Inventario
Protesi d’anca in compositi basati su tessuti 3D.
Oggetto della ricerca descritta è lo studio di una protesi d’anca non cementata realizzata completamente in materiale composito, con determinate caratteristiche di rigidezza in varie parti della sua struttura tali da minimizzare le perturbazioni dello stato tensionale sull’osso dovute all’inserimento dello stelo stesso.
Partendo dalla configurazione geometrica di una protesi commerciale in materiali metallici tradizionali, largamente diffusa a livello mondiale, è stato condotto uno studio, basato prevalentemente su simulazioni numeriche con il FEM, al fine di riprogettarne sia la morfologia che la struttura basata in questo caso sull’utilizzo di materiali compositi plastici.
L’obiettivo è stato quello di ottenere una protesi con una distribuzione di rigidezze tale da minimizzare contemporaneamente sia il rimodellamento dell’osso periprotesico, sia il dolore alla coscia per il paziente.
Trasferimento dei carichi tra protesi e osso nelle protesi non cementate
Il femore, come tutte le ossa lunghe, ha una struttura composita: è riconoscibile una parte interna, o spongiosa, e una esterna, o corticale. La parte interna è costituita da trabecole (piccole spicole ossee). Le caratteristiche meccaniche dell’osso spongioso sono generalmente di un ordine di grandezza inferiore rispetto a quelle dell’osso corticale che è formato da strutture fortemente orientate. Tale morfologia comporta caratteristiche meccaniche ortotrope.
Nella tabella 1 sono riportati rispettivamente alcuni valori delle caratteristiche meccaniche dell’osso e quelli di alcune leghe metalliche usate in ortopedia. La differenza tra i moduli di Young tra osso e leghe metalliche porta all’insorgere di problemi legati al trasferimento dei carichi tra l’osso stesso e un eventuale impianto protesico metallico, e ad una conseguente distribuzione delle tensioni non fisiologica.
Tabella 1: Proprietà meccaniche del femore
Corticale (longit.) Corticale (tang.) Spongioso |
Modulo di Young [GPa] 17 12 0.1 |
Sforzo a rottura [MPa] 130 60 2 |
Allungamento a rottura [%] 3 1 2.5 |
Densità [g/cm3] 2 2 1 |
Proprietà meccaniche dei materiali metallici usati nelle protesi articolari |
Inox 316 L SS (forgiato) CoCrMo (getto) CoNiCrMo (forgiato) Ti6Al4V |
Modulo di Young [GPa] 200 230 230 110 |
Sforzo a rottura [MPa] 1000 660 1800 900 |
Allungamento a rottura [%] 9 8 8 10 |
Densità [g/cm3] 7.9 8.3 9.2 4.5 |
La maggior rigidezza della protesi rispetto all’osso è causa di stress shielding, o schermatura del carico. Infatti, in un femore protesizzato, le tensioni presenti nella parte prossimale risultano inferiori rispetto a quelle nel femore integro (figura 1- Corvi, 1997).
Figura1: distribuzione delle tensioni in un osso integro e in un osso protesizzato
L’esperienza clinica permette inoltre di affermare che, in mancanza di sollecitazioni, si ha una evidente demineralizzazione delle ossa, come per esempio avviene in pazienti che rimangono allettati per lunghi periodi (alcuni mesi) o negli astronauti al rientro dalle missioni spaziali, in cui sono stati in assenza di gravità. Oltre alla demineralizzazione, cambia anche il rapporto tra parte spongiosa e corticale e la densità. Si può, pertanto, affermare che l’osso viene rimodellato dai carichi. Se quindi una zona in cui si è stabilito l’ancoraggio tra protesi e osso risulta mediamente scaricata rispetto alle condizioni fisiologiche, a lungo andare questa si demineralizza e l’impianto protesico può diventare instabile fino a giungere al fallimento dell’afferraggio, cosa che rende necessario un intervento di espianto.
Oltre al problema del fallimento dell’impianto per mobilizzazione, esiste anche quello del dolore. Un elevato numero di pazienti protesizzati con protesi non cementate (fino al 40%, a seconda del tipo di protesi) sono affetti da dolore alla coscia. Il dolore può essere così intenso da costringere all’espianto della protesi.
Non c’è concordanza sull’origine del dolore alla coscia. Esiste tuttavia una correlazione tra dolore e tensioni all’interfaccia osso-protesi. In alcuni studi (Corvi, 2000), considerando alcune condizioni in cui l’esperienza clinica rileva la presenza di dolore, è stata verificata tramite uno studio agli elementi finiti, la presenza di picchi di tensione all’interfaccia osso-protesi.
