Inventario
Abbigliamento del paziente disabile è solo un problema sanitario.
Affrontare un argomento quale quello dell’abbigliamento destinato ai portatori di disabilità motoria, necessita di alcune precisazioni che ne permettano una giusta correlazione ed integrazione. Purtroppo la letteratura in merito è scarsa, per cui quello che verrà espresso qui di seguito è soprattutto frutto di riflessioni di medici e rieducatori, che tendono a fondere tra loro due mondi, quello dell’abbigliamento e della “moda” e quello del disabile e dell’handicap; due universi che, a nostro avviso, solo apparentemente appaiono distanti. Occorre dunque precisare che cos’è la disabilità, cosa intendiamo per handicap, e come il “vestito” possa divenire mezzo per un contenimento della disabilità, e dunque una prevenzione dell’handicap, ma anche come una diversa cultura possa rendere possibile questo binomio.
Premessa: la disabilità
La disabilità viene definita dall’OMS (1) come la difficoltà di una persona nell’espletare autonomamente le attività fondamentali della vita quotidiana. A questa disabilità può corrispondere un handicap, inteso sempre secondo l’OMS, come lo svantaggio sociale derivante dalla disabilità. Dal concetto di disability l’OMS è giunta recentemente (2) al concetto di activity ossia di attività possibile (potenziale residuo): diventa pertanto necessario per il riabiltatore qualificarlo e quantificarlo per poter poi attuare le strategie rimediative possibili. La metodologia valutatativa, detta più semplicemente“valutazione funzionale”, viene definita da Granger (1988) (3) come “un metodo per descrivere le possibilità e le limitazioni, onde misurare l’uso individuale delle diversecapacità comprese nell’esecuzione di compiti necessari alla vita quotidiana, attività del tempo libero, occupazioni professionali, influenze sociali e altre componenti richieste”.
La letteratura (4), è concorde nel rilevare solo le attività essenziali allo svolgimento delle attività della vita quotidiana (ADL) (tabella 1)
Tabella 1
Menomazioni |
Disabilità nel… |
Handicap |
Linguaggio |
Parlare |
Comunicazione |
Udito |
Ascoltare |
|
Vista |
Vedere |
Orientamento |
Scheetriche |
Vestirsi, alimentarsi, camminare |
Indipendenza fisica Mobilità |
Psicologiche |
comportarsi |
Integrazione sociale |
Negli ultimi anni è stata posta crescente attenzione alla misura della disabilità tramite scale di valutazione funzionale, strutturate in modo tale da assegnare a ciascuna voce un punteggio correlato con l’autosufficienza con cui l’attività è svolta, indipendentemente dalla qualità delle prestazioni.
Tra le scale di valutazione più usate (FIM, Barthel, Rivermead ADL, Nottingham Ten Points, eccetera) viene sempre citata la capacità dell’individuo a vestirsi, senza tener conto che una paziente con paralisi o paresi ha spesso difficoltà a indossare con gli abiti che utilizzava in precedenza. Ed ecco che ormai chi vediamo sempre in tuta da ginnastica e scarpe da tennis, sia in estate che in inverno, notte o giorno, anche se va al cinema o a teatro (sempre che riesca a superare dai tre ai 15 scalini) sia più facilmente classificabile come una persona con disabilità motoria (e non come un atleta!!!).
L’omologazione dell’abbigliamento (comodo, ampio, con i velcri eccetera) resa necessaria dalla presenza di disabilità, sta configurando i disabili come una categoria riconoscibile anche dalle abitudini vestiarie (al pari dei punk, degli yuppies e dei metallari).
L’obiettivo di una maggiore indipendenza fisica ha portato i sanitari da un lato a consigliare ciò che la facilita, ma dall’altro lato a facilitare anche la categorizzazione del paziente.
Molte sono le figure professionali che si occupano di disabili: dall’assistente sociale al tecnico della riabilitazione, al personale infermieristico e ai molti medici specialisti (fisiatri, geriatri, psichiatri, eccetera).
La Medicina, fisica e riabilitativa, specialità propria del fisiatra, è la disciplina che ha per ruolo il mettere in atto tutte le procedure volte a prevenire o a ridurre al minimo inevitabile le conseguenze funzionali, fisiche, psichiche, sociali economiche delle malattie invalidanti o potenzialmente tali.
Essa facendosi carico del paziente nel suo complesso, ha come scopo ultimo la sua integrazione o reintegrazione nel proprio ambiente, familiare, sociale e, se possibile, anche lavorativo.
