Persona
Luigi Pralavorio
Data: 1901-1982
- Nascita
- Luogo:
- Pettinengo
- Data:
- ottobre 1901
- Morte
- Luogo:
- Pettinengo
- Data:
- 25 gennaio 1982
- Biografia / Storia
- Da "Eco di Biella" del 28 gennaio 1982.
[biografia]
Luigi Pralavorio nacque a Pettinengo nell’ottobre del 1901. La sua fu una vita costellata di attività quanto mai eclettiche, incentrate, tuttavia, sulla passione più grande: quella per il teatro. Luci della ribalta, scenari, quinte, il movimento dei personaggi, le battute dei mattatori e soprattutto i drammi che a quei tempi eran di moda nell’interpretazione dei Tumiati, di Palmerini, di Alda Borelli lo attraevano entusiasmandolo. Il teatrino di via Marconi si spalancò a lui con la filodrammatica dell’Excelsior. Poi un giorno, nel 1920, capitò al Sociale Alda Borelli — che, con la sorella Lida, condivideva i successi di tutte le platee — per «L’ Aiglon» di Rostand. Sottile all’inverosimile, quasi diafano nel volto glabro dal quale si dipartiva un naso affilato, Alda Borelli se lo vide dinnanzi nel ristretto del camerino. Pralavorio voleva fare l’attore e da Pettinengo era venuto a piedi per dirglielo. La grande attrice non esitò a dissuaderlo, ma il risultato fu un altro. Il giorno appresso Luigi Pralavorio, con una valigetta di fibra nella quale aveva raccolto pochi indumenti, ma parecchi testi teatrali, già viaggiava con la compagnia, in terza classe, alla volta della «nuova» piazza. In teatro fece di tutto: il suggeritore, il buttafuori e più in là il correttore di copioni, l’aiuto regista, il regista, il presentatore, l’attor giovane e l'attor anziano fino a ricoprire posti di responsabilità, pur continuando ad assolvere, dove appariva necessario, alle più elementari incombenze che il palcoscenico esigeva. Venne il cinema e Pra ebbe il suo guizzo di celebrità con l’interpretazione di Pomino nel «Fu Mattia Pascal» di Pirandello: del cast facevano parte Blanchard, Irma Gramatica, Chenal ed una folta schiera di autentiche firme dello schermo francese ed italiano. Per Pralavorio fu un successo pieno, semplicemente ombreggiato da una critica che, tutto considerato, gli faceva onore: quel Pomino parlava troppo bene. Ed era vero: aveva curato e coltivato la dizione fino a renderla perfetta, assolutamente priva di inflessioni dialettali. A lui la radio (a Torino, dove l'EIAR aveva allora la sua direzione generale) affidò il microfono per diverse trasmissioni, tra cui quella del «Gatto nero», una rubrica che già aveva assicurato a Nunzio Filogamo una buona notorietà. Nel frattempo Pralavorio collaborava a quotidiani e settimanali con articoli di terza pagina e con servizi speciali anche su argomenti non teatrali. Una serie di articoli dalla Tripolitania lo avevano posto all’attenzione dei lettori. Il teatro, tuttavia, continuava ad esercitare l’eterno fascino. Sognava una regia ed ebbe quella delle «Sacre Rappresentazioni di Oropa» che lo videro realiz zare un mistico racconto di Germano Caselli: «Judith e la Maria Vergine». Oropa accolse inviati speciali di tutta Italia, d’accordo a riconoscere la geniale e poetica trasposizione ideata dalla sacra immagine alla realtà di movimento. Poi la guerra a cavaliere di un tempo che gli consentì l’edizione di un paio di libri spumeggianti per trovate e modernità. Aderì al movi mento futurista che caldeggiò soprattutto nell’inventiva pittorica e nella trovata letteraria. Una seria malattia, seguita da una dolorosa operazione chirurgica, gli impedì di firmare un film che gli era stato proposto per il quale già rincorreva nella sua fantasia una tessitura originale cui non sarebbe sicuramente mancato il consenso. Il dopo è tutto di marca biellese: cronache di ieri che i lettori hanno seguito sulle colonne di «Eco di Biella», dove la sua scomparsa ha lasciato, come è facile da capirsi, un incolmabile vuoto di affetti. Alcune di queste cronache sono state raccolte in libri, il più significativo dei quali è «Ragazzo di paese».
[dalla prrima pagina]
La scomparsa di Luigi Pra lavorio, scrittore e giornalista, ha segnato un’ora di profondo lutto per la cittadinanza che ha appreso lunedì mattina la triste notizia comunicata dalle radio locali. Pra si è spento verso le ore 11 mentre gli erano attorno, con la diletta sua Adriana, la sorella Angiolina, il fratello Dante e la cognata Virginia. E’ stato subito un accorrere di colleghi, pittori ed artisti: Rodolfo de Bernardi e Carlo Caselli per «Eco di Biella», Pietro Minoli e Mario Pozzo, rispettivamente per la «Stampa» e la «Gazzetta del Popolo». Poi sono arrivate personalità del mondo politico e del mondo culturale biellese tra cui l'on. Furia che era accompagnato dal segretarió Ronzani della Federazione comunista e via via tanta e tanta gente estremamente commossa e sinceramente dispiaciuta per la grave dipartita che ha privato la nostra terra di un fecondo e facondo scrittore e giornalista. Commosso, a sua volta colpito negli affetti di un’amicizia durata una vita intera, don Antonio Ferraris, pettinenghese e amministratore de «il Biellese», si è soffermato a lungo davanti alle spoglie dell’amico unito ai familiari nella preghiera. Altro tributo di fervido rimpianto si è manifestato martedì pomeriggio al Camposanto di Pettinengo dove, per sua pspressa volontà, Pralavorio ha trovato l’eterno riposo nella terra poco lontano dalle tombe dei suoi genitori e della sorella Fiorenza mancata lo scorso anno.