Data la loro peculiarità di essere materiali progettabili secondo le specifiche esigenze, i materiali compositi possono pertanto offrire la possibilità di realizzare steli protesici che possano assommare caratteristiche di resistenza adeguate e di rigidezza tale da minimizzare sia il fenomeno della mobilizzazione asettica, sia quello del dolore alla coscia nel paziente.
Protesi d’anca in materiale composito
Nel corso degli ultimi anni ci sono stati diversi tentativi di realizzare protesi d’anca in materiale composito. Le tecnologie utilizzate sono le più diverse.
In un caso (Reinhardt, 1996) la protesi viene realizzata con la tecnologia RTM (Resin Transfer Moulding); vari strati di braiding in fibra di carbonio (con spessore costante di 6 mm) sono posti sopra un’anima di legno riproducente la protesi. Il tutto è poi chiuso in uno stampo in cui è stata fatta l’iniezione di resina. Altri autori (Riner, 1997) hanno realizzato una protesi d’anca in PEEK rinforzato da fibra corta di carbonio. L’impasto, ad alta viscosità, è stato iniettato in uno stampo.
La Orthodynamics (divisione della Orthodesign Ltd) ha in catalogo il modello denominato Bradley, in materiale composito, con rivestimento di idrossiapatite.
Nel corso di una collaborazione tra ricercatori portoghesi e inglesi, è stata progettata e costruita una protesi composta da un core in lega di cobalto-cromo ricoperto da uno strato a spessore variabile di braiding di carbonio e vetro impregnato di resina epossidica (Simões, 2000).
Tutte queste soluzioni, sono però basate sull’utilizzo di fibre di carbonio quale rinforzo. In realtà esistono molti dubbi sulla biocompatibilità di tali fibre. Infatti, fintanto che la fibra di carbonio rimane integra e coperta di resina epossidica, non sembrano esserci problemi di biocompatibilità. Invece, quando si ha la rottura della fibra in microparticelle, queste vengono fagocitate dai macrofagi, non digerite, ma distribuite in tutto il corpo attraverso il sistema linfatico (Wolter, 1983). La presenza di residui carboniosi nei linfonodi è un dato considerato preoccupante per la biocompatibilità a lungo termine, anche in relazione alla sospettata cancerogenicità.
Tali considerazioni hanno pertanto orientato l’attività oggetto della presente memoria verso l’utilizzo di fibre alternative al carbonio.
Una nuova protesi in tessuti 3D
In base alle esperienze condotte, è stato possibile sviluppare una nuova protesi in cui sono stati definiti sia la conformazione geometrica, che quella strutturale adottando materiali quali tessuti tridimensionali sia in fibra di carbonio che in fibra aramidica.
Il punto di partenza della progettazione è stata la protesi ABG Howmedica in quanto di moderna concezione e ampiamente utilizzata con soddisfazione da molti chirurghi ortopedici (Nourissat,1998). Questa è una protesi anatomica, di tipo non cementato, realizzata in lega di titanio con zona di ancoraggio rivestita di idrossiapatite.
In base alle moderne tendenze che vedono una riduzione delle dimensioni dello stelo e a convinzioni degli autori, è stata ridisegnata una protesi simile alla ABG nella zona di afferraggio da parte dell’osso (quella che nella protesi commerciale è rivestita di idrossiapatite), ma con uno stelo, nella parte distale, sensibilmente più corto e snello. Nella parte prossimale, sotto alla estremità tronco-conica in cui si impegna la testina sferica, si è stati costretti ad allargare le sezioni in modo da permettere la stratificazione di un numero sufficiente di strati di composito tali da garantire la necessaria resistenza strutturale.
Sulla base di tale geometria è stato sviluppato un modello FEM mediante il software ANSYS 5.5.2 comprendente la protesi montata in un femore. Parallelamente, è stato realizzato un modello di un femore integro. Agli elementi che discretizzano l’osso corticale sono state assegnate proprietà meccaniche ortotrope rilevate da Park (1992), mentre l’osso spongioso è stato considerato isotropo (tabella 1). Entrambi i modelli sono stati vincolati nella zona della zona della diafisi femorale ed è stato applicato un carico in corrispondenza della testa (femore integro) e della testina della protesi (femore protesizzato) stimato pari al massimo valore del carico nel corso della deambulazione (Paul, 1976). Per il materiale della protesi, sono state individuate diverse zone cui, secondo un processo iterativo, sono stati assegnati diversi valori del modulo di elasticità in modo da imporre valori variabili della rigidezza.
Una procedura iterativa basata sul confronto tra i risultati, in termini di deformazione, ottenuti per il femore integro e per quello protesizzato con protesi con rigidezza dello stelo variabile, ha permesso di individuare una distribuzione di rigidezze tale da minimizzare le differenze tra lo stato di deformazione nell’osso nei due casi. Tale configurazione è stata ritenuta ottimale e, in base a questa, sono, nel seguito, state ricercate le stratificazioni che meglio la potessero approssimare.
