Inventario
Membrane di fibroina ad uso medico.
Introduzione
La seta ottenuta dalla filatura dei bozzoli del baco domestico (Bombyx mori) non è solo una delle fibre naturali più preziose utilizzate dall’industria tessile, ma anche un biopolimero di grande interesse per le sue proprietà chimiche, fisiche, meccaniche e strutturali, che può essere utilizzato come materia prima per lo sviluppo di un’ampia gamma di dispositivi innovativi per applicazioni biomedicali e biotecnologiche (1).
L’impiego della seta come filo di sutura non riassorbibile in ambito medico-chirurgico è ormai consolidato da anni (2), anche se il suo uso è attualmente in declino per la competizione di una vasta gamma di prodotti analoghi confezionati con polimeri sintetici. Tuttavia, molte altre applicazioni di tipo biomedico sono attualmente allo studio. Citiamo, a titolo di esempio, lo sviluppo di materiali compositi seta-idrossiapatite da impiegare come protesi per la rigenerazione ossea (3), la produzione di garze protettive per il trattamento delle ustioni (4), e di tessili bioattivi con attività antimicrobica (5).
Le membrane di fibroina sono materiali altrettanto interessanti. È infatti possibile preparare biosensori immobilizzando all’interno delle membrane vari tipi di enzimi con una tecnica molto semplice, che non richiede alcuna reazione chimica (7). La constatazione che le membrane di fibroina sono biocompatibili (7), sono permeabili all’ossigeno e al vapore acqueo, e sono in grado di fungere da substrato per l’adesione e la crescita cellulare, ha stimolato studi finalizzati allo sviluppo di dispositivi in grado di assistere la rigenerazione di tessuti danneggiati (ad esempio: l’epidermide), e di matrici tridimensionali per la rigenerazione di organi.
L’interesse crescente per le membrane di fibroina come materiale per impiego biomedico ci ha quindi indotto ad intraprendere alcuni studi sulle loro proprietà chimiche, fisiche e strutturali e su come esse possano essere modulate modificando opportunamente le condizioni di preparazione. Sono state inoltre valutate caratteristiche funzionali, quali la biocompatibilità e la stabilità alla biodegradazione, che possono orientare nella scelta delle applicazioni più adeguate per questo tipo di materiale.
Preparazione delle membrane
Il materiale di partenza può essere costituito da bozzoli, da filato o da tessuto di seta. Qualora sia ancora presente la sericina, una sostanza proteica gommosa che riveste i filamenti di fibroina, è necessario rimuoverla con un’operazione che si chiama sgommatura. Questa si esegue con le seguenti modalità: si tratta la seta con una soluzione acquosa di sapone di Marsiglia (7 g/l), a 95°C per 1 ora, e quindi si risciacqua a fondo con acqua distillata. La seta sgommata è poi estratta in Soxhlet con etere di petrolio per eliminare residui di sostanze grasse e asciugata a temperatura ambiente.
Per la preparazione delle membrane è necessario disporre di una soluzione acquosa di fibroina, che può essere preparata per solubilizzazione delle fibre di seta sgommate (figura 1). Queste ultime sono costituite dall’aggregazione di molecole di fibroina preferenzialmente orientate nella direzione dell’asse fibroso, tenute assieme da una fitta rete di legami idrogeno intermolecolari. La disgregazione di questa struttura semicristallina, altamente ordinata e molto compatta richiede un solvente in grado di rigonfiare le fibre, diffondere al loro interno e rompere i ponti di idrogeno, possibilmente senza indurre effetti negativi sulle molecole di fibroina.
I solventi più comunemente utilizzati per sciogliere la seta sono le soluzioni acquose sature di alcuni sali di litio, come il litio bromuro (LiBr) e il litio tiocianato (LiSCN). Il LiBr viene abitualmente impiegato per la determinazione della viscosità intrinseca della fibroina (SNV 195595-69). Per sciogliere la seta e preparare le membrane si può procedere come segue: le fibre, costituite completamente da fibroina, sono sciolte con una soluzione satura di litio bromuro (LiBr), a 60°C per 3 ore. Dopo filtrazione, la soluzione acquosa di fibroina è dializzata contro acqua distillata fino a completa eliminazione del sale. Aliquote di soluzione acquosa sono poi versate in capsule di polietilene (5x7 cm) e fatte evaporare a temperatura ambiente fino a completa essiccazione (casting).
