Argomento
Alluvione in Valsessera 3 agosto 1878
3 agosto 1878: bomba d'acqua a Coggiola
Il tragico evento di Refrontolo di qualche giorno fa ha portato, ancora una volta, l'attenzione di tutti su questo nostro clima mutante e assassino. Quanto la causa prima di tali mutamenti sia da attribuire all'uomo è ancora da stabilire. Di certo, gli effetti sulla natura delle nostre azioni sconsiderate sono gravi e progressivi, ma pensare che certe situazioni si verifichino solo oggi e solo per colpa degli uomini sarebbe un errore di prospettiva e di valutazione. In epoche passate, quando il genere umano aveva ancora provocato troppi danni agli assetti meteorologici, le precipitazioni intense e alcune specifiche condizioni idrogeologiche si potevano rivelare combinazioni, è il caso di dirlo, esplosive, vere e proprie bombe, quelle bombe d'acqua che ci sorprendono sempre di meno e devastano sempre di più. La tragedia di Coggiola, consumatasi in pochi minuti sabato 3 agosto 1878, rientra senza dubbio nel triste elenco delle tante micro-alluvioni dimenticate ma non per questo meno disastrose. Ci sono varie fonti dirette che testimoniano quanto avvenuto quel giorno: i giornali locali e non, gli atti di morte della (soppressa) Parrocchia di San Bartolomeo di Masseranga di Portula, una preziosa fotografia e le pagine di un diario tenuto da un coggiolese che assistette agli avvenimenti (questi ultimi due documenti sono stati segnalati da Enzo Vercella Baglione). Giacomo Marchisio era uno dei più stimati geometri della Valsessera, spesso incaricato di rilevare e di riprodurre graficamente, arte nella quale era assai versato, stabilimenti industriali, derivazioni idrauliche, ponti e strade. La sua precisione si ritrova nello scritto del 10 novembre 1878 riportato qui di seguito: "La straordinaria e non mai ricordata disastrosa piena del torrente Sessera, avvenuta il 3 agosto ultimo scorso, che apportò la rovina, la desolazione, ed il lutto nella Valle di Coggiola, fra i gravissimi danni cagionati dall'irruvente [sic] suo passaggio ai terrieri delle due sponde, vuolsi pure annoverare quello arrecato anche alla Ditta di Commercio Bozzalla Antonio e Figlio corrente in questo stesso luogo di Coggiola, a cui venne distrutto ed asportato non solamente la massima parte del muro già costrutto a difesa del muovo opificio in pannilana, che stava impiantando nella regione denominata al Gabbio, ma ebbe eziandio a rovinare una riguardevole parte del fabbricato stesso, riducendo la parte invasa ad un puro e mero ghiaiato, senza lasciar traccia di quanto esisteva...". Giacomo Marchisio registrò che l'ingrossamento improvviso del Sessera aveva modificato la morfologia del suo alveo e che l'antropizzazione delle rive doveva essere rivista nel segno della prudenza, in previsione di futuri fenomeni altrettanto eccezionali. Il geometra fu chiamato a coadiuvare l'ing. Davicini del Genio Civile per ripristinare le difese spondali e quel compito lo riempì di orgoglio professionale, ragion per cui l'alluvione del Sessera si ritagliò un posto nelle sue memorie. Ma se il lanificio di Antonio Bozzalla ebbe a patire "solo" quanto descritto dal professionista valsesserino e se anche lo stabilimento di Pietro Ubertalli aveva perso la legnaia spazzata via dalla piena, il vero Ground zero di quel disastro si deve collocare nei pressi del ponte pedonale al centro dell'abitato. Su "Eco dell'Industria" dell'8 agosto si può leggere un vivido racconto dei fatti: "Le acque del torrente estremamente gonfiate da non ricordar mai altra piena consimile, si apersero un varco dal lato destro abbattendo lo spallone della pedanca mulattiera fra Coggiola e Portula per la cui direzione investirono l'opificio Ormezzano. In meno di dieci minuti tutto fu travolto dalle