Scelta del materiale per la realizzazione della protesi
Sulla base delle informazioni trovate in letteratura sulle caratteristiche meccaniche e di biocompatibilità di alcuni materiali (Eschbach, 2000; Wolter, 1983; Wening, 1995; Anon, 1994; Brun, 1992; Takami, 1997; Morrison, 1999; Henderson, 1987; Bellmann, 2000; Ramakrishna, 2001), e considerando le esperienze di precedenti lavori (Zhang,1999; Lewandowska-Szumiel, 1999; Boriani, 1999; Ciapetta, 1999), la scelta si è orientata sulle fibre di UHMWPE (commercializzato come Spectra e Dyneema) e su quelle aramidiche. Relativamente alle prime, è nota la biocompatibilità del UHMWPE, ma si sono manifestate alcune perplessità sulla possibilità di realizzare manufatti in modo artigianale (condizione richiesta per la costruzione di prototipi). Infatti, per ottenere le migliori proprietà da tale materiale, è necessario accoppiarlo con matrici in resina termoplastica. Inoltre, la scelta della matrice dovrebbe essere fortemente condizionata dalla sua temperatura di fusione che dovrebbe essere necessariamente inferiore a quella del polietilene. Tali difficoltà, unite al fatto che questi materiali sono ancora considerati negli USA strategici e quindi non facilmente reperibili se non già lavorati, hanno orientato la scelta verso le fibre aramidiche in matrice epossidica che sono già utilizzate in campo biologico da molto tempo.
Un tessuto 3D realizzato in Twaron con la tecnologia del braiding è stato appositamente realizzato dalla Eurocarbon e su tale materiale è stata eseguita una caratterizzazione sperimentale di base. In particolare, sono stati preparate 3 serie di 5 provini ciascuna, caratterizzate da diversi angoli tra le fibre: ±19° , ±23°, ±26°. Il materiale è stato impregnato con resina epossidica Conchem SV312.
I risultati delle prove sono riportati nella tabella 2.
Tabella 2: risultati delle prove su un tessuto 3D realizzato in Twaron
Angolo fibre |
Modulo di Young |
Tensione di rottura |
Coefficiente di Poisson |
±19° |
18 GPa |
390 MPa |
0,68 |
±23° |
13 GPa |
330 MPa |
0,72 |
±26° |
9 GPa |
190 MPa |
0,71 |
Progetto strutturale della protesi
La protesi deve essere realizzata con il doppio obiettivo di avere una distribuzione delle rigidezze tali da approssimare il comportamento della protesi “ideale” individuata con le precedenti analisi e deve, inoltre, essere in grado di sopportare i carichi di esercizio e soprattutto quelli previsti per il collaudo dalla normativa ISO 7206. In particolare, per l’ottimizzazione del progetto in tale prospettiva, è stato realizzato un nuovo modello FEM simulante il test statico previsto dalla ISO che prevede prove di carico sulla testa della protesi il cui stelo è parzialmente inglobato in un blocco di resina secondo certi angoli di orientazione.
Realizzazione dei prototipi
In conformità con la geometria definita per la protesi, è stato costruito un modello della protesi in legno e resina. Con tale modello è stato in seguito realizzato lo stampo.
La realizzazione dei prototipi della protesi è suddivisibile in tre parti:
a) formatura della parte esterna, che chiameremo guscio, fatto con un braiding impregnato di resina epossidica a cui l’applicazione di una pressione dall’interno consente di assumere la forma dello stampo;
b) riempimento del guscio con resina epossidica (in alcuni casi rinforzata da fibra corta);
c) rifinitura.
Nella realizzazione del guscio, la posizione dei vari pezzi di braiding è stata sfalsata in modo da diminuire lo spessore del guscio in prossimità della punta. A circa 40 mm dalla punta il numero di strati diminuisce fino a giungere ad un solo strato in punta. In questo modo otteniamo una rigidezza della protesi decrescente secondo quanto ritenuto ottimale in funzione della minimizzazione del rimodellamento osseo e della prevenzione del dolore alla coscia.
La fase di rifinitura è risultata abbastanza complessa: infatti, se un composito di aramidica viene tagliato o abrasivato emergono alla superficie delle fibre prive di resina che rendono la superficie pelosa. Per minimizzare tale effetto è necessario utilizzare dischi da taglio ad elevate velocità di rotazione (15.000 – 20.000 giri/1’).
