Argomento
Grigioverde
STORIA DEL GRIGIOVERDE (dalla mostra "Grigioverde dal telaio alla trincea: le fabbriche biellesi nella Grande Guerra", Fabbrica della Ruota 2016, a cura di Danilo Craveia)
A partire dalla metà dell'Ottocento negli eserciti europei si andò via via affermando un'evoluzione negli armamenti, nelle dotazioni, nella logistica e nella concezione stessa della guerra, il tutto in sintonia con lo sviluppo della scienza, della tecnologia e dell'industria. Anche le uniformi, seppur con maggior lentezza, furono aggiornate, ma nelle divise i colori nazionali, dei corpi e dei reparti specifici rimanevano un simbolo che, sebbene arcaico, tendeva a resistere ai cambiamenti. Solo con il cambio di secolo la necessità di mimetizzazione e di occultamento alla vista del nemico diventarono una priorità per tentare di ridurre i colpi a segno, ovvero i feriti e i morti.
Le notizie in merito alla ricerca di indumenti meno legati alle rispettive tradizioni araldiche e cromatiche e più efficaci sotto il profilo del camuffamento rispetto alle condizioni ambientali e meteorologiche degli scenari bellici sono ampiamente disponibili nella bibliografia e nella sitografia di settore, ma qui è comunque opportuno tratteggiare i passaggi salienti del percorso che ha portato alla trasformazione dell'immagine, è il caso di dirlo, dei soldati italiani a partire dall'inizio del Novecento. L'antica tinta blu dell'esercito sabaudo si tramutò nel più familiare grigioverde nel breve volgere di un lustro e il fu quello anche uno spartiacque storico nella mentalità nazionale. La vecchia divisa risorgimentale del Regno di Sardegna era sostituita da quella del Regno d'Italia che vide proprio con la Grande Guerra, la sua consacrazione nel grigioverde.
La storia di quel "non-colore" iniziò con il celebre "Plotone grigio", voluto da Luigi Brioschi, allora presidente della sezione di Milano del Club Alpino Italiano. Era il 1905. Si trattava di un esperimento e per i primi test fu selezionato un piccolo reparto alpino comandato dal tenente colonnello Donato Etna. "Fu così che il 24 luglio 1906 nel cortile della caserma "Luigi Torelli" di Tirano fece la sua prima apparizione il "Plotone Grigio", composto da quaranta alpini scelti nella 45a Compagnia del Battaglione "Morbegno". Dalle prime prove si verificò subito l'eccezionalità della nuova divisa, constatando che un alpino vestito di grigio a 450 metri non era più visibile, mentre a 1.500 metri si vedeva ancora un alpino con la vecchia uniforme. Inoltre alla prova di tiro alla distanza di 600 metri, un manichino in grigio fu colpito solo 3 volte a dispetto dei 24 colpi a segno su 24 sparati su una sagoma vestita con la vecchia uniforme" (www.cimeetrincee.it).
Nel giro di tre anni lo Stato Maggiore si convinse della bontà dell'iniziativa e nell'estate del 1908 la nuova tenuta grigia, che nel frattempo era stata "virata" al verde, divenne un fatto compiuto. La novità fu salutata anche dalla "Domenica del Corriere" (21-28 giugno) che le dedicò la copertina illustrata da Achille Beltrame. Un articolo all'interno del settimanale informava che "in seguito al felice esperimento fatto testé a Roma dal 47° Fanteria parte dei cui uomini vestono già la nuova uniforme, questa verrà presto adottata da tutto l'esercito nazionale. È di colore grigio-verdognolo, che rende il soldato quasi invisibile a qualche centinaio di metri".