La medicina riabilitativa può pertanto definirsi come la “medicina delle conseguenze funzionali”.
Le conseguenze funzionali e quindi le disabilità possono essere classificate sinteticamente come: motorie, sensoriali e psichiche.
Nella sua indagine sulla disabilità in Italia (anno 1999-2000) (5) l’ISTAT aggiunge un’altra categoria definita come il “confinamento individuale”, comprendente la disabilità grave, totale, che costringe il paziente al letto o alla sedia con autonomia di movimento pressochè nulla. Queste possono beneficiare delle proposte facilitanti provenienti dalle modifiche dell’abbigliamento “standard”, ma non più per un obiettivo di autonomia, quanto per un obiettivo di facilitazione dell’assistenza e di garanzia del massimo comfort al paziente.
Pur consapevoli che le varie tipologie di disabilità possono presentarsi anche associate, semplificando possiamo dire che con l’obiettivo di studiare i possibili miglioramenti dell’autonomia del disabile nella gestione dell’abbigliamento, escludiamo dal nostro lavoro quelle psichiche. Esse, infatti, possono non necessariamente coinvolgere l’abbigliamento (soprattutto nei suoi aspetti simbolici e funzionali), ma in genere non presentano caratteristiche univoche rapportabili a miglioramenti tramite adattamenti degli abiti oggi in uso.
Ugualmente le disabilità sensoriali da sole possono non necessitare di adattamenti in serie degli abiti (spesso gli adattamenti sono autogestiti dal paziente, soprattutto gli ipovedenti che, ad esempio, contrassegnano le calze per poterle appaiare).
Le disabilità motorie appaiono come quelle che maggiormente si possono avvalere di adattamenti ai capi di vestiario per il conseguimento di una maggiore autonomia fino a una completa autosufficienza nella gestione di questa attività
Più in dettaglio possiamo parlare di:
– disabilità motorie degli arti inferiori (paraplegici), associate o meno a deficit motori parziali degli arti superiori (tetraplegici) il cui esempio classico è il paziente in carrozzina (“uomo seduto”).
– disabilità motorie a carico di un emisoma (compromissione più o meno grave di arto superiore e inferiore monolaterale), o almeno dell’arto superiore da varia causa, dove la perdita funzionale di quest’ultimo limita gravemente la possibilità di gestione del vestiario così come attualmente in uso e come spesso “la moda detta”.
– disabilità correlate a una diversa condizione patologica da cause miscellanee, con particolare riferimento ai linfedemi di arto superiore e inferiore (che causano differenti volumetrie e necessitano di abiti idonei per evitare danni secondari), agli ustionati (sia per le problematiche connesse alla diversa sensibilità cutanea da riparazione, cicatrici, innesti, sia per le problematiche connesse alle retrazioni cicatriziali che possono alterare i movimenti), alle malattie osteo-articolari reumatologiche (artite reumatoide, spondilite anchilosante, artrosi deformante, eccetera).
A parte le mani e il viso, gli abiti sono ciò che notiamo subito della persona che ci sta di fronte.
Come rieducatori ci siamo limitati a ricercare su questo tema quello che a nostro giudizio appariva in letteratura come utile al parallelismo disabilità/abbigliamento.
Gli abiti sono utili ad un:
– adattamento a temperature esterne (coprirsi);
– adattamento ad attività (lavorative, sportive, eccetera);
– adattamento all’occasione (abito da sposa, “vestito della festa”, abbigliamento per un colloquio di lavoro, eccetera);
– appartenenza al “gruppo” (camicie nere, camicie verdi, giubbe rosse, figli dei fiori, eccetera);
– espressione dell’epoca in cui si vive (dalle pelli dell’uomo primitivo in poi);
– valenza comunicativa (seduzione, ribellione, eccetera).
La valenza comunicativa è particolarmente rilevante nelle relazioni di breve durata, è quella che spesso, anche inconsciamente condiziona la nostra relazione con l’altro.
Alcuni antropologi, ricordati da Fluegel nel suo lavoro “Psicologia dell’abbigliamento”, sono propensi a ritenere che la funzione originaria degli abiti non sia tanto quella protettiva e finalizzata al riscaldamento quanto quella decorativa (come si osserva ancora oggi in alcune popolazioni primitive dove gli uomini sono pressochè privi degli abiti ma carichi di ornamenti).
