che operava da terzista a favore di ditte più grandi. Considerato che, già a febbraio del 1916 Alice Franco era in zona di guerra, è più che probabile che fu la moglie ad avere un ruolo importante nella conduzione della fabbrica (della quale non è nota l’ubicazione, tenuto conto del fatto che, all’epoca, il Comune di Crocemosso, soppresso nel 1929, si estendeva da Viebolche a Campore, tutto lungo il Venalba e fino alle sponde dello Strona). In effetti, la firma di Estella Franco compare regolarmente sui documenti in nome e per conto del marito assente e, dopo la sua morte, la vedova continuò a occuparsi della fabbrica Nella “Filatura e Tessitura Franco Alice” era a libro paga una trentina di operai e operaie, una decina in tessitura e il resto addetti ai filatoi. Gli ordini provenivano dalle stesse industrie (cui si possono aggiungere Serafino Bertotto di Valle Mosso, Pianceri & Torino di Pianceri-Pray) che garantivano la sopravvivenza della “Ditta Grupallo & Franco”, e non è chiaro come le due aziende, delle quali Alice Franco era fattor comune, si rapportassero tra di loro. Forse sussistevano accordi tecnico-produttivi di reciproca integrazione al fine di evitare concorrenza inutile e sovrapposizioni commerciali. Di certo, la filatura di Crocemosso “girava” a pieno regime (anche se la “Successori Sella” lamentava scarsa qualità per quanto riguardava il filato definito “deficiente di resistenza” una volta tessuta la pezza), come suggerito dalle continue manutenzioni ai tamburi delle carde. Il fornitore delle macchine e dei pezzi di ricambio era Giovanni Schelling di Baveno. Anche alla “Filatura e Tessitura Franco Alice”, per quegli anni travagliati, il colore dominante fu il grigioverde. In linea teorica, ma nemmeno poi tanto, l’armiere Franco si poteva trovare nella condizione di indossare, nelle retrovie della prima linea, il panno da lui stesso prodotto. Purtroppo, la documentazione indica che anche la sua azienda fu soggetta a verifiche e a successive imposizioni fiscali in ordine ai profitti e agli extraprofitti generati dalle commesse militari. Ancora ben dopo la sua morte, la vedova scambiava corrispondenza con avvocati, contabili (ragionier Giuseppe Ferro) e uffici di varie istituzioni relativa a questa spinosa questione. Un’ulteriore osservazione dei documenti induce a credere che gli affari non procedessero come sperato visto che, poche settimane prima di morire, esattamente il 26 settembre 1918, Alice Franco accese tre differenti ipoteche a favore di Flavia Cappio, Amedeo Foglia e Remo Foglia (amici e/o parenti). Non è esplicita la ragione di tali iniziative, ma è più facile pensare a una situazione di grave necessità, piuttosto che alla volontà di procurarsi la liquidità per velleitari investimenti. Le carte disponibili offrono una visuale discontinua e parziale ma, seppur grossolanamente, consentono di abbozzare gli ultimi cinque anni di vita di un giovane imprenditore della Vallestrona che non ha avuto un destino benevolo.