Su "La Stampa" del 23 dicembre 1908 si legge che "in seguito agli ottimi risultati degli esperimenti di resistenza visibile dell'uniforme di panno grigio-verde, il Ministro della Guerra ha stabilito di adottare gradatamente a decorrere da 1° gennaio prossimo, l'uniforme stessa in tutti i Corpi di fanteria di linea, bersaglieri, alpini, artiglieria e genio. Essa sarà distribuita alle truppe sin dal tempo di pace e sarà usata in tutte le esercitazioni da campo, manovre ecc. sostituendo l'attuale uniforme di marcia in tutti i servizi nei quali è prescritta". Il cambiamento fu comunque graduale, tant'è che si precisava che "in guarnigione la truppa conserverà giubba di colore turchino e l'attuale copricapo, ma il cappotto dell'arma di fanteria, dell'artiglieria da costa e da fortezza e del genio sarà sostituito dalla mantellina pure di panno turchino", mentre sarebbero stati i primi sperimentatori a dotarsi fin da subito del nuovo equipaggiamento: "gli alpini e l'artiglieria da montagna, pure in guarnigione, useranno la nuova mantellina di panno grigio-verde".
Il 26 giugno 1911 il Ministero della Guerra guidato dal generale Paolo Spingardi pubblicò le "Condizioni generali da osservare pei contratti di provviste e lavorazione delle robe occorrenti per il servizio del vestiario, dell'equipaggiamento, del materiale sanitario e del casermaggio, nonché per le vendite delle robe stesse non più adatte al servizio medesimo" nella quali saranno previste le "Condizioni speciali per la provvista di panni grigio-verdi" (1912). Con quell'apparato normativo e tecnico, qui riprodotto, il Regio Esercito iniziò la Grande Guerra.
Si trattava di indicazioni piuttosto precise sia dal punto di vista della tessitura sia per quanto riguardava i procedimenti tintori. Anche le caratteristiche fisiche e le prestazioni del tessuto erano definite nel dettaglio. Tuttavia durante il conflitto tali prescrizioni dovettero essere riviste e maggiormente dettagliate, soprattutto nella composizione merceologica dei panni e nella suddivisione in specifiche categorie di prezzo.
Nell'inverno del 1915, dopo più di sei mesi di guerra, il Governo stabilì nuovi parametri che, in parte, mutavano l'assetto tecnico dato nel 1912. Nella composizione del filato (e quindi del tessuto) era possibile inserire anche cotone, malgrado tale fibra non offrisse le stesse performance della lana in condizioni di basse temperature e, soprattutto, di pioggia o neve. Il colore non doveva cambiare in un bagno caldo con il 2% di sapone e non erano tollerate punteggiature. La stoffa doveva essere follata in modo che "sembrasse" panno e la resistenza allo strappo doveva arrivare fino ai 70 kg. Il 21 dicembre 1915 furono diramate disposizioni ancora più rigorose strutturando anche per gli anni a venire la fornitura di panno secondo tre tipologie: "tutta lana" regolamentare, i "similari" ("semipettinato" e pura lana) e quello detto "economico". Per tutti e tre i tipi le misure erano: 130 cm di altezza e 700 grammi al metro di peso, con armatura a batavia o a corda rotta, di norma con una titolazione di filato del 2/24.
La differenza sostanziale tra le tre versioni stava nella quantità di fili per centimetro quadrato (20 per il regolamentare, 16 per gli altri) che rendeva il tessuto più fitto, ovvero caldo e resistente, e nella resistenza meccanica che andava dai 90 kg per il migliore ai 70 per quelli di minor qualità. Il grigioverde "economico" era quello con la percentuale più alta di cotone, fino al 15%.
Alcuni di questi riferimenti subirono variazioni più o meno consistenti a fronte di una normativa tecnica di produzione via via più complessa. Gli stessi test di collaudo divennero sempre più mirati per valutare la reazione dei tessuti alle sollecitazioni cui sarebbero poi stati sottoposti una volta diventati gli indumenti dei soldati. Per esempio, panni maggiormente follati e/o trattati chimicamente per essere il più possibile impermeabili dovevano aumentare di peso, fino a 770/800 grammi al metro. Nel 1916 fu poi esclusa l'intreccio a corda rotta e, pur mantenendo altezza e grammatura, le resistenze furono ridotte, mentre fu uniformato il numero di fili a 20 al cm2, poi ridotti a 16.
