Inventario
Fondo
Fondi Tessili
Data: 1890 - 1964
Datazione calcolata
Si tratta del corpo centrale della consistenza iconografica del Centro di Documentazione per l’Industria Tessile e la sua importanza è data dalla quantità di informazionicontenute nelle oltre 1200 immagini tra fotografie “sciolte” e quelle contenute in 4 album (costituiti a loro volta da circa 350 immagini). Questo insieme ha come protagonisti il patrimonio industriale e le fabbriche in ogni loro aspetto.
Ed è frutto di una stratificazione a volte disomogenea ma determinata dell’impulso di conservare, di salvare e di mettere a disposizione della ricerca indipendentemente dalla natura specifica del soggetto e dai riferimenti disponibili.
Le fotografie sono confluite in questo “contenitore” in fototipi singoli, in piccole raccolte, per recupero parziale di fondi di fotografi oppure per l’acquisizione di interi servizi come nel caso degli album. In alcuni casi si tratta, invece, del corredo iconografico di fondi archivistici completi (come per il Fondo Mario Sodano e il Fondo Officine
di Chiavazza).
La cronologia, al di là degli immancabili “pezzi” senza data, ricalca i termini generali del Centro di Documentazione sviluppandosi in modo certo dal 1880 circa al Dopoguerra (con deroghe fino ai primi anni ’80), ma, senza dubbio, non poche delle stampe raccolte, sia per le caratteristiche del soggetto sia per il nome del fotografo, possono considerarsi più antiche.
Il Fondo DocBi, per cause insite alla natura dell’associazione medesima, privilegia con la sua raccolta di immagini il Biellese orientale, soprattutto la Valle di Mosso, il Triverese e la Valsessera, ma non mancano elementi cittadini sia per Biella che per Cossato, mentre la parte occidentale ha meno visibilità.
Concentrando l’attenzione sulle immagini più attinenti alle prerogative del Centro di Documentazione, senza indicare troppi numeri, citando senza ordine cronologico solo alcuni esempi e chiamando in causa qualche nome noto, si può cercare di rendere l’idea della consistenza della sezione. Si possono quindi segnalare le importanti vedute di stabilimenti, alcune delle quali aeree prodotte dalla Navigazione Aerea Italiana o riprese dal Rossetti e dal Bogge, l’opificio dei fratelli Galfione di Pianezze, la Filatura di Tollegno, il Lanificio Fratelli Boggio di Pralungo,
lo stabilimento di Silvio Ubertino di Lessona, ecc.
Nessuna di queste immagini però è datata, anche se si possono collocare tra il 1910 e i primi anni ’30. Lo sono
invece, sebbene anonime, le cinque splendide albumine del 1895 che ritraggono la devastazione prodotta dalle fiamme nell’opificio Lora Totino di Pray. Nell’archivio del Lanificio Lora Totino sono anche conservate 3 immagini anonime risalenti al 1925 dove si riconoscono le opere di presa d’acqua dal torrente Sessera. Ma per questo fondo bisogna rimarcare uno straordinario contributo iconografico non strettamente fotografico bensì cinematografico: il filmato Lora Totino.
Risalgono al 1927 le stampe alla gelatina del Bonda di Biella che documentò l’alluvione di quell’anno che segnò profondamente la valle del Ponzone: in una ventina di scatti sono ritratti i danni ai lanifici Giletti, Spianato, Ubertini e Zignone. Bisogna poi tornare nel secolo precedente per incontrare Vittorio Besso, che a cavallo del 1880 ritrasse le fabbriche sul Cervo dal ponte della Maddalena col lanificio Bossù in primo piano e poi salì a Miagliano per fotografare e stampare su carta albuminata il cotonificio dei Poma.
