Alla fine degli anni trenta del Novecento Oreste Rivetti affidò a Giuseppe Pagano Pogatschnig (1896-1945), uno dei maggiori architetti italiani del periodo fra le due guerre, intellettuale di punta e direttore delle riviste di architettura “Casabella” e “Domus”, la progettazione di un nuovo stabilimento di pettinatura della lana (1939-1941) per i Lanifici Rivetti e per conto terzi. Si trattò dell’esito di un rapporto di fiducia intessuto con l’architetto di origine istriana sin dagli anni subito successivi alla sua laurea, conseguita nel 1924 presso il Politecnico di Torino, quando l’industriale laniero gli commissionò prima il progetto per la sua villa di famiglia e, successivamente, quello per il Convitto Biellese (1935-1938), un pensionato per i ragazzi del circondario che avessero voluto frequentare gli istituti industriali e commerciali della città, oggi trasformato nella sede degli uffici comunali. Il complesso, realizzato da Pagano con l’ingegner Giangiacomo Predaval avvalendosi di una aggiornata struttura in cemento armato, venne organizzato in due parti: collocando lungo via Carso un edificio alto con pilastri a fungo e solette a intradosso piano, ove il ciclo di lavorazione si svolgeva per gravità, dall’alto verso il basso; disponendo nell’area retrostante, affacciata sul torrente Cervo, un fabbricato a sviluppo orizzontale coperto da shed a profilo parabolico, destinato alle operazioni di pettinatura.
[La Strada della lana, Maria Luisa Barelli]
L’edificio di via Carso venne progettato e costruito tra il 1939 e il 1941 dall’architetto Giuseppe Pagano in collaborazione con l’ingegnere Gian Giacomo Predaval, in ampliamento del complesso industriale Rivetti che si sviluppò nella nuova zona di espansione a sud della città, in stretto rapporto con l’area ferroviaria. Le Pettinature sono un significativo esempio di applicazione dei principi dell’architettura razionalista, che le distinguono nettamente dalle altre costruzioni analoghe del periodo: linearità, purezza dei volumi, funzionalità ed efficienza sono elementi peculiari di questa “macchina produttiva”.
L’edificio si compone di due parti: una alta cinque piani, su strada, ed una bassa a shed, retrostante. Nell’edificio pluripiano le parti di servizio ed i collegamenti verticali sono raggruppati in due corpi aggettanti, a torre, posti alle due estremità della facciata principale e ne definiscono l’immagine. All’interno, pilastri a fungo allineati su due file permettono di ottenere la massima altezza possibile. Le superfici finestrate occupano tutta la luce da un pilastro all’altro e la regolazione della luminosità interna in rapporto alla lavorazione è data dalla diversa altezza delle aperture. Questa attenzione alle condizioni dell’ambiente di lavoro quali l’illuminazione e l’aerazione si ritrova anche nel corpo più basso ed è dimostrata dalla cura nel definire la forma degli shed.
dal catalogo della mostra Identità di pietra. Architettura del Novecento a Biella, 2011
Estremi cronologici:
1939-1941
Note di lavoro
Il rilevamento fotografico è stato effettuato da Andrea Perino nel mese di novembre 2021 nell'ambito del progetto "Fotofabbrica".