onde, meccanismi, stoffe, mobili e purtroppo anche sei operai che malgrado i ripetuti avvertimenti loro dati con segnali dalla sponda opposta erano rimasti sul luogo del disastro. Ogni soccorso ai medesimi era impossibile: si videro tre delle vittime aggruppate insieme fare sforzi erculei per salvarsi". L'immane bura era arrivata dopo che, nella notte e nella mattina di quel sabato, la pioggia aveva investito, come mai era avvenuto a memoria d'uomo, tutta la vallata. Gli affluenti si erano riversati nel Sessera già colmo e alle 13 giunse l'ondata di piena. Il fotografo Comoglio di Pianceri si recò sul posto qualche giorno dopo e scattò la fotografia di cui sopra. Nell'immagine si vede nitidamente il risultato della furia delle acque: sgretolate le fondazioni erette lungo l'argine e asportate ampie porzioni dei piani inferiori del fabbricato, la facciata rivolta verso il torrente era crollata completamente, trascinando nel flusso anche i sei tessitori che, con più incoscienza che coraggio, erano rimasti "tranquilli nella fabbrica Ormezzano, parte ancor occupati al vostro telaio premurosi di guadagnare il pane alla numerosa vostra famiglia, e parte mirando attoniti dal prospiciente balcone la fiumana che stava per travolgervi, per rigettarvi ed abbandonarvi poscia cadaveri quasi irriconoscibili sui ghiaiati dei comuni di Praj e di Crevacuore!". I morti furono Giovanni Galfione Cantarino, Quintino Galfione Lomo, Carlo Calcia Longo, Tersilio Bruno Ventre, Celestino Scaglia Rat e Pietro Barchietto detto "Maranda". I più giovani erano Tersilio Bruno Ventre, che aveva 26 anni ed era già padre di tre bambine, e Celestino Scaglia Rat, di due anni più giovane, che non era sposato. Come era abitudine in occasioni come quella, con famiglie lasciate sul lastrico dalla morte prematura del principale membro attivo, l'attività del fotografo non fu un atto di documentazione fine a se stesso o un gesto dettato dalla morbosa curiosità per uno spettacolo impressionante e macabro. La lastra al collodio fu utilizzata più e più volte per stampare albumine di grandi dimensioni, che il Comoglio mise in vendita per racimolare qualche soldo da dare ai famigliari delle vittime. Una fotografia costava una lira e mezza. Nel frattempo era scattata la bella gara della solidarietà. Non solo Coggiola o la Valsessera risposero al richiamo di aiuto lanciato dagli stessi imprenditori Ormezzano o dalle vedove dei tessitori. Tutto il Biellese si mosse per dare una mano partecipando alla sottoscrizione organizzata alla bisogna. Il vicario di Crevacuore, il vercellese avv. Crolla, il signor Senta di Sostegno residente a Parigi e, soprattutto, Quintino Sella si prodigarono fin da subito per far sì che le offerte andassero generosamente a destinazione. Le società operaie di mutuo soccorso di Coggiola e di Portula, come anche quelle dei centri viciniori, si attivarono da par loro e altro denaro arrivò dai lanifici Negri e Vigna e dai loro lavoratori di Occhieppo Inferiore e Superiore. Tutti gli industriali lanieri della zona, incluso il Triverese e il Mossese, non esitarono e a loro si unirono artigiani (come il caffettiere Strobino), commercianti (come il libraio Flecchia) e molti altri tra cui i fratelli Avandero e i banchieri ebrei Vitale Graziadio. L'impeto del Sessera abbatté gran parte della passerella, ma risparmiò lo sperone su cui sorge la cappelletta dalla quale, ancora oggi, la Madonna Nera di Oropa e i due santi ai lati, vegliano su chi attraversa il torrente. E, forse, sussurrano un monito a chi troppo ha preso confidenza con l'acqua e la sua forza, costruendo male e troppo vicino ai torrenti anteponendo il lavoro e il profitto alla sicurezza e al rispetto della natura. Casi successivi e ancor più drammatici non sono purtroppo mancati.