Gli stessi fotografi operarono anche negli stabilimenti e si occuparono del contesto e degli operai. Prive di data le immagini d’interno di un opificio (forse a Valle Mosso) scattate dal varallese Lazzeri o quelle del Toso nel Lanificio Annibale Bozzalla a Crevacuore. In questo particolare settore, allargando “appena” l’orizzonte, spiccano quattro aristotipi di inizio Novecento sviluppati da un certo Martinez dove è ritratto l’interno di una fabbrica tessile in Argentina e le sei stampe probabilmente al carbone risalenti al 1924, riguardanti i reparti dello stabilimento del biellese Erminio Forno impiantato a La Paz. Tornando a Biella va detto che quel poco che non era strettamente tessile ma industriale in senso lato risultava essere comunque un soggetto appetibile. Ecco allora i quattro aristotipi anonimi del 1905 dove si vedono i macchinari della cartiera Amosso al Bardone, divenuta successivamente Filatura Lanzone. E tornando al Besso, con le sue albumine del 1892 ci ha tramandato le linee ferroviarie che collegavano le valli e le loro fabbriche tanto verso Mosso quanto in alta valle del Cervo con un grosso formato della stazione della Balma. Queste immagini sono raccolte in una cartella composta da 12 fotografie, una delle quali raffigura i costruttori. Del solito Besso sono le due immagini relative all’Esposizione Biellese del 1882 in cui compaiono i tessuti realizzati dal Cotonificio Porta di Biella. Anche le famiglie degli imprenditori tessili sono ben rappresentate. Alcuni esempi sono la composizione di gelatine del Rossetti risalente al 1906 con Modesto Bertotto e consorte ritratti con i sei figli, la foto di famiglia di Anselmo Giletti sempre del Rossetti eseguita intorno al 1910, l’anonimo ritratto dell’avv. Cesare Bozzalla, il gruppo familiare dei Trabaldo Lena e il grand’ufficiale Gregorio Reda nel portrait aristotipico del solito Rossetti degli ultimi anni Venti. Pure gruppi di operai sono presenti nell’archivio fotografico del DocBi e costituiscono motivo di specifico interesse e di studio.
Alcune immagini ritraggono le maestranze sul posto di lavoro, altre le vedono in posa in occasioni importanti come nel caso dell’anonima schiera di uomini, donne e bambini che Vittorio Besso ritrasse intorno al 1890 su di un prato all’esterno di un inidentificabile stabilimento, come pure nel giorno dell’inaugurazione della bandiera sociale interna degli operai del Maglificio Bellia nel 1914 dove il Rossetti riprese circa 330 persone (uno studio per la loro identificazione ha permesso di riconoscerne poco meno della metà: rappresentano, oltre ai Bellia, le autorità e le famiglie dell’intero paese di Pettinengo) o la gelatina al bromuro d’argento priva di data di Pietro Ariello dove si riconoscono i 35 soci fondatori della Fonderia Cooperativa della Maddalena o le maestranze del Maggia di Pettinengo schierate di fronte al cavalletto del Rossetti nell’ultimo Ottocento o quelle del Lanificio Maronpot Piana e Compagnia di Cossato fissate con la gelatina dell’onnipresente Rossetti nel 1909.
Il Biellese tessile di allora non era solo fabbrica e coloro che trascorrevano molte ore della propria giornata sui telai o sui selfactings riuscivano comunque a tessere una vita di relazione, una fitta trama di rapporti sociali che sovente la fotografia ci ha trasmesso. Le Società di Mutuo Soccorso, le cooperative, le associazioni estemporanee di varia connotazione socio-politica o i semplici sodalizi sportivi o musicali ebbero grande sviluppo contemporaneamente a quello degli studi fotografici che lasciavano i camerini di posa cittadini per risalire le vallate in cerca di nuovi soggetti e di nuovi clienti tra le classi meno agiate. Così il Rossetti immortalò nei caldi viraggi dorati di uno splendido aristotipo il Gruppo Operaio delle Gioventù di Trivero Fila nel 1901. Pure di ambito più “operaio” che non industriale è il piccolo contributo fotografico che si trova nel fondo archivistico Ubertini, dove è custodita innanzi tutto una sbiadita ma straordinaria albumina stampata dal Besso: si tratta di un gruppo di dieci uomini di Montalto di Mezzana Mortigliengo affiliati alla Fratellanza Anticlericale Biellese fondata alla metà degli anni ’80 dell’Ottocento (la ripresa dovrebbe essere di poco successiva). Interessanti anche i due cianotipi degli stabilimenti Ubertini e Vaudano. Simone Rossetti fotografò nel 1898 lo stesso Giuseppe Ubertini stampando l’immagine su un portrait alla gelatina, mentre sono prive di data le 4 albumine con paesaggi rurali del Ponzonese con una roggia e alcuni casolari.
Anche il Fondo Valle contiene alcune immagini: si tratta di sei riprese del fotografo Dinelli che raffigurano l’opificio di Strona e i macchinari al suo interno negli anni ’60.
