Con il progetto dell’edificio tra via Mazzini e via Colombo l’architetto Nicola Mosso ha l’occasione di esprimere il suo personalissimo futurismo di impronta “scultorea e neoplastica”. Questo accade nei primi anni ‘30 proprio quando, tramite il pittore Fillia, Mosso si accosta al Secondo Futurismo, ai suoi protagonisti e a Marinetti. Il palazzo è un eccezionale esempio di integrazioni delle arti, ma è interessante notare come i primi disegni non indichino l’apporto di altri artisti. L’edificio viene concepito come una scultura a scala urbana, innovativa sotto diversi aspetti: non viene adottato lo schema a parallelepipedo chiuso, comune ad altre situazioni d’angolo della città; la facciata non è piana, ma frutto della compenetrazione di volumi e dell’alternanza “pieni e vuoti”; gli elementi tradizionali dell’architettura, quali cornicioni, stipiti e finestre sono re-inventati come astrazioni plastiche; l’uso del colore, infine, dà impulso dinamico alle parti. In un secondo momento si fa strada in Mosso l’idea di intraprendere una cooperazione con altri artisti e in una delle riunioni futuriste, frequenti anche a Biella, viene deciso di fare della Casa Cervo un “Manifesto” di integrazione delle arti. Il progetto prevede quindi l’introduzione, nelle pareti delle logge, di plastiche murali “a fresco” su intonaco, che vengono affidate agli amici pittori Fillia, Pippo Oriani e Mino Rosso, i quali rappresentano i simboli del paesaggio biellese - la fabbrica, i campi arati, i monti, il volo - in quadri di una “esposizione urbana” che si relazionano con il paesaggio circostante.
tratto dal catalogo della mostra Identità di pietra. Architettura del '900 a Biella, Biella 2011