Architettura e Paesaggio
Villaggio Filatura [ARCHITETTURA]
- Villaggio operaio della Filatura di Tollegno (attribuito)
- Tipologia
- Tipologia edificio:
- villaggio operaio
- Notizie storiche
- Descrizione:
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Il testo che segue è tratto dal saggio di Giovanni Cova Problematiche sociali nell'industrializzazione biellese. Il villaggio operaio della Filatura di Tollegno*
Il comune di Tollegno, dove è situata la Filatura, sorge sul pendio di una collina che si trova sulla riva destra del torrente Cervo, all'imboccatura dell'omonima valle. La fabbrica e parte delle case operaie sorgono nella zona est del territorio comunale, in prossimità del torrente. La strada di accesso al complesso, via Gramsci, è una diramazione della strada statale, che congiunge Biella con Tollegno.
L'insieme di abitazioni e servizi sorge in tre distinte località, di cui due appartenenti amministrativamente al Comune di Tollegno e una, situata sulla riva sinistra del torrente, in località Pavignano, al comune di Biella. Questi tre complessi, che comprendono un totale di diciassette edifici, formano un insieme organico attorno alla Filatura, che ne costituisce il fulcro, e occupano una superficie complessiva di 31.250 metri quadrati.
Il nucleo centrale è costituito dalle palazzine a schiera, situate a sud dell'azienda, che rappresentano dal punto di vista urbanistico il tessuto connettivo fondamentale dell'insediamento, per l'omogeneità delle forme architettoniche e la regolare distribuzione dei fabbricati. Le palazzine sono undici, divise in gruppi distinti, contrassegnati con lettere dell'alfabeto dalla C alla O; tutte hanno due piani fuori terra più cantina, per una superficie abitabile totale di 6.950 metri quadrati. Ogni locatario, oltre all'alloggio, aveva in affitto un piccolo orto adiacente la casa.
Il complesso di queste palazzine presenta caratteristiche unitarie e la loro epoca di costruzione risale al periodo 1920-1925; la distribuzione dei fabbricati è regolare, su quattro file parallele, intersecate da vie rettilinee; la superficie complessiva degli orti e delle strade è di 8.500 metri quadrati. Ogni edificio ha sette alloggi, tranne uno che ne ha quattro, ciascuno di due o di quattro vani, disposti su due piani fuori terra, per un totale di ventiquattro vani per edificio. Di tale nucleo centrale fanno parte altresì una casa a schiera denominata "Casa del mago", gruppo B, costruita a due piani fuori terra, senza cantinato e senza orti, comprendente otto alloggi posti ognuno su un solo piano e formati da tre vani, più una minuscola latrina, e un'altra casa a schiera, gruppo P, con solo quattro alloggi, con caratteristiche identiche a quelle del gruppo B, ma con struttura a casermone. La casa a schiera gruppo P fatta costruire nel 1908 dalla tessitura Agostinetti & Ferrua per i suoi dipendenti, passò alla Filatura di Tollegno nel 1945, in seguito all'assorbimento della Tessitura. Questi due ultimi edifici, costruiti prima del villaggio, non rientrano nella progettazione architettonica generale di quest'ultimo, come dimostrano l'assenza di spazio verde e la struttura a casermone, tipiche di una mentalità più rozza e schematica.
Si trovano poi, in questa stessa parte del villaggio, gli edifici un tempo adibiti a servizi: il campo sportivo di 6.500 metri quadrati, il circolo ricreativo di 300 metri quadrati, ora non più funzionante (54), lo stabilimento bagni e docce di 150 metri quadrati, la motorimessa di 100 metri quadrati ed un edificio di tre piani fuori terra, che al piano terreno ospitava lo spaccio alimentare e la mensa operaia, al primo piano l'asilo nido, al secondo piano uno dei due convitti per ragazze sole, con dormitori e cucina.