A tutto questo materiale definito “sciolto”, spesso difficilmente identificabile e in molti casi del tutto privo di dati, si affiancano preziosi album. Le raccolte di questo tipo custodite presso il Centro di Documentazione, pur rappresentando di per sé degli insiemi omogenei, monografici e completi, hanno subito per quanto riguarda l’accumulo la stessa sorte dei singoli “pezzi” e quindi risultano elementi isolati, non in serie e spesso ormai unici. Come nel caso delle immagini singole di varia provenienza, gli album costituiscono a volte l’unico testimone archivistico-iconografico di una realtà produttiva da tempo scomparsa. La loro importanza, al di là di tutte le ovvie considerazioni storico-culturali, sta nel carattere “enciclopedico” dettato dai committenti: se la raccolta è completa è molto probabile che lo stabilimento-tipo preso ad esempio sia ripreso in ogni sua parte, reparto per reparto, ufficio per ufficio, in tutti gli scorci e le angolazioni ritenuti significativi. È il caso dei 44 bellissimi aristotipi datati intorno al 1916 stampati dal Rossetti e raccolti in un poderoso quanto elegante e raro (ne sono noti solo altri tre esemplari) album dedicato al Lanificio G. Rivetti e Figli. Macchinari, fasi di lavorazione, reparti ed esterni del grande complesso produttivo di Biella di cui oggi resta poco più del sontuoso ingresso. Anonimo ma ugualmente interessante il lavoro confezionato intorno al 1920 a Borgosesia: medesima tecnica di stampa per le 50 immagini che testimoniano quell’intreccio tra industria ed urbanistica che furono le infrastrutture della Manifattura di Lane in Borgosesia. Anche in questo caso il fotografo visitò i reparti di lavorazione ma l’obiettivo si fermò con maggior frequenza sui sistemi di produzione energetica, come le cabine elettriche e le caldaie Tosi, per poi spostarsi all’esterno “fermando” il trenino carico di merci e di operai che faceva da spola tra i distanti edifici dello stabilimento o i celebri pompieri in esercitazione o il campo da calcio. Infine le case del villaggio. Per questa azienda il medesimo lavoro fotografico venne ripetuto intorno agli anni ’50 (comunque prima delle demolizioni del 1964) realizzando una raccolta di circa 50 fotografie in bianco e nero. Il quarto album, purtroppo anonimo sia per la committenza che per l’autore, risale al 1939 e si può considerare un elemento di confine tra l’insieme di immagini descrittive di attività produttive e le fotografie di carattere privato. Si tratta di 90 gelatine al bromuro d’argento che raccontano una specie di gita sociale della dirigenza e del gruppo dopolavoro di una ditta bolognese, tutti ospiti dei fratelli Boggio di Pralungo. I titolari mostrarono ai visitatori il macchinario, i reparti, le maestranze, vari scorci dell’azienda e della casa padronale
Ed è frutto di una stratificazione a volte disomogenea ma determinata dell’impulso di conservare, di salvare e di mettere a disposizione della ricerca indipendentemente dalla natura specifica del soggetto e dai riferimenti disponibili.
Le fotografie sono confluite in questo “contenitore” in fototipi singoli, in piccole raccolte, per recupero parziale di fondi di fotografi oppure per l’acquisizione di interi servizi come nel caso degli album. In alcuni casi si tratta, invece, del corredo iconografico di fondi archivistici completi (come per il Fondo Mario Sodano e il Fondo Officine
di Chiavazza).
La cronologia, al di là degli immancabili “pezzi” senza data, ricalca i termini generali del Centro di Documentazione sviluppandosi in modo certo dal 1880 circa al Dopoguerra (con deroghe fino ai primi anni ’80), ma, senza dubbio, non poche delle stampe raccolte, sia per le caratteristiche del soggetto sia per il nome del fotografo, possono considerarsi più antiche.
Il Fondo DocBi, per cause insite alla natura dell’associazione medesima, privilegia con la sua raccolta di immagini il Biellese orientale, soprattutto la Valle di Mosso, il Triverese e la Valsessera, ma non mancano elementi cittadini sia per Biella che per Cossato, mentre la parte occidentale ha meno visibilità.
Concentrando l’attenzione sulle immagini più attinenti alle prerogative del Centro di Documentazione, senza indicare troppi numeri, citando senza ordine cronologico solo alcuni esempi e chiamando in causa qualche nome noto, si può cercare di rendere l’idea della consistenza della sezione. Si possono quindi segnalare le importanti vedute di stabilimenti, alcune delle quali aeree prodotte dalla Navigazione Aerea Italiana o riprese dal Rossetti e dal Bogge, l’opificio dei fratelli Galfione di Pianezze, la Filatura di Tollegno, il Lanificio Fratelli Boggio di Pralungo,
lo stabilimento di Silvio Ubertino di Lessona, ecc.
