Franco (Francesco) Cavazza nacque a Villa Belpoggio (BO) il 5 ottobre 1915 da Filippo ed Elvira Belgrano. Ebbe due sorelle, Marilina e Flavia Domitilla.
La famiglia si trasferì nel 1920 a San Martino in Soverzano nel castello di famiglia e poi in Libia dove il padre Filippo diresse l’Ufficio della Colonizzazione come esperto di agronomia e zootecnica.
Al ritorno in Italia nel 1926, Franco si iscrisse al Liceo Ginnasio Galvani, dopo aver ricevuto la prima educazione dalla istitutrice Margherita Galvagno.
Appassionato di montagna, entrò nella sezione bolognese del CAI e iniziò le sue esperienze di scalatore, sciatore e rocciatore in Val Gardena.
Nel 1935 alla visita di leva venne assegnato al corpo degli Alpini e poi ammesso alla Scuola di Bassano del Grappa dalla quale uscì con il grado di sottotenente di complemento e svolse il servizio di prima nomina al 6° Reggimento alpini.
Nel 1936 riprese gli studi all’Università di Firenze e si laureò nel 1939 in Scienze Sociali e Politiche, discutendo la tesi “Le agitazioni agrarie in provincia di Bologna dal 1910 al 1920”, ricerca poi pubblicata nel 1940. Nel 1994 l’opera fu ristampata dall’Istituto per la Storia di Bologna con la collaborazione delle sue sorelle.
Franco venne richiamato alle armi nel dicembre 1939: nel gennaio successivo era presso la Scuola Allievi Ufficiali di Complemento Alpini di Bassano del Grappa, poi presso il Battaglione Alpini Bolzano, dove fu nominato Tenente. Venne richiamato nel novembre 1940 e con il battaglione “Gemona” dell’VIII Reggimento Alpini della Divisione “Julia” fu inviato in zona di guerra sul fronte greco-albanese come Comandante di plotone, a difesa del Monte Golico.
Il 18 marzo del 1941 morì colpito da una bomba di mortaio e venne sepolto nel cimitero da campo di Monastir Kodra. La salma venne poi riesumata per essere trasferita nel Sacrario Militare dei Caduti d’Oltremare di Bari, ma durante le operazioni di trasferimento vennero persi i riferimenti di identificazione della sua urna e per questo ora riposa in una tomba comune.
Per onorare la sua memoria la famiglia Cavazza nel 1942 decise di dedicargli con l’approvazione del CAI il rifugio alpino Pisciadù (Gruppo Sella, Corvara, Val Badia – Bolzano).
Franco Cavazza viene descritto come uomo riservato e introverso, per nulla attratto dagli eventi mondani, ma piuttosto dedito alla contemplazione della natura.
Dalla su tesi di laurea emerge un’attenzione speciale verso le classi più deboli e le origini delle lotte sindacali.
La passione per la montagna lo aveva spinto ad arruolarsi nel corpo degli Alpini, ma quando si giunse alla guerra emerse nel suo animo un grande conflitto: da un lato il senso di lealtà verso la tradizione alpina del suo battaglione che lo spingeva alle azioni di guerra, dall’altro il suo crescente sentimento di rifiuto verso quelle stesse azioni che portavano alla morte di molti commilitoni per una causa da lui non condivisa.
La sua scelta finale fu quella di avanzare sul fronte disarmato e solitario, dopo aver mandato indietro il suo attendente; in lui vinse la promessa fatta al padre prima di partire: “Papà, non temere, ché a me potranno fare del male, ma io non farò mai male ad alcuno!”.
Cesare Fantazzini, "La singolare figura di Franco Cavazza" in "Il castello di San Martino in Soverzano. I La storia e le famiglie", a cura di M. Fanti, Bononia University Press, Bologna 2013.