[il ricordo dell'amico Piero Forzini]
Addio; non è arrivederci, addio è perdersi irrimediabilmente e fa male: addio, Pralavorio! Ottanta anni, una salute precaria, un polmone solo, il lampo arguto di uno sguardo, la battuta ironicamente pungente, mai cattiva: Biella ha perso un personaggio. E’ difficile essere un personaggio in una città sia pur piccola, sia pure addormentata in fondo alla provincia; ma Pralavorio lo era, inconfondibile e amato, per la sua presenza di scrittore e di giornalista, per la sua presenza fisica: le lunghe, morbide, sciarpe di lana, ora bianchissime, ora luminosamente azzurre; il cappello con la sbarazzina inclinatura dell’ala e, ultimamente, il bastone da passeggio. Gli amici dicevano che lui recitasse il copione di un anziano signore, con tutta l'innocente civetteria che la cosa comporta. A lui, uomo di spettacolo, vecchio attore e regista, forse non dispiaceva questa etichetta che sa di vecchio palcoscenico e la portava, ammiccando, da consumato professionista, nel palcoscenico della vita in cui noi recitiamo, Dio sa quanto maldestramente, il giuoco delle parti. Se la sua era una recitazione, non aveva sbavature, non sbagliava mai di tono, sempre controllata seppur fluente, il personaggio era lui, Pralavorio e Pralavorio era il personaggio... Da quanti anni eravamo amici? E’ una datazione che coinvolge un’epoca: Biella nell’immediato dopoguerra, il primo impatto con gente nuova per me, la ricerca dei simili che ciascuno compie, anche a livello di inconscio per superare un trapianto che è pur sempre traumatico: e ci incontrammo subito. Ricordo la prima volta: avevo scritto un lavoro drammatico su Van Gogh, una cosa giustificabile solo con l'inesperienza della giovinezza e il forsennato amore per il teatro e la pittura. Lo lessi a Gigi in una piola e, nei tavolini accanto, si giuocava a scopa, battendo forte le nocche, facendo tintinnare i bicchieri di barbera, che lasciano il vetro color viola anche da vuoti. Alzavo la voce per farmi capire tra le grida. Lui rimase zitto, come incerto. Un amico con noi disse, riferendosi alla piola: « Certo, in un altro ambiente... ». No, si riscosse Pralavorio, questa roba qui non è salottiera. Queste parole stanno bene in questo posto: vive in un posto vivo! Dì la verità: tu volevi scrivere il terzo atto? Di solito, ci si brucia al primo. Il secondo è sempre di transizione e, spesso, nel terzo, la carica, è già esaurita. Tu hai fatto il contrario. Sì, era proprio il terzo atto che volevo scrivere. Il resto era stata solo una cosa per arrivare a quello. Lo sentivo indistintamente, ma Pralavorio me lo aveva rivelato come una fucilata. Quell’esperienza che io non possedevo, lui l’aveva; ed era come un fuoco che si accende improvvisamente nel buio. Cosa fai di bello? E tu? Era un pretesto per ritrovarsi e il tempo non finiva mai e le parole, i pensieri, ci turbinavano quetamente intorno: seri, meno seri, allegri, crepuscolari, scanzonati, veri, infine, quali si convengono ad amici che gioiscono della reciproca facilità di espressioni e di immagini, senza quell’invidia che sembra la prerogativa, da sempre, della gente che scrive o scribacchia... Le tue monachine? Sembran quelle di Palazzeschi! Allora cercava tra i ranghi serrati dei suoi carissimi libri il volume da consultare; ed ecco nella sua lettura calibrata e sensibile il famoso ponte di Palazzeschi con le monachine che si incontrano nel mezzo, si fanno la riverenza e poi tornano indietro... La luce del tramonto entrava di sbieco dal flnestrone su, al Piazzo e i libri, d’intorno, d’improvviso, erano tutti vivi, vivi come noi due! Era diventato amico anche dei miei figli, correntisti della famosa Banca dei Giocattoli. Lo ricordate nelle vesti di Papà Geppetto? Più nonno di qualsiasi autentico nonno? Anche in quella parte, personaggio perfetto. Ora non c’è più. Lo cerco nella memoria, tra i suoi libri e, all’improvviso l’ho ancora. C’è una pagina di «Eco», mercoledì, 22 gennaio 1975 - Anno 29° - Numero 7: ci siamo entrambi. Lui con un capitolo del suo libro «Ragazzo di paese», dedicato alle compagne di scuola, io, con una delle solite divagazioni senza capo né coda. I due pezzi sono accostati; anche lì ci ammicchiamo, stiamo bene vicini... Addio, Pralavorio! Se nei campi Elisi c’è un luogo e deve esserci, per chi scrisse senza ingrassare, senza incensare nè nuocere a nessuno, solo per la pura gioia di creare immagini e sensazioni, serba un posticino piccolo anche per me: spengo la lampada e vengo.