Nessuna di queste immagini però è datata, anche se si possono collocare tra il 1910 e i primi anni ’30. Lo sono
invece, sebbene anonime, le cinque splendide albumine del 1895 che ritraggono la devastazione prodotta dalle fiamme nell’opificio Lora Totino di Pray. Nell’archivio del Lanificio Lora Totino sono anche conservate 3 immagini anonime risalenti al 1925 dove si riconoscono le opere di presa d’acqua dal torrente Sessera. Ma per questo fondo bisogna rimarcare uno straordinario contributo iconografico non strettamente fotografico bensì cinematografico: il filmato Lora Totino.
Risalgono al 1927 le stampe alla gelatina del Bonda di Biella che documentò l’alluvione di quell’anno che segnò profondamente la valle del Ponzone: in una ventina di scatti sono ritratti i danni ai lanifici Giletti, Spianato, Ubertini e Zignone. Bisogna poi tornare nel secolo precedente per incontrare Vittorio Besso, che a cavallo del 1880 ritrasse le fabbriche sul Cervo dal ponte della Maddalena col lanificio Bossù in primo piano e poi salì a Miagliano per fotografare e stampare su carta albuminata il cotonificio dei Poma.
Gli stessi fotografi operarono anche negli stabilimenti e si occuparono del contesto e degli operai. Prive di data le immagini d’interno di un opificio (forse a Valle Mosso) scattate dal varallese Lazzeri o quelle del Toso nel Lanificio Annibale Bozzalla a Crevacuore. In questo particolare settore, allargando “appena” l’orizzonte, spiccano quattro aristotipi di inizio Novecento sviluppati da un certo Martinez dove è ritratto l’interno di una fabbrica tessile in Argentina e le sei stampe probabilmente al carbone risalenti al 1924, riguardanti i reparti dello stabilimento del biellese Erminio Forno impiantato a La Paz. Tornando a Biella va detto che quel poco che non era strettamente tessile ma industriale in senso lato risultava essere comunque un soggetto appetibile. Ecco allora i quattro aristotipi anonimi del 1905 dove si vedono i macchinari della cartiera Amosso al Bardone, divenuta successivamente Filatura Lanzone. E tornando al Besso, con le sue albumine del 1892 ci ha tramandato le linee ferroviarie che collegavano le valli e le loro fabbriche tanto verso Mosso quanto in alta valle del Cervo con un grosso formato della stazione della Balma. Queste immagini sono raccolte in una cartella composta da 12 fotografie, una delle quali raffigura i costruttori. Del solito Besso sono le due immagini relative all’Esposizione Biellese del 1882 in cui compaiono i tessuti realizzati dal Cotonificio Porta di Biella. Anche le famiglie degli imprenditori tessili sono ben rappresentate. Alcuni esempi sono la composizione di gelatine del Rossetti risalente al 1906 con Modesto Bertotto e consorte ritratti con i sei figli, la foto di famiglia di Anselmo Giletti sempre del Rossetti eseguita intorno al 1910, l’anonimo ritratto dell’avv. Cesare Bozzalla, il gruppo familiare dei Trabaldo Lena e il grand’ufficiale Gregorio Reda nel portrait aristotipico del solito Rossetti degli ultimi anni Venti. Pure gruppi di operai sono presenti nell’archivio fotografico del DocBi e costituiscono motivo di specifico interesse e di studio.
Alcune immagini ritraggono le maestranze sul posto di lavoro, altre le vedono in posa in occasioni importanti come nel caso dell’anonima schiera di uomini, donne e bambini che Vittorio Besso ritrasse intorno al 1890 su di un prato all’esterno di un inidentificabile stabilimento, come pure nel giorno dell’inaugurazione della bandiera sociale interna degli operai del Maglificio Bellia nel 1914 dove il Rossetti riprese circa 330 persone (uno studio per la loro identificazione ha permesso di riconoscerne poco meno della metà: rappresentano, oltre ai Bellia, le autorità e le famiglie dell’intero paese di Pettinengo) o la gelatina al bromuro d’argento priva di data di Pietro Ariello dove si riconoscono i 35 soci fondatori della Fonderia Cooperativa della Maddalena o le maestranze del Maggia di Pettinengo schierate di fronte al cavalletto del Rossetti nell’ultimo Ottocento o quelle del Lanificio Maronpot Piana e Compagnia di Cossato fissate con la gelatina dell’onnipresente Rossetti nel 1909.