Per certi versi i singoli fornitori erano liberi di "interpretare" le direttive del Ministero della Guerra purché il risultato fosse compatibile con le esigenze del Regio Esercito. A titolo esemplificativo, ognuno poteva adottare a propria discrezione i prodotti chimici per la tintura oppure impiegare "miste" di lana diverse dagli altri, ma il collaudo era unico e univoco e i criteri di valutazione, almeno in teoria, uguali per tutti.
Nel novembre del 1917 si arrivò però a regolamentate le stesse "miste", ovvero il "cotonato" economico avrebbe potuto contenere fino al 20% di cotone tinto, il 40% di lana di tosa e il 40% di lana "meccanica" (rigenerata), mentre il "tutta lana" avrebbe contenuto un minimo del 50% di lana di tosa e il resto di "meccanica", mentre per il "pettinato-cardato", su una base di lana di tosa del 40% sarebbero state accettate percentuali più alte di "meccanica", ma solo per i fili ritorti della trama.
Ulteriori distinzioni tecniche furono introdotte a partire dalla fine del 1917 quando lo Stato si assunse l'onere di fornire direttamente la materia prima ai lanifici e, infine, ad alimentarne i telai con "catena" prodotta dagli stabilimenti ausiliari di filatura. A quel punto le variabili compositive dei tessuti non avevano più tanto un valore quali-quantitativo, quanto un mero risvolto economico in ordine ai contratti di commessa.
Naturalmente tutto quanto evidenziato per il panno grigioverde aveva un corrispettivo nelle altre produzioni tessili per le forniture militari. Le flanelle dovevano essere di lana con un massimo di 30% di cotone, con altezza a telaio di 134 cm e un peso di 320 grammi al metro, armatura batavia e colore "preferibilmente misto oscuro". Fin dal 1915 le coperte da campo doveva essere di lana con un massimo di 20% di cotone, con uno sviluppo di 130x150 cm, un peso non inferiore ai 1.350 grammi al metro e di colore "preferibilmente bigio-verde". Un ultimo esempio è quello del tessuto per la Regia Marina. Il panno e la sargia di colore turchino per i marinai, alti entrambi 140 cm, non potevano pesare meno di 825 o 720 grammi al metro.
Dal punto di vista quantitativo è possibile riassumere in un numero l'impatto della Grande Guerra sulla capacità produttiva biellese e del comparto tessile laniero italiano in generale: 100.
La produzione di tessuti militari centuplicò letteralmente, passando da 30.000 metri a 3.000.000 al mese durante il periodo bellico, già a partire dalla primavera del 1915.
Il "Bollettino dell'Associazione Industria Laniera Italiana" del 31 maggio 1915 pubblicava una lettera della Presidenza del sodalizio laniero indirizzata alle aziende associate. Vi si legge che: "Sull'invito dell'Amministrazione Militare questa Associazione ha assunto l'incarico di eccitare gli industriali lanieri che lavorano in forniture di panni militari a mettersi in grado di fornire per il mese di maggio oltre 600.000 metri di panno grigio-verde - e metri 1.500.000 entro il mese di giugno - senza pregiudizio delle ulteriori maggiori forniture che potranno venire richieste".
Cinque mesi più tardi lo stesso mensile dei lanieri diffondeva la notizia che l'Esercito aveva richiesto, in realtà, non meno di 5.000.000 di metri ogni trenta giorni, senza contare le coperte, la flanella e la maglieria di corredo. Con quel ritmo, il consumo mensile di materie prime (10.000 tonnellate di lana lavata) si stava assestando sulla stessa quantità di prodotto finito complessivo annuale. Il dispiegamento di forze è al massimo: il Regno d'Italia, con i suoi 600.000 fusi di filatura (conto i 9 milioni di fusi di Francia e Inghilterra), non poteva dare di più. Nel 1916 il fabbisogno si stabilizza sui 3.000.000 di metri e a partire dal febbraio del 1917 si prevede la necessità di 500.000 metri flanella e di 250.000 coperte con cadenza trimestrale. Solo nell'agosto del 1918 si assistette al primo graduale rallentamento, ma l'inerzia di una macchina così grande e lanciata a tale velocità avrebbe richiesto molto tempo per essere controllata.
