Ente
Lanificio Sociale Biellese
- Storia istituzionale
- Finanza più che lana: breve vita del Lanificio Sociale Biellese
[dall'articolo di Danilo Craveia apparso su "Eco di Biella" del 5 dicembre 2022]
La Banca Popolare di Biella e Circondario fu costituita il 28 febbraio 1878. Fallì il 23 agosto 1894. Una banca di industriali nata per sostenere gli industriali. Ma la scelta di appoggiarsi quasi del tutto alla sorte del Lanificio Sociale Biellese fin dalla sua costituzione non fu affatto vincente. Nel 1884 la banca aveva già problemi di capitali e il consiglio di amministrazione stabilì di ricostituire il fondo sociale con le azioni (non poche) del Lanificio Sociale Biellese. Grosso errore. La produzione tessile non riuscì mai a decollare al punto di sostenere l’istituto di credito di riferimento. Così entrarono in scena i banchieri genovesi Stallo che, insieme al finanziere ebreo Giacomo Malvano, un “pezzo grosso” e vero esperto del settore, traghettarono il Lanificio Sociale Biellese verso una big del tessile cotoniero e laniero dell’epoca, la Federico Gruber e Comp. di Genova. Il Lanificio Italiano, coggiolese-ternano, durò meno di un lustro. Il Lanificio Gruber di Terni oggi è un fantasma architettonico ingombrante per la città, con tanto di lagnanze civiche e interessanti piani di riqualificazione. Lo stabilimento di Coggiola, invece, è passato alla ditta Bruno Ventre & Bardella fin dal 1898, rimanendo attivo per quasi un secolo. Adesso è in stato di abbandono.
Meteora tessile, oggetto industriale non identificato, nel Lanificio Sociale Biellese ci si imbatte bazzicando gli archivi di genere, e la stampa locale d’epoca. Epoca, l’ultimo quarto dell’Ottocento, ricchissimo di esperienze imprenditoriali e, più ancora, di esperimenti. Non tutti riusciti, a dire il vero… Nel novero di questi ultimi si conta proprio il suddetto Lanificio Sociale Biellese del quale, con non poca fatica, si trovano notizie in qualche misura circostanziate. Ecco in breve quanto scoperto in merito. Nel maggio del 1890, il Lanificio Sociale Biellese era già in liquidazione. Il che, di per sé, non è grave, se non fosse che la (non) premiata ditta era stata costituita soltanto pochi anni prima. Lo statuto della società anonima risaliva, infatti, al 30 marzo 1884. Secondo gli “Annali di statistica” dedicati alle industrie pubblicati dal Ministero di Agricoltura, Industria e Commercio nel 1889 in riferimento alla Provincia di Novara, il Lanificio Sociale Biellese era attivo in quel di Coggiola (ma la sede legale era a Biella), “con 2 motori idraulici di 115 cavalli, 2000 fusi e 70 telai meccanici, tutti attivi, e 215 operai”. Non una fabbrica gigantesca, ma neppure una delle più piccole. Una nota a piè di pagina, tuttavia, segnalava che “col 1° gennaio 1889 questo stabilimento ha assunto il nome di Lanificio Nazionale (società anonima con un capitale di lire 12.000.000), e vi si è aggiunta la filatura di lana pettinata con 32 mila fusi e la tessitura di flanelle”. La precisazione era, in parte, errata perché la nuova denominazione era Lanificio Italiano, ma era attendibile per quanto riguarda la data di trasformazione. Ragion per cui, il tempo di esistenza in vita del Lanificio Sociale Biellese si contrae ulteriormente. Eppure, quella dell’azienda coggiolese fu un’agonia lenta, tant’è che il 4 novembre 1891 su “La Tribuna Biellese” si leggeva che il Lanificio Sociale Biellese era ancora in liquidazione. In effetti, il decesso della società era stato certificato ancor prima del 1° gennaio 1889, cioè già nel novembre dell’anno precedente. Il 19 dicembre 1888, nelle sale della Banca Popolare di Biella e Circondario (questo nome ricorrerà tra poche righe) “si tenne l’assemblea generale dei Soci del Lanificio Sociale Biellese per deliberare intorno al seguente ordine del giorno: 1° Relazione del Consiglio d’Amministrazione e dei Sindaci e approvazione del bilancio-inventario. — Valutazione delle azioni sociali e loro estimazione in L. 200. 2° Costituzione in liquidazione dell’attuale Società e nomina della Commissione di stralcio colla facoltà ai liquidatori nominati di alienare l’attivo mobiliare ed immobiliare senza formalità d’incanto e di prendere parte alla costituzione di una nuova società col capitale di L. 4.000.000, mediante cessione di stabili, macchine, scorte contro il corrispettivo in azioni della nuova Società di L. 500 ciascuna liberate e successiva surroga delle attuali azioni in proporzione delle nuove”. A osservare da qui e ora, quella riunione sembrava avere la funzione di salvare il salvabile, ma con l’idea nitida di travasare tutto quanto in una nuova avventura imprenditoriale. Secondo “L’Eco dell’Industria” del 20 dicembre, le cose andarono così: “Aperse la seduta il cav. Gaetano Stallo, presidente dell’Amministrazione, il quale venne ad unanimità confermato presidente provvisorio dell’adunanza. Nominati a scrutatori i signori Amosso Ettore e Cornale Alessandro, risultarono presenti o per delegazione N. 3157 azioni rappresentanti ad esuberanza il quantitativo voluto dalla legge per la