Il tragico evento di Refrontolo di qualche giorno fa ha portato, ancora una volta, l'attenzione di tutti su questo nostro clima mutante e assassino. Quanto la causa prima di tali mutamenti sia da attribuire all'uomo è ancora da stabilire. Di certo, gli effetti sulla natura delle nostre azioni sconsiderate sono gravi e progressivi, ma pensare che certe situazioni si verifichino solo oggi e solo per colpa degli uomini sarebbe un errore di prospettiva e di valutazione. In epoche passate, quando il genere umano aveva ancora provocato troppi danni agli assetti meteorologici, le precipitazioni intense e alcune specifiche condizioni idrogeologiche si potevano rivelare combinazioni, è il caso di dirlo, esplosive, vere e proprie bombe, quelle bombe d'acqua che ci sorprendono sempre di meno e devastano sempre di più. La tragedia di Coggiola, consumatasi in pochi minuti sabato 3 agosto 1878, rientra senza dubbio nel triste elenco delle tante micro-alluvioni dimenticate ma non per questo meno disastrose. Ci sono varie fonti dirette che testimoniano quanto avvenuto quel giorno: i giornali locali e non, gli atti di morte della (soppressa) Parrocchia di San Bartolomeo di Masseranga di Portula, una preziosa fotografia e le pagine di un diario tenuto da un coggiolese che assistette agli avvenimenti (questi ultimi due documenti sono stati segnalati da Enzo Vercella Baglione). Giacomo Marchisio era uno dei più stimati geometri della Valsessera, spesso incaricato di rilevare e di riprodurre graficamente, arte nella quale era assai versato, stabilimenti industriali, derivazioni idrauliche, ponti e strade. La sua precisione si ritrova nello scritto del 10 novembre 1878 riportato qui di seguito: "La straordinaria e non mai ricordata disastrosa piena del torrente Sessera, avvenuta il 3 agosto ultimo scorso, che apportò la rovina, la desolazione, ed il lutto nella Valle di Coggiola, fra i gravissimi danni cagionati dall'irruvente [sic] suo passaggio ai terrieri delle due sponde, vuolsi pure annoverare quello arrecato anche alla Ditta di Commercio Bozzalla Antonio e Figlio corrente in questo stesso luogo di Coggiola, a cui venne distrutto ed asportato non solamente la massima parte del muro già costrutto a difesa del muovo opificio in pannilana, che stava impiantando nella regione denominata al Gabbio, ma ebbe eziandio a rovinare una riguardevole parte del fabbricato stesso, riducendo la parte invasa ad un puro e mero ghiaiato, senza lasciar traccia di quanto esisteva...". Giacomo Marchisio registrò che l'ingrossamento improvviso del Sessera aveva modificato la morfologia del suo alveo e che l'antropizzazione delle rive doveva essere rivista nel segno della prudenza, in previsione di futuri fenomeni altrettanto eccezionali. Il geometra fu chiamato a coadiuvare l'ing. Davicini del Genio Civile per ripristinare le difese spondali e quel compito lo riempì di orgoglio professionale, ragion per cui l'alluvione del Sessera si ritagliò un posto nelle sue memorie. Ma se il lanificio di Antonio Bozzalla ebbe a patire "solo" quanto descritto dal professionista valsesserino e se anche lo stabilimento di Pietro Ubertalli aveva perso la legnaia spazzata via dalla piena, il vero Ground zero di quel disastro si deve collocare nei pressi del ponte pedonale al centro dell'abitato. Su "Eco dell'Industria" dell'8 agosto si può leggere un vivido racconto dei fatti: "Le acque del torrente estremamente gonfiate da non ricordar mai altra piena consimile, si apersero un varco dal lato destro abbattendo lo spallone della pedanca mulattiera fra Coggiola e Portula per la cui direzione investirono l'opificio Ormezzano. In meno di dieci minuti tutto fu travolto dalle onde, meccanismi, stoffe, mobili e purtroppo