Le membrane ottenute per casting da soluzioni acquose di fibroina diluite (<5% in peso) sono essenzialmente amorfe (“random coil”). A concentrazioni di fibroina più elevate (≥5%), nel corso del processo di essiccazione, si possono formare nuclei di una struttura cristallina metastabile denominata “Silk I” (9). Poiché le membrane con struttura molecolare “random coil-Silk I” tendono a disgregarsi se immerse in acqua, esse devono essere sottoposte ad un trattamento che conferisca loro una struttura cristallina più stabile e le renda insolubili. Questo scopo può essere raggiunto inducendo la cristallizzazione delle membrane per transizione conformazionale “random coil-Silk I®Silk II”. La struttura cristallina denominata “Silk II” corrisponde alla ben nota struttura a “foglietto ß” presente nelle fibre di seta. Trattamenti termici, meccanici, e l’immersione in alcuni solventi miscibili con acqua, come il metanolo, possono essere efficaci per cristallizzare le membrane. La tecnica del trattamento con solvente, di gran lunga la più utilizzata per la sua provata efficacia e la semplicità di esecuzione, consiste nell’immergere le membrane di fibroina amorfe in una soluzione acquosa di metanolo (dal 50% all’80% in volume), per 1 ora, e nel farle quindi asciugare a temperatura ambiente.
Figura 1: rappresentazione schematica della procedura di preparazione delle membrane di fibroina
Caratterizzazione chimica, fisica e strutturale
Le proprietà chimiche, fisiche, strutturali e funzionali delle membrane dipendono da un insieme di fattori legati alle condizioni di preparazione, all’esecuzione di post-trattamenti, alle condizioni ambientali cui le membrane stesse vengono esposte. Tali fattori richiedono un attento controllo. A questo scopo si possono impiegare diverse tecniche analitiche. Particolarmente utili sono quelle cromatografiche e spettroscopiche, dalle quali si possono trarre informazioni chimiche e strutturali di estrema importanza.
Anche se le soluzioni saline utilizzate per sciogliere le fibre sono considerate poco aggressive nei confronti della fibroina, è logico attendersi che le condizioni di reazione (tempo, temperatura) possano innescare fenomeni di degradazione delle macromolecole proteiche, principalmente mediante rottura di alcuni legami peptidici e conseguente diminuzione del grado di polimerizzazione. Poiché fenomeni degradativi incontrollati potrebbero avere conseguenze negative sulle caratteristiche chimico-fisiche della fibroina e sulle proprietà delle membrane risultanti, si è studiato l’effetto delle condizioni di solubilizzazione sul peso molecolare della fibroina.
La figura 2 mostra le variazioni di peso molecolare (determinato in HPLC, con una colonna ad esclusione sterica)(8) registrate in funzione del tempo di solubilizzazione, mantenendo fissi gli altri parametri sperimentali.
Figura 2: peso molecolare della fibroina in funzione del tempo di solubilizzazione con LiBr
Come si può notare, all’aumentare del tempo di permanenza della seta nella soluzione salina a 60°C, il peso molecolare della fibroina diminuisce gradualmente. Non si tratta di un effetto drammatico, in quanto la variazione massima di peso molecolare osservata è stata di circa 10 kD per un trattamento della durata di 6 ore, più del doppio del tempo di solubilizzazione abitualmente utilizzato per sciogliere la seta. Tuttavia, i risultati mettono in evidenza che il processo non è esente da effetti degradativi a carico della fibroina e che essi possono essere contenuti entro limiti accettabili se il tempo di solubilizzazione non supera le 3 ore.
Per studiare la cinetica del processo di cristallizzazione si sono impiegate due tecniche spettroscopiche, NIR-FT Raman e FT-IR in ATR. Membrane amorfe di fibroina sono state trattate con una soluzione acquosa di metanolo all’80% per tempi diversi, da 1 minuto a 2 ore. L’analisi dei cambiamenti spettrali nelle bande a valenza conformazionale degli spettri Raman (Amide I a 1.670-1.660 cm-1, Amide III a 1.270-1.230 cm-1, e di scheletro a 1.100-800 cm-1) indica che, in membrane dello spessore di circa 50 mm, il processo di cristallizzazione della fibroina a “foglietto b” si completa dopo 1 ora di trattamento, mentre a tempi inferiori il materiale si presenta ancora prevalentemente amorfo (9). Questo comportamento può essere attribuito al fatto che il metanolo è un cattivo solvente per la fibroina, e che la sua diffusione all’interno della membrana avviene grazie all’azione rigonfiante esercitata dall’acqua sulla membrana stessa. Come in ogni processo diffusivo si nota quindi una stretta dipendenza dal tempo, oltre che da parametri chimico-fisici caratteristici del sistema solvente e del substrato polimerico.