Il Biellese tessile di allora non era solo fabbrica e coloro che trascorrevano molte ore della propria giornata sui telai o sui selfactings riuscivano comunque a tessere una vita di relazione, una fitta trama di rapporti sociali che sovente la fotografia ci ha trasmesso. Le Società di Mutuo Soccorso, le cooperative, le associazioni estemporanee di varia connotazione socio-politica o i semplici sodalizi sportivi o musicali ebbero grande sviluppo contemporaneamente a quello degli studi fotografici che lasciavano i camerini di posa cittadini per risalire le vallate in cerca di nuovi soggetti e di nuovi clienti tra le classi meno agiate. Così il Rossetti immortalò nei caldi viraggi dorati di uno splendido aristotipo il Gruppo Operaio delle Gioventù di Trivero Fila nel 1901. Pure di ambito più “operaio” che non industriale è il piccolo contributo fotografico che si trova nel fondo archivistico Ubertini, dove è custodita innanzi tutto una sbiadita ma straordinaria albumina stampata dal Besso: si tratta di un gruppo di dieci uomini di Montalto di Mezzana Mortigliengo affiliati alla Fratellanza Anticlericale Biellese fondata alla metà degli anni ’80 dell’Ottocento (la ripresa dovrebbe essere di poco successiva). Interessanti anche i due cianotipi degli stabilimenti Ubertini e Vaudano. Simone Rossetti fotografò nel 1898 lo stesso Giuseppe Ubertini stampando l’immagine su un portrait alla gelatina, mentre sono prive di data le 4 albumine con paesaggi rurali del Ponzonese con una roggia e alcuni casolari.
Anche il Fondo Valle contiene alcune immagini: si tratta di sei riprese del fotografo Dinelli che raffigurano l’opificio di Strona e i macchinari al suo interno negli anni ’60.
A tutto questo materiale definito “sciolto”, spesso difficilmente identificabile e in molti casi del tutto privo di dati, si affiancano preziosi album. Le raccolte di questo tipo custodite presso il Centro di Documentazione, pur rappresentando di per sé degli insiemi omogenei, monografici e completi, hanno subito per quanto riguarda l’accumulo la stessa sorte dei singoli “pezzi” e quindi risultano elementi isolati, non in serie e spesso ormai unici. Come nel caso delle immagini singole di varia provenienza, gli album costituiscono a volte l’unico testimone archivistico-iconografico di una realtà produttiva da tempo scomparsa. La loro importanza, al di là di tutte le ovvie considerazioni storico-culturali, sta nel carattere “enciclopedico” dettato dai committenti: se la raccolta è completa è molto probabile che lo stabilimento-tipo preso ad esempio sia ripreso in ogni sua parte, reparto per reparto, ufficio per ufficio, in tutti gli scorci e le angolazioni ritenuti significativi. È il caso dei 44 bellissimi aristotipi datati intorno al 1916 stampati dal Rossetti e raccolti in un poderoso quanto elegante e raro (ne sono noti solo altri tre esemplari) album dedicato al Lanificio G. Rivetti e Figli. Macchinari, fasi di lavorazione, reparti ed esterni del grande complesso produttivo di Biella di cui oggi resta poco più del sontuoso ingresso. Anonimo ma ugualmente interessante il lavoro confezionato intorno al 1920 a Borgosesia: medesima tecnica di stampa per le 50 immagini che testimoniano quell’intreccio tra industria ed urbanistica che furono le infrastrutture della Manifattura di Lane in Borgosesia. Anche in questo caso il fotografo visitò i reparti di lavorazione ma l’obiettivo si fermò con maggior frequenza sui sistemi di produzione energetica, come le cabine elettriche e le caldaie Tosi, per poi spostarsi all’esterno “fermando” il trenino carico di merci e di operai che faceva da spola tra i distanti edifici dello stabilimento o i celebri pompieri in esercitazione o il campo da calcio. Infine le case del villaggio. Per questa azienda il medesimo lavoro fotografico venne ripetuto intorno agli anni ’50 (comunque prima delle demolizioni del 1964) realizzando una raccolta di circa 50 fotografie in bianco e nero. Il quarto album, purtroppo anonimo sia per la committenza che per l’autore, risale al 1939 e si può considerare un elemento di confine tra l’insieme di immagini descrittive di attività produttive e le fotografie di carattere privato. Si tratta di 90 gelatine al bromuro d’argento che raccontano una specie di gita sociale della dirigenza e del gruppo dopolavoro di una ditta bolognese, tutti ospiti dei fratelli Boggio di Pralungo. I titolari mostrarono ai visitatori il macchinario, i reparti, le maestranze, vari scorci dell’azienda e della casa padronale