Il secondo nucleo del villaggio si trova su una piccola altura a nord della fabbrica. Questo complesso, in origine, era collegato all'opificio soltanto da una gradinata, che si staglia lungo il pendio. Esso è formato da una casa a schiera gruppo A, e da una vecchia cascina, denominata "la Curavecchia". Il gruppo A è costituito da un edificio con caratteristiche tipologiche e strutturali diverse rispetto a quelle del nucleo di via Gramsci. Presenta una struttura a due piani fuori terra, più un parziale seminterrato, orti e un cortile di 200 metri quadrati. Si compone di otto alloggi non indipendenti, che si aprono a due a due su ogni pianerottolo delle due scale. Questa è la palazzina più antica, la sua costruzione risale, infatti, al 1903. Ogni alloggio si compone di quattro vani che si susseguono senza interruzioni; le latrine sono poste all'esterno, sui pianerottoli. Fa inoltre parte di questo nucleo una vecchia cascina di proprietà dei Sella, costituita da due piani fuori terra, senza interrato e con cortile, comprendente due alloggi di 200 metri quadrati complessivi.
Il terzo nucleo, situato alla sinistra del torrente Cervo, in località Pavignano, è costituito da due gruppi di case con struttura a casermone. Il gruppo O è una casa di tre piani fuori terra, che occupa una superficie di 2.050 metri quadrati, più un cortile di 1.800 metri quadrati. L'edificio non comprende alloggi, ma stanze dormitorio per donne sole, per complessivi 300 posti letto, più una cucina comune e i servizi. Il gruppo R presenta una struttura a quattro piani fuori terra più interrato, per complessivi 600 metri quadrati, più un cortile di 500 metri quadrati. Esso comprende otto alloggi di due stanze e latrina per ogni alloggio (55).
Il villaggio sorse in un arco di tempo di venticinque anni; fino al 1908 il problema delle abitazioni per gli operai, assai meno evidente per la minore percentuale di immigrati, fu risolto pragmaticamente, senza un preciso progetto di intervento politico-amministrativo nei confronti della classe operaia, se si eccettua un generico fine, dichiaratamente strumentale, di conservazione della manodopera.
Nel secondo decennio del XX secolo assistiamo invece ad un mutamento sostanziale, come si evince dall'analisi dei verbali del Consiglio di amministrazione. Il cambiamento si delinea fin dal 1908, quando nel corso di un Consiglio di amministrazione, la posizione dell'azienda viene così condensata: "Al fine di favorire le nostre maestranze e sebbene l'impiego del capitale sia irrisorio, nel corso dell'esercizio abbiamo provvisto alla costruzione di case operaie, le quali si renderanno abitabili nel prossimo anno. Noi le riserveremo in affitto ai nostri operai a condizioni modeste in modo da fare da calmiere al prezzo delle pigioni.
Il problema di sane abitazioni si impone e noi daremo volentieri il nostro appoggio a quella istituzione che saprà provvedere, tenendo ben inteso conto anche del fabbisogno dei nostri operai".
Il verbale denota chiaramente come il problema delle abitazioni operaie venga da quella data affrontato in modo diverso che in precedenza. In particolare, la frase "il problema di sane abitazioni si impone", ci consente di ipotizzare che, in precedenza, il problema alloggi era stato risolto senza particolare sensibilità verso la salubrità dei locali, come dimostra l'uso della cascina "Curavecchia", che fu affittata per la prima volta nel 1902 ad alcuni operai provenienti da Mele in provincia di Genova (56), del tipo di case del gruppo di Pavignano, le più antiche, nonché della "casa del Mago", costruite senza considerazione alcuna per i progetti architettonici tanto dibattuti all'estero.
La costruzione del villaggio, inteso come organica unità comunitaria, fu quindi gradualmente avviata con una sola grande interruzione, di circa tre anni, seguita ai grandi scioperi operai del 1920 e sulle cui cause si rivela estremamente chiaro un altro verbale del Consiglio di amministrazione della Filatura, riunito in seduta straordinaria nel novembre 1920 e in cui leggiamo: "Gli ultimi avvenimenti operai che culminarono con l'occupazione di parecchie fabbriche fra le quali il nostro stabilimento di Torino, ha recato grande sfiducia all'estero, cui le nostre industrie sono tributarie delle materie prime. Nel corso del nostro ultimo esercizio sociale avevamo iniziato la costruzione in Tollegno di parecchie case operaie, onde sopperire alla mancanza di occupazione e allo scopo di favorire le nostre maestranze.
