Libro
Quando a Sanremo c'erano Nilla Pizzi e i sarti...biellesi
Data: 1 ottobre 2011
data di edizione
Sanremo vista da Biella.
L’esperienza del Festival della Moda maschile per il Lanificio Ermenegildo Zegna e gli altri lanifici biellesi
L’anno prima in quelle stesse sale, sulle note di Grazie dei fiori, Nilla Pizzi aveva vinto una gara canora destinata a fare la storia degli italiani e il Casinò di Sanremo era più che mai il “centro della vita mondana internazionale” come si leggeva nella réclame delle riviste chic. La moda (per donna), sempre nel 1951, aveva imboccato la via di Firenze indicata da Giovanni Battista Giorgini che l’anno seguente inaugurò le sfilate della Sala Bianca di Palazzo Pitti. Correva quindi il 1952 e anche la moda maschile voleva la sua vetrina. L’idea di ospitare nella floreale località rivierasca il primo “Festival della Moda Maschile”, con tanto di congresso nazionale dei sarti, mostra e gran galà venne a Michelangelo Testa, direttore di “Arbiter. Rivista di vita maschile”. Il mensile, destinato all’uomo abbiente ed elegante, pubblicato a Milano senza grande successo alla fine degli anni ’20 fu rilanciato nel 1935 dal velato ma sostanzioso “aiuto” di alcuni imprenditori del tessuto per lo più biellesi e, in particolare, da Ermenegildo Zegna. Lo stesso conte Zegna e un piccolo gruppo di produttori nostrani d’eccellenza (Fratelli Cerruti, Fratelli Fila, Fratelli Tallia di Delfino, Lodovico Cartotti e Mario Zegna) sostennero da dietro le quinte la kermesse sanremese fin da quella prima edizione. Il mondo è cambiato da allora e certe sfide, forse, non ci appartengono più. Ma sul tavolo di Sanremo (non quello verde…) si giocava in quel settembre di quasi sessant’anni fa una partita importante con una posta in palio a molti zeri. Il confronto a distanza con il nascente Pitti non era il nocciolo della questione. Il problema stava invece nell’affermazione di una nuova scuola di pensiero che avrebbe profondamente mutato il modo di vestirsi e di vivere delle generazioni a venire, in Italia e in Europa. Dagli USA era sbarcata la confezione industriale, l’abbigliamento “pronto da portare” (per entrambi i sessi) e l’antropometria standardizzata applicata al vestiario, ovvero le taglie. I sarti potevano opporre le carte della tradizione, dell’arte e dell’uso di stoffe al top della gamma. Per contro i confezionisti (e i lanifici loro fornitori) avevano in mano i numeri di uno smercio senza precedenti per volume e per entusiasmo dei compratori, come a dire il boom. Zegna e gli altri, cui si unì qualche tempo dopo anche Modesto Bertotto a formare il GIDAM Gruppo Italiano Drappieri Alta Moda (un sodalizio d’indirizzo commerciale destinato a non essere “compreso” dalla maggior parte dei lanaioli biellesi che persero, una volta tanto, un’occasione di coesione utile a far leva sui mercati), fornirono ai sarti convenuti a Sanremo tutti i tessuti necessari e poi si eclissarono per permettere che la ribalta fosse tutta per i modelli creati dai maestri del “su misura” e portati in passerella dai primi indossatori italiani di sempre (fino a quel momento quello del modello era un mestiere impraticabile, sconveniente e reputato poco virile). Puntare sui sarti enfatizzandone i pregi significava amplificare il più possibile la produzione “fine” e la scelta di un certo stile di vita fatto di attenzioni personalizzate per ciò che si indossava. Fu un successo di pubblico e di critica, come si suol dire, durato parecchi anni e degnamente pubblicizzato dalla medesima “Arbiter”, anche quando realtà come la FACIS Fabbrica Abiti Confezionati In Serie avevano già conquistato il traguardo economicamente più premiante a breve termine, quello dei consumatori del confezionato formale e informale. Ma se la sartoria e la mentalità sartoriale (intesa come dedizione alla qualità e alla “unicità” della clientela) in qualche modo sopravvivono in alcuni atelier italiani e in alcune aziende di alto livello lo si deve anche a esperienze come quella di Sanremo.