Interessante anche la questione dei prezzi di vendita di così tanto tessuto. I documenti dell'Associazione dell'Industria Laniera Italiana consentono di ricostruire l'andamento dei corrispettivi che l'Amministrazione Militare riconobbe ai fornitori di tessuti. Le variazioni graduali indicizzarono le tariffe imposte dalle condizioni belliche incrementandole da un valore medio inferiore alle 10 lire al metro nel maggio 1915 a circa il doppio nell'estate del 1918. All'entrata in guerra del Regno d'Italia il panno grigioverde regolamentare valeva 9,25 lire (che avrebbero dovuto diventate 8,75 nell'estate del 1915, ma non fu così) e 8 lire il misto cotone. Alla fine di novembre del 1916 il panno "tutta lana" era pagato 11,75 lire al metro, contro le 10,75 del "similare" e le 9,25 di quello "economico". La flanella per camicie arrivava a 4,60 lire, mentre le coperte più leggere (denominate tipo "Prato") si vendevano a 9,40 e quelle più pesanti a 10,5 lire l'una. Quando lo Stato, nell'estate del 1917, decise di distribuire direttamente la materia prima a prezzo fisso (la lana greggia costava alle aziende 11,50 lire al kg) i prezzi del prodotti finito erano aumentati del 15-25% a seconda della tipologia. In quel periodo il Ministero della Guerra pagava 17,50 lire al metro il pettinato-cardato che conteneva solo lana di proprietà del fornitore (contro 14,70 nel caso l'azienda utilizzasse la "mista di Stato") per indurre i lanifici a migliorare la qualità delle pezze e per cercare di evitare l'occultamento dei materiali migliori che, spesso, sfuggivano alle requisizioni per essere impiegati in produzioni commerciali e non destinate alle truppe. Per le ultime commesse in tempo di guerra (estate 1918) il panno più pregiato, realizzato con lana del fornitore, costava all'erario 21,5 lire al metro, il "cardato cotonato" 19,70, il "semipettinato prodotto con catena fornita dallo Stato" si pagava tra le 20,05 e le 21,10 a seconda della quantità di cotone (greggio o tinto) presente nel filo.
A partire dalla metà dell'Ottocento negli eserciti europei si andò via via affermando un'evoluzione negli armamenti, nelle dotazioni, nella logistica e nella concezione stessa della guerra, il tutto in sintonia con lo sviluppo della scienza, della tecnologia e dell'industria. Anche le uniformi, seppur con maggior lentezza, furono aggiornate, ma nelle divise i colori nazionali, dei corpi e dei reparti specifici rimanevano un simbolo che, sebbene arcaico, tendeva a resistere ai cambiamenti. Solo con il cambio di secolo la necessità di mimetizzazione e di occultamento alla vista del nemico diventarono una priorità per tentare di ridurre i colpi a segno, ovvero i feriti e i morti.
Le notizie in merito alla ricerca di indumenti meno legati alle rispettive tradizioni araldiche e cromatiche e più efficaci sotto il profilo del camuffamento rispetto alle condizioni ambientali e meteorologiche degli scenari bellici sono ampiamente disponibili nella bibliografia e nella sitografia di settore, ma qui è comunque opportuno tratteggiare i passaggi salienti del percorso che ha portato alla trasformazione dell'immagine, è il caso di dirlo, dei soldati italiani a partire dall'inizio del Novecento. L'antica tinta blu dell'esercito sabaudo si tramutò nel più familiare grigioverde nel breve volgere di un lustro e il fu quello anche uno spartiacque storico nella mentalità nazionale. La vecchia divisa risorgimentale del Regno di Sardegna era sostituita da quella del Regno d'Italia che vide proprio con la Grande Guerra, la sua consacrazione nel grigioverde.