Vasto era il nostro programma e avrebbe comportato una spesa importantissima, che siamo certi Voi avreste approvato.
Si trattava di costruire nel periodo di quattro anni un gruppo di venti case operaie. I fatti sopraccennati hanno lasciato in noi una grande incertezza, se non sfiducia, sull'avvenire della nostra industria e ci consigliano per ora di limitarci all'ultimazione delle costruzioni già in corso, dato anche l'enorme costo di materiali. Rinviamo ad epoca piu opportuna, che ci auguriamo prossima, il compimento del nostro programma".
I lavori di costruzione ripresero soltanto nel 1923, subito dopo la chiusura definitiva dello stabilimento torinese e in concomitanza con la fase di maggiore reclutamento in altre zone della manodopera, come conferma il verbale del Consiglio di amministrazione del 1923: "Le maestranze di Tollegno, necessariamente aumentate, trovarono alloggio nelle nuove case popolari recentemente costruite e agli ulteriori aumenti di personale, già si è provvisto, predisponendo altre case, e fu provvido consiglio quello di aumentare il numero di tali case, risolvendo così quello che è il problema assillante dell'industria biellese, l'abitazione per gli operai" (57).
La popolazione insediata nel villaggio all'epoca della definitiva costruzione raggiunse le settecento unità, vale a dire un numero pari al 41,24 per cento di tutta la popolazione del comune. Quali riflessi immediati e affatto indifferenti abbia avuto sulla vita degli operai alloggiati al villaggio la nuova situazione abitativa è facilmente evincibile dall'esame del regolamento di affitto, che riportiamo (58):
“L’Amministrazione delle Case Operaie della S.A. Filatura di Tollegno cede in locazione le case stesse di proprietà della Filatura medesima esclusivamente ai dipendenti della Ditta, alle condizioni seguenti:- La locazione sarà fatta per la durata di una quindicina e successivamente si riterrà tacitamente rinnovata (sempre per una quindicina) se nessuna delle parti ne darà disdetta.
- Essendo la locazione concessa unicamente al personale dipendente dalla Filatura di Tollegno, ne consegue che i singoli contratti di locazione si intendono senz’altro risolti quando il locatario cessi, per qualsiasi motivo, di appartenere alla Ditta.
- Il canone di locazione viene fissato dall’Amministrazione a condizioni favorevoli con riserva degli aumenti dipendenti da eventuali variazioni economico-finanziarie generali.
- L’importo del canone stesso sarà trattenuto quindicinalmente sulla paga del locatario.
- Cessando, per qualsiasi motivo, la locazione, il locatario dovrà lasciare l’alloggio in ordine, l’orto come si troverà al momento, senza alcun diritto di indennità per qualunque piantagione o seminagione fattavi, né per frutti pendenti o immaturi al raccolto.
- Il locatario dovrà aver cura delle cose locate da buon padre di famiglia evitando ogni guasto o danneggiamento di cui sarà tenuto responsabile. Nessuna opera muraria od altra potrà essere fatta nei locali affittati per iniziativa del locatario.
- I delegati della Ditta hanno facoltà di entrare in qualunque locale affittato in qualsiasi momento.
- Le domande e i reclami dovranno essere presentati all’Amministrazione per tramite dell’Ufficio personale.
- Gli alloggi saranno concessi di preferenza alle famiglie col maggior numero di componenti occupati presso la Ditta.
- Cesserà il diritto della locazione qualora, per qualsiasi ragione, il numero dei componenti la famiglia locata venga a diminuire per cessato rapporto di lavoro con la Ditta.
- Il locatario non potrà alloggiare nelle abitazioni persone estranee alla filatura di Tollegno (anche per brevi periodi di tempo) senza consenso scritto dell’Amministrazione.
- Al locatario non sarà mai permesso il subaffitto.