Sulla base di queste osservazioni è logico attendersi che, nel caso di trattamenti di durata inferiore a 1 ora, si abbiano differenze strutturali significative tra gli strati esterni e quelli interni delle membrane, dovuti ad una incompleta diffusione del solvente. Per verificare questa ipotesi, gli stessi campioni di membrana sono stati esaminati in spettroscopia FT-IR con la tecnica ATR, che consente di raccogliere informazioni spettrali provenienti da strati della membrana prossimi alla sua superficie esterna. Dal rapporto di intensità tra le bande a 1.265 e 1.235 cm-1 di Amide III degli spettri IR si può calcolare un indice di cristallinità.
Quest’ultimo è riportato nel grafico della figura 3 insieme ad un indice analogo calcolato sulla base degli spettri Raman come rapporto di intensità tra le bande a 1.084 e 1.104 cm-1.
Figura 3. Indice di cristallinità delle membrane di fibroina
Come si può osservare, l’indice di cristallinità “superficiale” fornito dagli spettri IR aumenta repentinamente a tempi di immersione molto brevi (1 min), mentre quello desunto dagli spettri Raman, che media i contributi spettrali provenienti da zone diverse della membrana, sia interne sia esterne, aumenta più lentamente, raggiungendo il massimo dopo 1 ora di trattamento. Possiamo quindi concludere che, per membrane dello spessore di circa 50 mm, la cristallazzione richiede un trattamento in metanolo della durata di almeno 1 ora per essere considerata completa. A tempi più brevi si ottengono membrane che presentano un gradiente di cristallizzazione esterno-interno variabile in funzione della durata del trattamento stesso.
Biocompatibilità e stabilità alla biodegradazione
Per tutte le applicazioni che si rivolgono al campo biomedico, è necessario considerare con molta attenzione gli aspetti relativi alla biocompatibilità. Con questo termine si intende il complesso delle interazioni che si instaurano tra organismo vivente e dispositivo biomedicale. Quest’ultimo deve interagire con i tessuti dell’organismo ospite senza provocare reazioni avverse che potrebbero interferire con lo scopo terapeutico.
Diversi studi hanno dimostrato che la fibroina della seta può essere considerato un polimero biocompatibile, a pari livello con i migliori polimeri sintetici attualmente impiegati come biomateriali. In particolare, si è osservato che la fibroina favorisce l’adesione delle cellule alla sua superficie e ne promuove la crescita (10). Inoltre, essa non induce effetti trombogenici significativi (11) e le membrane che con essa si possono preparare sono permeabili all’ossigeno e al vapore acqueo (12). Si è sospettato per lungo tempo che la seta potesse evocare forti reazioni infiammatorie, ma studi approfonditi hanno dimostrato che la causa delle infiammazioni riscontrate in seguito all’uso di fili di sutura di seta erano causate dal fatto che la sericina non era stata rimossa (13).
In uno studio recente è stata valutata la capacità della fibroina della seta di evocare reazioni infiammatorie (7). Il potenziale infiammatorio della fibroina è stato determinato in vitro, mettendo a contatto membrane di fibroina con elementi proteici e cellulari implicati nella regolazione della risposta infiammatoria. In particolare sono stati studiati i seguenti aspetti:
- attivazione del frammento C3 del sistema del complemento;
- grado di adsorbimento delle proteine del plasma sulla superficie della membrana;
- forza di legame del frammento C3
- attivazione delle cellule mononucleari;
- adesione delle cellule del sistema infiammatorio.
Oltre a membrane di fibroina, si sono utilizzati per confronto due polimeri modello, il poli-stirene e il poli-idrossietil metacrilato, con proprietà fisico-chimiche completamente diverse, che trovano largo impiego nel campo dei biomateriali.
I risultati più interessanti possono essere così riassunti. Per quanto riguarda l’interazione con le proteine plasmatiche, la fibroina lega quantità minori di fibrinogeno, mentre non si sono riscontrate differenze con gli altri due polimeri nel livello di adsorbimento del frammento C3 del complemento e delle immunoglobuline IgG. L’interazione tra frammento C3 e fibroina, valutata secondo una nuova tecnica sperimentale, è prevalentemente dovuta al formarsi di forti interazioni idrofobiche all’interfaccia tra membrana e plasma. Il grado di attivazione delle cellule mononucleari indotto dalla fibroina, determinato in base alla produzione di interleuchina 1ß, è inferiore rispetto a quello dei due polimeri di riferimento. Gli esperimenti di adesione cellulare hanno evidenziato la capacità dei macrofagi di aderire alla superficie della membrana, senza però raggiungere un grado elevato di “spreading” cellulare.