Abbigliamento e disabilità: come si correlano?
Il disabile motorio deve poter mantenere le valenze proprie dell’abbigliamento, ed allo stesso tempo deve poter aspirare alla possibilità di migliorare l’autonomia nella gestione dello stesso. E’ verosimile che l’autonomia e insieme il “piacere di vestirsi” possano migliorare anche l’”adattamento” alla disabilità.
All’abbigliamento si chiede di essere:
a) tollerabile (tessuti)
b) “portabile” (fattura)
c) funzionale alla situazione (adattamenti)
d) adeguato all’età, al “gruppo” e ai gusti del paziente (moda)
e) di costo raffrontabile con lo standard (economia)
Caratteristica comune alle tre tipologie di disabilità che abbiamo sopra citato, è la necessità di uno studio sui diversi aspetti dell’abbigliamento, in funzione del quadro clinico.
La tollerabilità, ossia i tessuti
E’ importante sottolineare che la tollerabilità è un fattore importante nel paziente disabile che spesso associa problematiche motorie, circolatorie, neurologiche, con una combinazione variabile di manifestazioni cliniche.
I pazienti mielolesi (paraplegici) ed emiplegici presentano un deficit motorio (paresi o paralisi) negli arti corrispondenti alla sede della lesione. Al deficit motorio si associa, sempre nei mielolesi e frequentemente negli emiplegici, l’alterazione della sensibilità, in grado variabile dall’anestesia all’ipoestesia alla disestesia all’alloestesia. La sensibilità, in questo caso agli stimoli tattili, viene percepita in modo diverso rispetto al “normodotato” e anche in caso di anestesia, i pazienti possono riportare una sensazione di fastidio e di disagio a stimolazioni esterocettive. Le alterazioni di sensibilità, in particolare negli emiplegici, possono avere un decorso anche correlato a concomitanti neuropatia periferica da patologie associate, come il diabete, e quindi assumere caratteristiche cliniche ancora più complesse.
Un’altra problematica che può condizionare la scelta del tessuto è la compromissione neurovascolare degli arti plegici o paretici. La mancanza di movimento determina un deficit di pompa necessario per il ritorno venoso. Il deficit neurologico centrale si esplica anche come deficit della regolazione automatica della circolazione periferica, per cui l’arto plegico non riesce ad adattarsi in modo adeguato nei tempi e nelle modalità alle variazioni di temperatura esterna. Gli arti plegici possono essere più caldi o più freddi (di solito più freddi), talvolta cianotici, un po’ più gonfi per edema da stasi e insufficienza circolatoria. E’ spesso difficile riportarli alla temperatura del resto del corpo per abnorme risposta vasomotoria allo stimolo termico.
I paraplegici, inoltre, necessitano abitualmente di calze elastiche per il contenimento dell’edema declive, per la prevenzione delle trombosi venose profonde e per la facilitazione del ritorno venoso. Sono soggetti ad alterazioni trofiche della cute con insorgenza di ulcere da decubito (favorite dalla pressione e dalla macerazione). La cute degli arti plegici, sia per lesione centrale che periferica, tende a diventare più sottile e meno elastica e quindi più facilmente soggetta a lesioni.
Sempre nei soggetti con lesione cerebrale o midollare, nonché in quelli con lesioni del sistema nervoso periferico, possono svilupparsi alterazioni della sudorazione, sia in eccesso che in difetto.
I soggetti con linfedema, soprattutto quello secondario a patologie tumorali e ai loro esiti chirurgici, sono più esposti a complicanze cutanee (erisipela, piodermite, micosi), che hanno tra le loro norme igieniche la scelta corretta del tessuto a contatto.
Queste considerazioni cliniche fanno ipotizzare lo studio e la scelta di tessuti idonei al soggetto disabile: si dovrà tenere in debita considerazione la tollerabilità, intesa come assenza di disagio, che comprende sia la possibilità di valutarne una bassa allergenicità, sia un’idoneità alle norme igieniche per le condizioni cutanee, sia la conoscenza dei quozienti di dispersione del calore e di traspirabilità, sia un modesto ingombro del tessuto stesso, anche per le problematiche correlate al requisito della portabilità.