La storia di quel "non-colore" iniziò con il celebre "Plotone grigio", voluto da Luigi Brioschi, allora presidente della sezione di Milano del Club Alpino Italiano. Era il 1905. Si trattava di un esperimento e per i primi test fu selezionato un piccolo reparto alpino comandato dal tenente colonnello Donato Etna. "Fu così che il 24 luglio 1906 nel cortile della caserma "Luigi Torelli" di Tirano fece la sua prima apparizione il "Plotone Grigio", composto da quaranta alpini scelti nella 45a Compagnia del Battaglione "Morbegno". Dalle prime prove si verificò subito l'eccezionalità della nuova divisa, constatando che un alpino vestito di grigio a 450 metri non era più visibile, mentre a 1.500 metri si vedeva ancora un alpino con la vecchia uniforme. Inoltre alla prova di tiro alla distanza di 600 metri, un manichino in grigio fu colpito solo 3 volte a dispetto dei 24 colpi a segno su 24 sparati su una sagoma vestita con la vecchia uniforme" (www.cimeetrincee.it).
Nel giro di tre anni lo Stato Maggiore si convinse della bontà dell'iniziativa e nell'estate del 1908 la nuova tenuta grigia, che nel frattempo era stata "virata" al verde, divenne un fatto compiuto. La novità fu salutata anche dalla "Domenica del Corriere" (21-28 giugno) che le dedicò la copertina illustrata da Achille Beltrame. Un articolo all'interno del settimanale informava che "in seguito al felice esperimento fatto testé a Roma dal 47° Fanteria parte dei cui uomini vestono già la nuova uniforme, questa verrà presto adottata da tutto l'esercito nazionale. È di colore grigio-verdognolo, che rende il soldato quasi invisibile a qualche centinaio di metri".
Su "La Stampa" del 23 dicembre 1908 si legge che "in seguito agli ottimi risultati degli esperimenti di resistenza visibile dell'uniforme di panno grigio-verde, il Ministro della Guerra ha stabilito di adottare gradatamente a decorrere da 1° gennaio prossimo, l'uniforme stessa in tutti i Corpi di fanteria di linea, bersaglieri, alpini, artiglieria e genio. Essa sarà distribuita alle truppe sin dal tempo di pace e sarà usata in tutte le esercitazioni da campo, manovre ecc. sostituendo l'attuale uniforme di marcia in tutti i servizi nei quali è prescritta". Il cambiamento fu comunque graduale, tant'è che si precisava che "in guarnigione la truppa conserverà giubba di colore turchino e l'attuale copricapo, ma il cappotto dell'arma di fanteria, dell'artiglieria da costa e da fortezza e del genio sarà sostituito dalla mantellina pure di panno turchino", mentre sarebbero stati i primi sperimentatori a dotarsi fin da subito del nuovo equipaggiamento: "gli alpini e l'artiglieria da montagna, pure in guarnigione, useranno la nuova mantellina di panno grigio-verde".
Il 26 giugno 1911 il Ministero della Guerra guidato dal generale Paolo Spingardi pubblicò le "Condizioni generali da osservare pei contratti di provviste e lavorazione delle robe occorrenti per il servizio del vestiario, dell'equipaggiamento, del materiale sanitario e del casermaggio, nonché per le vendite delle robe stesse non più adatte al servizio medesimo" nella quali saranno previste le "Condizioni speciali per la provvista di panni grigio-verdi" (1912). Con quell'apparato normativo e tecnico, qui riprodotto, il Regio Esercito iniziò la Grande Guerra.
Si trattava di indicazioni piuttosto precise sia dal punto di vista della tessitura sia per quanto riguardava i procedimenti tintori. Anche le caratteristiche fisiche e le prestazioni del tessuto erano definite nel dettaglio. Tuttavia durante il conflitto tali prescrizioni dovettero essere riviste e maggiormente dettagliate, soprattutto nella composizione merceologica dei panni e nella suddivisione in specifiche categorie di prezzo.