- Per tutto quanto non è specificatamente indicato nel presente Regolamento, l’Amministrazione si riserva di disporre di volta in volta.
- Le infrazioni alle presenti norme, nonché gli atti contrari alle buone regole di corretto e quieto vivere, saranno considerati dall’Amministrazioni passibili di punizioni pecuniarie, da applicare in base al Regolamento della fabbrica.
- Non è ammessa l’ignoranza del presente Regolamento in quanto lo stesso verrà consegnato al locatario.
Non è difficile comprendere come clausole quale quella che limitava a soli quindici giorni, seppure rinnovabili, la durata della locazione o quella che subordinava al numero dei componenti della famiglia impiegata nella Filatura la locazione stessa, tanto per citarne alcune, rendessero il rapporto fra operaio e azienda in termini di dipendenza diretta e totale del primo rispetto alla seconda, influenzando pesantemente il comportamento delle maestranze. Sarebbe stato infatti sufficiente che anche un solo componente della famiglia fosse licenziato per una qualsiasi ragione perché le condizioni che davano diritto alla locazione venissero meno e cessasse quindi la possibilità di godere di una sistemazione, che si può definire privilegiata, rispetto ad altri operai esclusi dal villaggio.
La casa poteva quindi considerarsi come uno degli strumenti più importanti per legare gli operai alla ditta, riducendo inoltre, come si è detto, tutti quei fattori di mobilità della manodopera altrimenti presenti. L'alloggio, come preciso strumento di controllo della manodopera da parte dell'azienda, fu affiancato da altre infrastrutture, a livello ricreativo e di servizi, che se da un lato indubbiamente favorivano la vita degli operai e delle operaie, dall'altro aumentavano la dipendenza dall'azienda, in quanto direttamente e totalmente gestite e controllate dalla stessa, onnipresente in ogni momento della giornata, durante il lavoro e nel tempo libero.
Gli spazi coperti dall'azienda, e per la cui fruizione era naturalmente richiesto un compenso, erano tali e tanti che il salario dell'operaio e della sua famiglia aveva la stessa possibilità di essere consumato autonomamente quanta ne ha in un bilancio una partita di giro, cioè nulla. L'affitto era decurtato direttamente dalla busta paga, inoltre, per ogni servizio offerto all'interno del villaggio, vigeva una forma di pagamento tramite fiches sostitutive del denaro. Gli operai dunque potevano acquistare allo spaccio o in ogni altro servizio senza circolazione diretta di denaro: le spese venivano registrate e direttamente estinte dall'azienda decurtandole dalla busta paga.
Un discorso particolare meritano i servizi, vale a dire tutte quelle strutture su cui maggiormente gli imprenditori puntarono, come si è visto, per l' "educazione" della classe operaia e per la sua integrazione psicologica al meccanismo produttivo e alle sue esigenze.
Attraverso tali servizi, che non dimentichiamo erano destinati in massima parte ai "nuovi arrivati", cui in maggioranza vennero assegnati gli alloggi, venne infatti perseguito l'obiettivo di inserimento degli ex contadini nella realtà del lavoro operaio, della creazione di una vera e propria forma mentale.
Si trattava di persone che avevano pagato la possibilità di un lavoro ad un prezzo decisamente elevato sul piano umano e che aveva comportato lo sradicamento dalla cultura e dall'ambiente del paese di origine. L'esistenza di piccoli orti, costante in ogni progetto di villaggio operaio in tutta Europa, è un elemento significativo in questo senso. L'orto, infatti, aveva una duplice funzione: quella di fornire prodotti di consumo alle famiglie dei lavoratori, consentendo quindi un'integrazione alimentare quanto mai utile dati i bassi salari e quella di rappresentare, ad un livello più squisitamente psicologico, il trait d'union fra la precedente realtà contadina e la nuova realtà operaia, quasi una sorta di palliativo per l'identità perduta. Non a caso i progettisti francesi dell'Ottocento definirono case di "campagna urbana" le abitazioni ideate per i villaggi operai.