anche sei operai che malgrado i ripetuti avvertimenti loro dati con segnali dalla sponda opposta erano rimasti sul luogo del disastro. Ogni soccorso ai medesimi era impossibile: si videro tre delle vittime aggruppate insieme fare sforzi erculei per salvarsi". L'immane bura era arrivata dopo che, nella notte e nella mattina di quel sabato, la pioggia aveva investito, come mai era avvenuto a memoria d'uomo, tutta la vallata. Gli affluenti si erano riversati nel Sessera già colmo e alle 13 giunse l'ondata di piena. Il fotografo Comoglio di Pianceri si recò sul posto qualche giorno dopo e scattò la fotografia di cui sopra. Nell'immagine si vede nitidamente il risultato della furia delle acque: sgretolate le fondazioni erette lungo l'argine e asportate ampie porzioni dei piani inferiori del fabbricato, la facciata rivolta verso il torrente era crollata completamente, trascinando nel flusso anche i sei tessitori che, con più incoscienza che coraggio, erano rimasti "tranquilli nella fabbrica Ormezzano, parte ancor occupati al vostro telaio premurosi di guadagnare il pane alla numerosa vostra famiglia, e parte mirando attoniti dal prospiciente balcone la fiumana che stava per travolgervi, per rigettarvi ed abbandonarvi poscia cadaveri quasi irriconoscibili sui ghiaiati dei comuni di Praj e di Crevacuore!". I morti furono Giovanni Galfione Cantarino, Quintino Galfione Lomo, Carlo Calcia Longo, Tersilio Bruno Ventre, Celestino Scaglia Rat e Pietro Barchietto detto "Maranda". I più giovani erano Tersilio Bruno Ventre, che aveva 26 anni ed era già padre di tre bambine, e Celestino Scaglia Rat, di due anni più giovane, che non era sposato. Come era abitudine in occasioni come quella, con famiglie lasciate sul lastrico dalla morte prematura del principale membro attivo, l'attività del fotografo non fu un atto di documentazione fine a se stesso o un gesto dettato dalla morbosa curiosità per uno spettacolo impressionante e macabro. La lastra al collodio fu utilizzata più e più volte per stampare albumine di grandi dimensioni, che il Comoglio mise in vendita per racimolare qualche soldo da dare ai famigliari delle vittime. Una fotografia costava una lira e mezza. Nel frattempo era scattata la bella gara della solidarietà. Non solo Coggiola o la Valsessera risposero al richiamo di aiuto lanciato dagli stessi imprenditori Ormezzano o dalle vedove dei tessitori. Tutto il Biellese si mosse per dare una mano partecipando alla sottoscrizione organizzata alla bisogna. Il vicario di Crevacuore, il vercellese avv. Crolla, il signor Senta di Sostegno residente a Parigi e, soprattutto, Quintino Sella si prodigarono fin da subito per far sì che le offerte andassero generosamente a destinazione. Le società operaie di mutuo soccorso di Coggiola e di Portula, come anche quelle dei centri viciniori, si attivarono da par loro e altro denaro arrivò dai lanifici Negri e Vigna e dai loro lavoratori di Occhieppo Inferiore e Superiore. Tutti gli industriali lanieri della zona, incluso il Triverese e il Mossese, non esitarono e a loro si unirono artigiani (come il caffettiere Strobino), commercianti (come il libraio Flecchia) e molti altri tra cui i fratelli Avandero e i banchieri ebrei Vitale Graziadio. L'impeto del Sessera abbatté gran parte della passerella, ma risparmiò lo sperone su cui sorge la cappelletta dalla quale, ancora oggi, la Madonna Nera di Oropa e i due santi ai lati, vegliano su chi attraversa il torrente. E, forse, sussurrano un monito a chi troppo ha preso confidenza con l'acqua e la sua forza, costruendo male e troppo vicino ai torrenti anteponendo il lavoro e il profitto alla sicurezza e al rispetto della natura. Casi successivi e ancor più drammatici non sono purtroppo mancati.