L’esperienza del Festival della Moda maschile per il Lanificio Ermenegildo Zegna e gli altri lanifici biellesi
L’anno prima in quelle stesse sale, sulle note di Grazie dei fiori, Nilla Pizzi aveva vinto una gara canora destinata a fare la storia degli italiani e il Casinò di Sanremo era più che mai il “centro della vita mondana internazionale” come si leggeva nella réclame delle riviste chic. La moda (per donna), sempre nel 1951, aveva imboccato la via di Firenze indicata da Giovanni Battista Giorgini che l’anno seguente inaugurò le sfilate della Sala Bianca di Palazzo Pitti. Correva quindi il 1952 e anche la moda maschile voleva la sua vetrina. L’idea di ospitare nella floreale località rivierasca il primo “Festival della Moda Maschile”, con tanto di congresso nazionale dei sarti, mostra e gran galà venne a Michelangelo Testa, direttore di “Arbiter. Rivista di vita maschile”. Il mensile, destinato all’uomo abbiente ed elegante, pubblicato a Milano senza grande successo alla fine degli anni ’20 fu rilanciato nel 1935 dal velato ma sostanzioso “aiuto” di alcuni imprenditori del tessuto per lo più biellesi e, in particolare, da Ermenegildo Zegna. Lo stesso conte Zegna e un piccolo gruppo di produttori nostrani d’eccellenza (Fratelli Cerruti, Fratelli Fila, Fratelli Tallia di Delfino, Lodovico Cartotti e Mario Zegna) sostennero da dietro le quinte la kermesse sanremese fin da quella prima edizione. Il mondo è cambiato da allora e certe sfide, forse, non ci appartengono più. Ma sul tavolo di Sanremo (non quello verde…) si giocava in quel settembre di quasi sessant’anni fa una partita importante con una posta in palio a molti zeri. Il confronto a distanza con il nascente Pitti non era il nocciolo della questione. Il problema stava invece nell’affermazione di una nuova scuola di pensiero che avrebbe profondamente mutato il modo di vestirsi e di vivere delle generazioni a venire, in Italia e in Europa. Dagli USA era sbarcata la confezione industriale, l’abbigliamento “pronto da portare” (per entrambi i sessi) e l’antropometria standardizzata applicata al vestiario, ovvero le taglie. I sarti potevano opporre le carte della tradizione, dell’arte e dell’uso di stoffe al top della gamma. Per contro i confezionisti (e i lanifici loro fornitori) avevano in mano i numeri di uno smercio senza precedenti per volume e per entusiasmo dei compratori, come a dire il boom. Zegna e gli altri, cui si unì qualche tempo dopo anche Modesto Bertotto a formare il GIDAM Gruppo Italiano Drappieri Alta Moda (un sodalizio d’indirizzo commerciale destinato a non essere “compreso” dalla maggior parte dei lanaioli biellesi che persero, una volta tanto, un’occasione di coesione utile a far leva sui mercati), fornirono ai sarti convenuti a Sanremo tutti i tessuti necessari e poi si eclissarono per permettere che la ribalta fosse tutta per i modelli creati dai maestri del “su misura” e portati in passerella dai primi indossatori italiani di sempre (fino a quel momento quello del modello era un mestiere impraticabile, sconveniente e reputato poco virile). Puntare sui sarti enfatizzandone i pregi significava amplificare il più possibile la produzione “fine” e la scelta di un certo stile di vita fatto di attenzioni personalizzate per ciò che si indossava. Fu un successo di pubblico e di critica, come si suol dire, durato parecchi anni e degnamente pubblicizzato dalla medesima “Arbiter”, anche quando realtà come la FACIS Fabbrica Abiti Confezionati In Serie avevano già conquistato il traguardo economicamente più premiante a breve termine, quello dei consumatori del confezionato formale e informale. Ma se la sartoria e la mentalità sartoriale (intesa come dedizione alla qualità e alla “unicità” della clientela) in qualche modo sopravvivono in alcuni atelier italiani e in alcune aziende di alto livello lo si deve anche a esperienze come quella di Sanremo.