Un altro servizio con finalità dichiaratamente integrative fu il circolo ricreativo, munito di un campo di calcio, sul cui funzionamento il Consiglio di amministrazione così si espresse: "Si fondò la società sportiva che è in continuo progresso; i nostri operai ne sono assai soddisfatti, vedendone l'utilità materiale e morale, i numerosi premi che essa guadagna nelle gare sportive, dimostrano la serietà e la disciplina delle nostre maestranze" (59).
L'organizzazione infrastrutturale raggiunse una tale capillarità che ogni momento, pubblico e privato, della vita degli operai fu previsto e organizzato.
Un'infrastruttura di notevole importanza fu costituita dall'asilo nido. L'asilo, infatti, ebbe un significato ed una funzione che, sebbene strettamente connessa alle esigenze della Filatura, non può non essere visto anche come un servizio innovativo, prima di tutto dal punto di vista culturale.
Si tratta, infatti, di un servizio che basa la propria esistenza su un presupposto socialmente rilevante: il lavoro femminile. Se è vero che nel caso della Filatura di Tollegno e dell'intero Biellese il lavoro femminile può essere considerato "normale", è altrettanto vero che in un contesto più ampio e alla luce di quanto avvenuto nel dopoguerra con la diffusione del lavoro femminile, l'esperienza degli asili nido nei villaggi operai non può non costituire un punto di riferimento per un dibattito ancora attuale.
Sulle motivazioni che indussero la Filatura ad istituire l'asilo, prima fra tutte l'eccessiva mobilità della manodopera femminile in rapporto al ciclo riproduttivo della famiglia, si è detto nella prima parte del lavoro, vale però la pena di rilevare un aspetto significativo. L'asilo, che accoglieva bambini da pochi mesi all'età scolare, fu l'unico servizio completamente gratuito all'interno del villaggio, sia per quanto riguardava il personale addetto all'assistenza sia per quanto riguardava l'alimentazione: latte e biscotti, infatti, furono sempre forniti direttamente dall'amministrazione. Questa particolarità, unita all'estrema attenzione dell'azienda per il funzionamento dell'asilo, indica chiaramente quale importanza rivestisse per la Filatura la disponibilità lavorativa delle donne e la maggiore continuità del lavoro femminile.
L'asilo e l'intero blocco delle infrastrutture erano collocati, come si è detto, nel nucleo centrale del villaggio, quello più vicino alla fabbrica. Il circolo ricreativo era gestito durante le ore libere da una famiglia operaia cui era stato dato in appalto; lo spaccio alimentare, che vendeva a prezzi calmierati prodotti acquistati dalla ditta, era affidato ad un impiegato della Filatura. Il personale impiegato allo spaccio, alla mensa aziendale, che forniva la minestra, e allo stesso asilo era composto unicamente da operai e operaie della Filatura che venivano scelti su diretta richiesta degli interessati. Anche l'edificio con docce e bagni, essendo le case dotate unicamente di latrine, era affidato ad operai ed i convitti alle ragazze stesse. I convitti avevano una grande cucina comune ed erano strutturati in cameroni da sei e otto letti, con alcune camere più piccole a due letti.
All'interno della fabbrica, vi era inoltre un ambulatorio per gli infortuni con un medico e con personale operaio addestrato alle più essenziali norme infermieristiche (60). Esistevano, infine, una centrale elettrica e un acquedotto, che rifornivano l'intero villaggio dietro compenso annuale, calcolato forfettariamente.
Per quanto riguarda i servizi appena elencati, il villaggio di Tollegno non presentava grandi differenze rispetto ai villaggi analoghi sorti in Italia, se si eccettuano gli aspetti, del resto marginali, legati ai "gusti" personali degli imprenditori che ne decisero la realizzazione. Vi è però un ulteriore elemento infrastrutturale che rende il villaggio della Filatura diverso da tutti gli altri: la laicità. Il villaggio non ebbe mai una chiesa, né una cappella, né un sacerdote, né un gruppo di suore adibite alla sorveglianza della manodopera femminile residente nei convitti. Le giovani friulane ebbero cioè come unico controllo l'amministrazione per ogni questione di carattere generale e il portinaio per quanto riguardava l'orario di rientro serale. Si è già visto, inoltre, come tutte le istituzioni assistenziali fossero gestite dagli operai.