legalità delle deliberazioni. La relazione dell’ufficio di presidenza letta dall’egregio avv. E. F. Bona ottenne l’unanime plauso dell’assemblea. La relazione dei Sindaci confermò ed accrebbe le buoni disposizioni dell’assemblea ad accettare gli ordini del giorno proposti; per cui questi vennero ad unanimità approvati non senza tributare il dovuto omaggio alla benemerenza del cav. Gaetano Stallo, dell’avv. E. F. Bona, del cav. Virginio Ferrua, dei comm. Balduino, e Grùber di Genova, i quali rendendo possibile la fusione del Lanificio Sociale Biellese col Lanificio Grùber di Terni resero segnalato servigio all’industria nazionale, cooperando così efficacemente a quella redenzione economica che segna il vero principio della soluzione dell’intricato problema sociale”. Quindi, un’impresa moriva e dalle sue ceneri ne nasceva un’altra, per fusione. E il tutto con piena soddisfazione degli azionisti (e anche dei lavoratori di Coggiola?) che, bontà loro, si ponevano non tanto il traguardo del profitto, quanto il problema della “redenzione economica” con finalità sociali. Filantropi. Ma non solo. Filantropi biellesi. I quali, “Biellesi nell’anima, non potemmo non senza compiacente soddisfazione assistere ad un’adunanza dalle cui deliberazioni viene a scaturire il primo esempio della grande industria fra noi, esempio che dovrà non riuscire infecondo per rialzare le sorti nostre, per utilizzare e rendere più proficue le intelligenze e le attività, che si esplicano nelle industri e laboriose nostre valli. Finita l’adunanza un’eletta schiera degli intervenuti, riunitasi ad amichevole banchetto all’albergo della Testa Grigia volle dare al cav. Gaetano Stallo una dimostrazione lusinghiera di stima e di affetto quale meritamente si conveniva all’intelligente figlio della superba Genova, che, superando non lievi difficoltà ed opposizioni, seppe dar impulso e vita nuova all’industria laniera nazionale, sì da affrettare l’emancipazione economica del paese”. Non risulta che gli operai di Coggiola, e neppure quelli di Terni per essere precisi, abbiano preso parte all’amichevole banchetto, ma potevano stare comunque tranquilli perché, in realtà non fu una tavolata festosa dovuta al pericolo scampato (la ditta restava in qualche misura in piedi, anche se non erano stati definiti i “sacrifici necessari” da infliggere alla base… e dove altrimenti?), bensì un simposio rapido, veloce, tutto teso ad “affrettare l’emancipazione economica del paese”. Ironia a parte, quel 19 dicembre 1888 il Lanificio Sociale Biellese, nato dal sodalizio delle industrie Bozzalla e Strona, finiva i suoi giorni non troppo gloriosi. E sorgeva il Lanificio Italiano. Venti giorni prima, lo stesso bisettimanale pubblicava il “piano d’investimenti” e quello “industriale” della nascente intrapresa che, malgrado la situazione debitoria, poteva portare in dote un milione di lire (“riservato agli azionisti del Lanificio sociale mediante cessione”) a fronte di analoga somma conferita dalla Società Generale di Credito Mobiliare Italiano e di due milioni esposti dalla ditta F. Gruber e Comp. Di Genova che, con facile calcolo, diventava la nuova padrona. Lo stato dell’arte era questo: “La differenza fra l’importo della cessione ed il milione assunto verrebbe lasciata alla opzione degli azionisti, colla riduzione proporzionale in caso di maggior richiesta. Il valore degli stabili e meccanismi, tanto dello stabilimento Gruber di Terni, come del Lanificio Sociale, fu conteggiato su basi eguali, dietro perizia degli ingegneri Canetti per gli stabili e Bollinger per i meccanismi. È intenzione dei nuovi soci di riunire a Coggiola la fabbricazione dei pannilana e riservare lo stabilimento di Terni all’ impianto della filatura della lana pettinata, fin d’ora predisposta per fusi 32.000 ed intanto iniziata con fusi 12.000. Le azioni della nuova Società sarebbero quotate in Borsa sotto gli auspici dei potenti nuovi soci e così facilmente realizzabili”. In teoria. E non sia lecito pensare che il Lanificio Sociale Biellese non abbia lottato per sopravvivere. Però il difetto stava nel manico, cioè nell’origine stessa del sodalizio. Infatti, non si trattava di una normale iniziativa produttiva e commerciale, bensì di un tentativo in extremis messo in atto dalla Banca Popolare di Biella e Circondario per salvare se medesima dopo i fallimenti dei due lanifici che ne finanziavano di fatto l’attività di credito. I debiti di Albino Bozzalla e del Lanificio G. A. Strona erano stati “fusi” per creare un “monstrum” industriale che, fin da subito, aveva mostrato di avere poche speranze di vita. I problemi erano iniziati ancor prima di… iniziare. Senza contare che la sfortuna doveva ancora giocare le sue carte. A metà maggio 1887 scomparve Augusto Bauck, direttore del Lanificio Sociale Biellese di Coggiola. Un duro colpo. Tutto si fermò rapidamente. La Banca Popolare di Biella e Circondario riuscì a superare la crisi, ma anche il Lanificio Italiano non fu la soluzione. Nel 1894 era già fallito a sua volta. E con lui, la Banca Popolare di Biella e Circondario…