La portabilità, ossia la fattura
I problemi che più evidentemente emergono nei pazienti paraplegici (uomo in carrozzina, con deficit motorio prevalente agli arti inferiori) sono illustrati, forse per la prima volta e nell’unico, finora, sito internet italiano dedicato all’bbigliamento per il paziente disabile (5). In sintesi vediamo come le problematiche più pesanti per il paziente in carrozzina che si veste con vestiti “normali” sono:
– giacconi che infagottano;
– usura delle maniche contro le ruote della carrozzina;
– maglie e camicie: scoprono la schiena e si infagottano davanti;
– calzoni: restano alti davanti e bassi dietro la vita, tendono a lasciare scoperte le caviglie e risultano difficili da indossare.
Fra glia adattamenti possibili (differenti lunghezze davanti/dietro per l’abbigliamento dalla vita in su) vi sono:
– Rinforzo parte mediale delle maniche (tessuto alta resistenza).
– Diverso taglio delle maniche.
– Diversa lunghezza cerniera dei pantaloni.
– Diversa lunghezza delle gambe dei pantaloni.
E’ inoltre necessario anche un adeguato abbigliamento per la pioggia, adattabile alla carrozzina, ed è importante sottolineare anche le difficoltà del paziente emiplegico, o del soggetto privo della funzionalità di un arto superiore: diventano impraticabili tutte le attività bimanuali e si pone anche il problema dell’asimmetria tra i due emilati corporei. L’emiplegia determina alterazioni del tono muscolare e delle posture. Inoltre il paziente emiplegico può sviluppare degli schemi motori sinergici, ad esempio nel cammino, che peggiorano l’asimmetria tra il lato plegico e il controlaterale, asimmetria resa più evidente, fin quasi alla goffaggine, da buona parte degli abiti “normali”. Le difficoltà che derivano dalla perdita di bimanualità riferite all’abbigliamento sono:
– impossibilità all’uso delle cerniere lampo (soprattutto quelle che si aprono in fondo);
– difficoltà/impossibilità ad indossare i pantaloni (difficili da “tirare su”);
– difficoltà/impossibilità ad indossare le calze;
– difficoltà/impossibilità ad allacciare le stringhe delle scarpe;
– impossibilità ad agganciare il reggiseno;
– impossibilità a farsi il nodo della cravatta;
– difficoltà/impossibilità ad abbottonarsi con bottoni piccoli;
– difficoltà/impossibilità ad allacciarsi un grembiule;
– difficoltà/impossibilità ad indossare un maglione con il collo stretto.
Fra gli adattamenti possibili, di solito messi in atto dal paziente stesso, talvolta suggeriti dall’operatore sanitario, troviamo:
– sostituzione delle cerniere e del lacci con elastici o velcri;
– uso di bottoni “grossi”;
– modifica sostanziale del tipo di vestito (si privilegiano es. maglioni a collo largo);
– modifica delle abitudini (es. non si indossa più il reggiseno, né le calze collant eccetera);
– altri, per lo più empirici, adattati alle esigenze del singolo paziente.
Nei pazienti con linfedema gli abiti vengono scelti di fattura larga (perché è importante che non “stringano” l’arto), anche se in generale nelle forme di linfedema modesto il problema è facilmente risolvibile, mentre nelle forme più gravi diventa più difficile e spesso richiederebbe l’abito su misura, specie se il linfedema è monolaterale.
Un’altra considerazione viene fatta anche per le limitazioni articolari da patologie reumatologiche o da retrazioni muscolotendinee, frequenti nei soggetti ustionati come negli emiplegici, che possono condizionare la postura, la mobilità e la manualità in particolare.
La funzionalità e l’adattamento
Gli adattamenti degli abiti per i disabili, potrebbero essere intesi come ausili (da auxilium=aiuto), ossia strumenti che consentono il raggiungimento di un’autonomia o almeno un contenimento delle disabilità residue. Diventano pertanto uno strumento importante nelle mani di chi rieduca il paziente a tornare alla quotidianità: divenendo cioè uno strumento di riabilitazione che completa il percorso della rieducazione.
I concetti, apparentemente simili sono però diversi:
– “riabilitare” significa riportare il paziente alla sua vita quotidiana con il massimo livello di autonomia possibile, ponendo in atto tutte le strategie necessarie al contenimento e superamento della disabilità.
– “rieducare” significa porre in atto tutte le metodologie atte a ripristinare il più possibile una o più funzioni.
L’aspetto “moda” e i costi
Per far sì che l’abbigliamento per disabili non sia l’ennesimo ghetto (dopo le scuole speciali avremo forse i negozi speciali, e già ci sono le ortopedie sanitarie), può essere opportuno conoscere i “numeri” della disabilità per valutare la possibilità di investimento sull’abbigliamento “normale-modificato” sufficientemente diversificato per le diverse fasce d’età, gusti, occasioni e contenuto nei costi.