Nell'inverno del 1915, dopo più di sei mesi di guerra, il Governo stabilì nuovi parametri che, in parte, mutavano l'assetto tecnico dato nel 1912. Nella composizione del filato (e quindi del tessuto) era possibile inserire anche cotone, malgrado tale fibra non offrisse le stesse performance della lana in condizioni di basse temperature e, soprattutto, di pioggia o neve. Il colore non doveva cambiare in un bagno caldo con il 2% di sapone e non erano tollerate punteggiature. La stoffa doveva essere follata in modo che "sembrasse" panno e la resistenza allo strappo doveva arrivare fino ai 70 kg. Il 21 dicembre 1915 furono diramate disposizioni ancora più rigorose strutturando anche per gli anni a venire la fornitura di panno secondo tre tipologie: "tutta lana" regolamentare, i "similari" ("semipettinato" e pura lana) e quello detto "economico". Per tutti e tre i tipi le misure erano: 130 cm di altezza e 700 grammi al metro di peso, con armatura a batavia o a corda rotta, di norma con una titolazione di filato del 2/24.
La differenza sostanziale tra le tre versioni stava nella quantità di fili per centimetro quadrato (20 per il regolamentare, 16 per gli altri) che rendeva il tessuto più fitto, ovvero caldo e resistente, e nella resistenza meccanica che andava dai 90 kg per il migliore ai 70 per quelli di minor qualità. Il grigioverde "economico" era quello con la percentuale più alta di cotone, fino al 15%.
Alcuni di questi riferimenti subirono variazioni più o meno consistenti a fronte di una normativa tecnica di produzione via via più complessa. Gli stessi test di collaudo divennero sempre più mirati per valutare la reazione dei tessuti alle sollecitazioni cui sarebbero poi stati sottoposti una volta diventati gli indumenti dei soldati. Per esempio, panni maggiormente follati e/o trattati chimicamente per essere il più possibile impermeabili dovevano aumentare di peso, fino a 770/800 grammi al metro. Nel 1916 fu poi esclusa l'intreccio a corda rotta e, pur mantenendo altezza e grammatura, le resistenze furono ridotte, mentre fu uniformato il numero di fili a 20 al cm2, poi ridotti a 16.
Per certi versi i singoli fornitori erano liberi di "interpretare" le direttive del Ministero della Guerra purché il risultato fosse compatibile con le esigenze del Regio Esercito. A titolo esemplificativo, ognuno poteva adottare a propria discrezione i prodotti chimici per la tintura oppure impiegare "miste" di lana diverse dagli altri, ma il collaudo era unico e univoco e i criteri di valutazione, almeno in teoria, uguali per tutti.
Nel novembre del 1917 si arrivò però a regolamentate le stesse "miste", ovvero il "cotonato" economico avrebbe potuto contenere fino al 20% di cotone tinto, il 40% di lana di tosa e il 40% di lana "meccanica" (rigenerata), mentre il "tutta lana" avrebbe contenuto un minimo del 50% di lana di tosa e il resto di "meccanica", mentre per il "pettinato-cardato", su una base di lana di tosa del 40% sarebbero state accettate percentuali più alte di "meccanica", ma solo per i fili ritorti della trama.
Ulteriori distinzioni tecniche furono introdotte a partire dalla fine del 1917 quando lo Stato si assunse l'onere di fornire direttamente la materia prima ai lanifici e, infine, ad alimentarne i telai con "catena" prodotta dagli stabilimenti ausiliari di filatura. A quel punto le variabili compositive dei tessuti non avevano più tanto un valore quali-quantitativo, quanto un mero risvolto economico in ordine ai contratti di commessa.
Naturalmente tutto quanto evidenziato per il panno grigioverde aveva un corrispettivo nelle altre produzioni tessili per le forniture militari. Le flanelle dovevano essere di lana con un massimo di 30% di cotone, con altezza a telaio di 134 cm e un peso di 320 grammi al metro, armatura batavia e colore "preferibilmente misto oscuro". Fin dal 1915 le coperte da campo doveva essere di lana con un massimo di 20% di cotone, con uno sviluppo di 130x150 cm, un peso non inferiore ai 1.350 grammi al metro e di colore "preferibilmente bigio-verde". Un ultimo esempio è quello del tessuto per la Regia Marina. Il panno e la sargia di colore turchino per i marinai, alti entrambi 140 cm, non potevano pesare meno di 825 o 720 grammi al metro.