Analisi sperimentale su un prototipo e taratura del modello FEM
Per poter validare le risposte del modello FEM è stato realizzato un prototipo con braiding in Kevlar. La protesi è stata strumentata con estensimetri elettrici a resistenza e poi inglobata in resina secondo quanto previsto dalle norme ISO 7206. Il bicchiere contenente la protesi è stato montato su una macchina di prova ed è stata condotta una prova di compressione (con il carico applicato sempre in conformità alla ISO 7206). Nel corso della prova sono stati acquisiti i valori del carico e delle deformazioni rilevate dagli estensimetri.
La stessa prova è stata simulata tramite il codice ANSYS e i risultati dell’analisi numerica sono stati confrontati con quelli sperimentali. Lo scarto massimo tra le deformazioni misurata e stimata, almeno per il tratto lineare dell’andamento della curva carico-deformazione, è stato inferiore al 15%. Tali risultati hanno permesso sia di validare la tecnologia di realizzazione della protesi (infatti il materiale risultante ha la stessa qualità del materiale dei provini di caratterizzazione realizzati con la tecnologia bag-moulding su un piano), che di verificare le risposte del codice di calcolo che è risultato in grado di approssimare in modo adeguato il fenomeno fisico.
Progetto della protesi
Per ottenere una distribuzione delle rigidezze in grado di approssimare quella ritenuta ottimale e, nello stesso tempo per raggiungere una stratificazione in grado di resistere alle sollecitazioni statiche e affaticanti cui la protesi sarà soggetta nel corso del suo esercizio, sono state simulate tramite i modelli FEM diverse tipologie di stratificazione.
In particolare è stata individuata una sequenza di laminazione, basata su strati di braiding in carbonio e in Twaron, in grado di soddisfare le esigenze. Il carbonio utilizzato era già stato caratterizzato nel corso di una precedente fase della ricerca (Corvi, 2000). Per ovviare ai problemi di dubbia biocompatibilità di tale fibra, la stratificazione è stata concepita con le lamine in tessuto in carbonio nella parte più interna e con quelle in tessuto aramidico nella parte più esterna. In questo modo il carbonio, totalmente rivestito dal Twaron, non può entrare in contatto con i tessuti biologici.
Relativamente alla distribuzione delle rigidezze, si può rilevare come la distribuzione delle tensioni ed i valori medi e massimi nelle zone di interesse, mostrano come la protesi in Twaron-carbonio-epossidica si comporti in modo assai simile a quella definita ottimizzata.
É stata, inoltre, eseguita la simulazione FEM della prova statica secondo ISO.
La normativa non fornisce un valore del carico statico che la protesi debba sopportare per essere considerata sicura. É possibile, tuttavia, fare alcune considerazioni: considerando un individuo di massa pari a 80 kg, la forza che si trasmette attraverso la testa del femore può arrivare a 8 volte il peso della persona (Paul, 1976). È, inoltre, opportuno considerare un coefficiente di sicurezza pari almeno a 2 (sarebbe stato meglio 4). Si ha quindi un carico di progetto di 12800 N.
Il carico critico (first ply failure) per la protesi in Twaron-carbonio è risultato di 16000 N superiore quindi al carico di progetto.
Uno dei modi in cui è possibile valutare la resistenza a fatica di uno stelo protesico, è quello di applicare un carico di compressione variabile sinusoidalmente tra 300 e 2300 N conformemente a quanto indicato dalla normativa ISO 7206, per un numero di cicli pari almeno a 5*106, alla frequenza di 1 Hz (valore consigliato per i materiali plastici). Il carico di rottura previsto, 16000 N, risulta essere quindi circa 7 volte maggiore del carico massimo affaticante. Ci sono quindi i presupposti per ritenere che lo stelo protesico in composito carbonio-aramidica possa superare anche questo tipo di prova richiesta dalla normativa.
Conclusioni
Sulla base del lavoro progettuale svolto e dell’esperienza maturata nella fase sperimentale, è stata progettata e realizzata una protesi, con adeguate caratteristiche di biocompatibilità, tale da ottimizzare la distribuzione delle tensioni sull’osso periprotesico ai fini della minimizzazione del rimodellamento osseo, principale causa della mobilitazione asettica delle protesi d’anca non cementate. La protesi si è dimostrata, a livello di calcolo numerico, in grado di sopportare i carichi ritenuti di sicurezza per tali manufatti.
Il risultato è stato ottenuto progettando una protesi costituita da un guscio formato da strati di Twaron all’esterno e di fibra di carbonio all’interno, in numero variabile da sezione a sezione, riempito internamente con resina epossidica. La messa a punto di una adeguata tecnologia di realizzazione ha permesso la realizzazione di alcuni prototipi e la verifica di una industrializzabilità delle procedure di fabbricazione.
Ringraziamenti
Gli autori desiderano ringraziare la società Eurocarbon, 119c Sittard, The Netherlands per aver appositamente realizzato e fornito il braiding in fibra aramidica.
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