Un censimento sulla disabilità fatto dall’ISTAT nel 1999-2000 che non comprende i bambini sotto i 5 anni (per i quali viene previsto un apposito studio, ma si anticipa che la prevalenza stimata alla nascita di disabilità sia pari all’1%) rileva che ben 165.538 persone disabili e/o anziane sono residenti nei presidi socio-assistenziali e 2.615.000 sono disabili in famiglia, giungendo a una stima di 2.800.000 disabili in Italia. Se ci si riferisce ai soli disabili in famiglia il numero è probabilmente in difetto per la tipologia di indagine (indagine campionaria col metodo dell’intervista) dovuta alla mancata dichiarazione della presenza di persone disabili presenti in famiglia.
La presenza di disabilità ha una distribuzione territoriale (come illustrata nella tabella 2).
Tabella 2: La distribuzione delle disabilità
ZONA |
TASSO DI DISABILITA’ |
ITALIA INSULARE |
6% |
ITALIA MERIDIONALE |
5,2% |
ITALIA CENTRALE |
4,8% |
ITALIA NORD-ORIENTALE |
4,4% |
ITALIA NORD-OCCIDENTALE |
4,3% |
MEDIA ITALIANA |
5% |
Fonte: ISTAT, Indagine sulle condizioni di salute e ricorso ai servizi sanitari 1999-2000
Analizzando i dati relativi alla disabilità motoria che abbiamo preso in considerazione, l’ISTAT rileva che il 2,2% delle persone di 6 anni e più, presenta disabilità nel movimento (camminare, salire le scale, chinarsi, coricarsi, sedersi): ciò significa che rapportando questo dato alla popolazione biellese costituita da circa 180.000 abitanti, otteniamo 3.960 disabili motori.
Ovviamente il tasso di disabilità motoria aumenta con l’età, con quote significative dopo i 75 anni (9,9%) e soprattutto dopo gli 80 (17,6% dei maschi e 24,8% per le femmine, con una media del 22,5%).
In Italia quindi i disabili motori sono stimati in 1.204.000 persone su un totale di 2.615.000 disabili.
L’ISTAT definisce disabili nelle funzioni le persone che presentano difficoltà nel vestirsi, nel mangiare, nel lavarsi e nel fare il bagno, indipendentemente dalla causa. Esse sono stimate in 1.555.000, mentre i disabili sensoriali sono quantificati in 600.000.
Il 33% dei disabili è tuttavia portatore di almeno 2 disabilità (motorie, sensoriali e delle funzioni).
Conclusioni
Al termine di queste considerazioni, che hanno spinto noi operatori sanitari a confrontarci su un argomento di interesse per la disabilità e finora affrontato più con spirito empiristico e pioneristico che con reale approfondimento sistematico nei suoi vari aspetti, riteniamo di poter dire che l’abbigliamento per la persona disabile non è e non può essere un interesse solo sanitario. Se l’operatore sanitario può cogliere gli aspetti problematici, le possibili presentazioni cliniche, le proposte di soluzione, necessita però un piano di lavoro comune, verosimilmente anche una sperimentazione, con professionalità diverse, in particolare del settore industriale nei suoi vari aspetti che passano attraverso tutte le competenze necessarie per la realizzazione, la produzione e il commercio di un capo di abbigliamento.
Bibliografia:
1) WHO: International Classification of Impairment, Disabilities and Handicap. Geneva, WHO 1980.
2) WHO: International Classification of Functioning, Disability and Health. Geneva, WHO 2001.
3) Granger CV Spesa sanitaria. Valutazione funzionale dei pazienti lungodegenti.
In: Kottke F.J., Stillwell G.K., Lehmann J.F. eds. Trattato di terapia fisica e riabilitazione. Verduci editore. Roma 1988: 283-306
4) Basaglia N., Boldrini P., Lavezzi S. Valutazione motoria e funzionale dell’emiplegico adulto da lesione cerebrovascolare. In: Aggiornamenti in Riabilitazione vol 1. edito a cura di F. Franchignoni, Ghedini editore, Milano 1989: 9-24
5) sito internet: www.gasnet.it/lyddawear/
6) ISTAT: Indagine “Condizioni di salute e ricorso ai servizi sanitari”, 1999.