I risultati ottenuti sembrano quindi confermare che l’interazione della fibroina con i diversi componenti del sistema infiammatorio è paragonabile a quella dei due polimeri modello, mentre il grado di attivazione e adesione indotto sulle cellule immunocompetenti è risultato inferiore. Tali evidenze rilanciano le possibilità applicative di questo polimero naturale, in particolar modo per lo sviluppo di dispositivi biomedicali atti alla rigenerazione di tessuti e organi.
Le membrane di fibroina esposte all’ambiente biologico possono essere soggette a stress di tipo chimico e fisico tali da indurne la degradazione. La valutazione degli aspetti relativi alla stabilità biologica delle membrane ha quindi risvolti applicativi di notevole importanza. In ambiente acquoso le membrane di fibroina sono in grado di rigonfiarsi e di assorbire, oltre all’acqua, altre sostanze diffusibili presenti in soluzione. Un approccio preliminare alla determinazione della biostabilità delle membrane è consistito nel valutare gli effetti dell’esposizione ad agenti idrolitici (proteasi) e nello studiare l’andamento delle cinetiche di degradazione in funzione del tempo. Sono stati determinati parametri quali il peso molecolare della fibroina, la perdita in peso in seguito all’esposizione agli enzimi proteolitici e le variazioni indotte sulla struttura fisica delle membrane stesse (cristallinità).
Il grafico della figura 5 mostra che le membrane esposte all’azione di una proteasi presentano una netta diminuzione di peso in funzione della durata del trattamento.
Figura 4. Cinetica di degradazione delle membrane di fibroina esposte all’azione idrolitica di una proteasi
La perdita in peso è rapida nei primi giorni di esposizione e poi tende a stabilizzarsi. Contemporaneamente, la fibroina subisce un notevole calo di peso molecolare. Questi due effetti concomitanti dimostrano che la degradazione indotta dalla proteasi si esplica attraverso la rottura di legami peptidici e la conseguente liberazione di frammenti peptidici solubili.
La perdita in peso delle membrane per azione proteolitica è accompagnata da un incremento dell’indice di cristallinità dei residui insolubili recuperati dopo proteolisi. Questo effetto è da attribuire al fatto che l’enzima ha preferenzialmente idrolizzato i legami peptidici presenti nelle regioni amorfe, le più accessibili alla permeazione di molecole relativamente ingombranti, mentre quelle cristalline sono rimaste pressoché inalterate. Quindi, la perdità di sequenze peptidiche amorfe ha avuto come risultato un incremento netto del grado di cristallinità del materiale.
Figura 5. Variazione dell’indice di cristallinità delle membrane di fibroina esposte all’azione idrolitica di una proteasi
Anche se la degradazione cui può essere soggetto un polimero in vivo è un processo molto complicato per l’effetto sinergico di una serie complessa di fattori chimici, biologici, fisici, e meccanici, lo studio in vitro qui descritto consente tuttavia di chiarire alcuni dei meccanismi di base dei processi degradativi e di ottenere utili indicazioni sull’interazione di un materiale con l’ambiente biologico.
Bibliografia
1. G. Freddi, La Seta, 52/2(2001)15
2. HK Song, KR Keuyon, Ophtalmology, 91(1984)479.
3. Y. Tamada, T. Furuzono, T. Taguchi, A. Kishida, M. Akashi, J. Biomat Sci Polym ed, 10(1999)787.
4. T. Furuzono, K. Ishihara, N. Nakabayashi, Y. Tamada, Biomaterials, 21(2000)327.
5. T. Arai, G. Freddi, G.M. Colonna, E. Scotti, A. Boschi, R. Murakami, M. Tsukada, J. Appl Polym Sci, 80(2001)297.
6. YQ. Zhang, WD. Shen, RA. Gu, RY Xue, Analytica Acta, 369(1998)123.
7. M. Santin, A. Motta, G. Freddi, M. Cannas, J. Biomed Mater Res, 46(1999)382.
8. G. Freddi, A. Berlin, M. Tsukada, E. Dubini-Paglia, Sericologia, 40(2000)363.
9. P. Monti, G. Freddi, A. Bertoluzza, N. Kasai, M. Tsukada, J. Raman Spectroscopy, 29(1998)297.
10. H. Sakabe, H. Ito, T. Miyamoto, Y. Noishiki, Sen-i Gakkaishi, 45(1989)487.
11. N. Minoura, M. Tsukada, M. Nagura, Biomaterials, 11(1990)430.
12. N. Minoura, M. Tsukada, M. Nagura, Polymer, 31(1990)265.
13. HK. Soong, KR. Kenyon, Ophthalmology, 91(1984)479.