Dal punto di vista quantitativo è possibile riassumere in un numero l'impatto della Grande Guerra sulla capacità produttiva biellese e del comparto tessile laniero italiano in generale: 100.
La produzione di tessuti militari centuplicò letteralmente, passando da 30.000 metri a 3.000.000 al mese durante il periodo bellico, già a partire dalla primavera del 1915.
Il "Bollettino dell'Associazione Industria Laniera Italiana" del 31 maggio 1915 pubblicava una lettera della Presidenza del sodalizio laniero indirizzata alle aziende associate. Vi si legge che: "Sull'invito dell'Amministrazione Militare questa Associazione ha assunto l'incarico di eccitare gli industriali lanieri che lavorano in forniture di panni militari a mettersi in grado di fornire per il mese di maggio oltre 600.000 metri di panno grigio-verde - e metri 1.500.000 entro il mese di giugno - senza pregiudizio delle ulteriori maggiori forniture che potranno venire richieste".
Cinque mesi più tardi lo stesso mensile dei lanieri diffondeva la notizia che l'Esercito aveva richiesto, in realtà, non meno di 5.000.000 di metri ogni trenta giorni, senza contare le coperte, la flanella e la maglieria di corredo. Con quel ritmo, il consumo mensile di materie prime (10.000 tonnellate di lana lavata) si stava assestando sulla stessa quantità di prodotto finito complessivo annuale. Il dispiegamento di forze è al massimo: il Regno d'Italia, con i suoi 600.000 fusi di filatura (conto i 9 milioni di fusi di Francia e Inghilterra), non poteva dare di più. Nel 1916 il fabbisogno si stabilizza sui 3.000.000 di metri e a partire dal febbraio del 1917 si prevede la necessità di 500.000 metri flanella e di 250.000 coperte con cadenza trimestrale. Solo nell'agosto del 1918 si assistette al primo graduale rallentamento, ma l'inerzia di una macchina così grande e lanciata a tale velocità avrebbe richiesto molto tempo per essere controllata.
Interessante anche la questione dei prezzi di vendita di così tanto tessuto. I documenti dell'Associazione dell'Industria Laniera Italiana consentono di ricostruire l'andamento dei corrispettivi che l'Amministrazione Militare riconobbe ai fornitori di tessuti. Le variazioni graduali indicizzarono le tariffe imposte dalle condizioni belliche incrementandole da un valore medio inferiore alle 10 lire al metro nel maggio 1915 a circa il doppio nell'estate del 1918. All'entrata in guerra del Regno d'Italia il panno grigioverde regolamentare valeva 9,25 lire (che avrebbero dovuto diventate 8,75 nell'estate del 1915, ma non fu così) e 8 lire il misto cotone. Alla fine di novembre del 1916 il panno "tutta lana" era pagato 11,75 lire al metro, contro le 10,75 del "similare" e le 9,25 di quello "economico". La flanella per camicie arrivava a 4,60 lire, mentre le coperte più leggere (denominate tipo "Prato") si vendevano a 9,40 e quelle più pesanti a 10,5 lire l'una. Quando lo Stato, nell'estate del 1917, decise di distribuire direttamente la materia prima a prezzo fisso (la lana greggia costava alle aziende 11,50 lire al kg) i prezzi del prodotti finito erano aumentati del 15-25% a seconda della tipologia. In quel periodo il Ministero della Guerra pagava 17,50 lire al metro il pettinato-cardato che conteneva solo lana di proprietà del fornitore (contro 14,70 nel caso l'azienda utilizzasse la "mista di Stato") per indurre i lanifici a migliorare la qualità delle pezze e per cercare di evitare l'occultamento dei materiali migliori che, spesso, sfuggivano alle requisizioni per essere impiegati in produzioni commerciali e non destinate alle truppe. Per le ultime commesse in tempo di guerra (estate 1918) il panno più pregiato, realizzato con lana del fornitore, costava all'erario 21,5 lire al metro, il "cardato cotonato" 19,70, il "semipettinato prodotto con catena fornita dallo Stato" si pagava tra le 20,05 e le 21,10 a seconda della quantità di cotone (greggio o tinto) presente nel filo.