Questo elemento è fortemente in contrasto con la realtà degli altri villaggi, dove, invece, l'elemento religioso costituì per eccellenza un canale di integrazione e di creazione del consenso. Restando nel Biellese, è possibile infatti osservare come nel villaggio della Pettinatura di Vigliano, l'organizzazione religiosa, affidata ai salesiani, fosse assai vasta e articolata, come dimostra la creazione di una scuola professionale da parte del salesiani stessi.
L'analisi dei verbali dei consigli di amministrazione non offre nessuno spunto interpretativo, nessuna indicazione diretta di quella precisa scelta laica. Azzardiamo l'ipotesi che l'assenza di controlli religiosi derivi dalla mentalità, dalla radicata cultura laico-liberale degli artefici del villaggio, primi fra tutti i Sella (61) e Daniele Schneider.
Sempre alla mentalità degli artefici va ricondotta un'altra peculiarità del villaggio di Tollegno e relativa al tipo di paternalismo esercitato. Se per paternalismo, utilizzando una efficace definizione di Franco Ferrarotti (62), si intende "una situazione verificabile ogni qualvolta ci si trova di fronte al rifiuto di dare veste istituzionale ai rapporti con i dipendenti, conseguente ad una certa logica dell'esercizio del potere in fabbrica", situazione riscontrabile, in misure diverse, nella quasi totalità dei villaggi esistenti, non è difficile capire che a Tollegno, invece, i rapporti furono istituzionalizzati da sempre. Non troviamo, al contrario, nulla che rimandi alla figura dell'imprenditore-patriarca, vale a dire una sorta di feudatario moderno, tipica del paternalismo classico.
* Saggio tratto dalla tesi di laurea Problemi sociali nella fase di industrializzazione italiana: il caso della Filatura di Tollegno, Università degli studi di Urbino, Facoltà di Magistero, corso di laurea in Sociologia, a.a. 1983-84, relatore prof. Paolo Braghin.
Note
54 L'edificio è stato ceduto al comune di Tollegno ed è attualmente adibito a scuola materna.
55 Le notizie sul villaggio operaio di Tollegno sono state gentilmente fornite dal geometra Dell'Amore, funzionario della Filatura. Altre informazioni sono state desunte da Angelica Ciocchetti, L'industria tessile biellese. Indagine su alcuni villaggi operai, in Patrimonio edilizio esistente. Un passato e un futuro, a cura della Regione Piemonte, Torino, Designers Riuniti, 1980, pp. 147-152.
56 La notizia è stata ricavata dai libri matricola, che ne fanno specifica menzione indicando il domicilio di tali operai, di nome Canepa.
57 Le modalità fissate per ottenere la casa implicitamente confermano tale fatto e cioè che le case non fossero sufficienti rispetto alle richieste.
58 Il testo del regolamento è stato reperito nell'archivio della Filatura, di cui è stata gentilmente concessa la consultazione.
59 Si noti la profonda differenza fra il tono di questa frase e quella del verbale del 1920. È evidente la soddisfazione per un processo di "acculturazione" praticamente riuscito. Ancora di più, però, colpiscono la forma e le espressioni usate, molto simili a quelle che caratterizzeranno il populismo della dittatura fascista, nascente in quello stesso periodo.
60 In origine, il servizio ambulatoriale avrebbe dovuto essere gratuito e tale venne ufficialmente definito anche in seguito. Non fu mistero per nessuno, tuttavia che il suo finanziamento avvenisse tramite le multe inflitte agli operai.
61 Non va dimenticato, infatti, che proprio a Quintino Sella si deve il noto provvedimento della "mano morta" che aveva condotto, in seguito all'annessione dell'ex Stato pontificio all'Italia, alla confisca dei beni ecclesiastici.
62 Franco Ferrarotti, Il rapporto sociale nell'impresa moderna, Roma, Armando, 1962, p. 40.
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