Inventario
Problematiche fisiologiche in condizioni ambientali estreme.
Permettetemi di dedicare qualche minuto alla presentazione della Società Scientifica che qui rappresentiamo. La ISEEM tende a coagulare interessi specialistici diversi, tutti accomunati dall’aver esercitato la propria attività in condizioni ambientali particolarmente difficili.
In particolare da quindici anni ci occupiamo di organizzazione sanitaria del Progetto Antartide per conto dell’Enea ed abbiamo avuto molteplici occasioni per confrontarci con problematiche alquanto diverse rispetto ai comuni aspetti diagnostico-terapeutici cui siamo generalmente abituati.
Gli ambienti estremi
Per “ambienti estremi” intendiamo quelle situazioni in cui i meccanismi di adattamento del corpo umano sono talmente esasperati da rendere possibile la vita solo a persone particolarmente allenate (altissime quote, regioni desertiche) o con l’uso di attrezzature molto sofisticate (spazio, alti fondali, regioni polari). Studiare le reazioni dell’organismo alle condizioni estreme costituisce, pertanto, un importante strumento per approfondire le nostre conoscenze di fisiologia umana
La natura ha spesso risolto i problemi di adattamento nel mondo animale ricorrendo a modificazioni biologiche sorprendenti. Il pinguino ne costituisce l’esempio più emblematico. Da uccello si è, infatti, praticamente trasformato in pesce, anzi in anfibio, rinunciando al volo, ma acquisendo una impermeabilità del piumaggio, una resistenza termica ed una abilità natatoria davvero sorprendenti. Nel caso particolare del “pinguino imperatore”, il maschio, dopo aver girovagato ed essersi ben rifocillato per tutta l’estate australe, torna sul continente antartico ove riesce a sopravvivere, stanziale, per tutta la lunga notte invernale.
L’uomo non si è invece spontaneamente adattato alle avverse condizioni climatiche e solo grazie alle proprie capacità tecnologiche riesce a sopravvivere negli “ambienti estremi”.
I «frequentatori» degli ambienti estremi, cioè:
- Ricercatori
- Sportivi
- Turisti
- Professionisti del soccorso
sono i nostri interlocutori…… ed anche oggetto delle nostre ricerche.
In questo contesto mi sembra più opportuno focalizzare l’attenzione su quelle situazioni ove la tecnologia ha fornito un contributo indispensabile alla sopravvivenza dell’uomo.
In particolare mi riferisco a quei tessuti assolutamente innovativi che hanno consentito, nelle varie circostanze, di contrastare le azioni nocive di agenti fisici.
Nello Spazio, ad esempio, ci siamo dovuti confrontare con problemi del tutto sconosciuti sulla Terra:
- microgravità
- radiazioni ionizzanti
- escursioni termiche
In alta montagna abbiamo affrontato:
- ipobarismo
- radiazioni ultraviolette
- escursioni termiche
Dopo lo Spazio, l’Antartide è da considerarsi il più remoto degli ambienti.
Non a caso in Antartide non esistono popolazioni autoctone, ma solo basi scientifiche utilizzate da ricercatori per l’intero anno o solo durante l’estate australe.
A volte vere e proprie attività di cantiere si sovrappongono alle attività scientifiche, visto che le particolari condizioni ambientali, di fatto, impongono l’edificazione di edifici e strutture che possano consentire la sopravvivenza dei ricercatori.
In Antartide, ad esempio, ci siamo dovuti confrontare con freddo intenso (fino a 55 gradi sotto zero) e venti impetuosi (fino a 200 Km/h)
Vedi tabella 1: rapporto tra basse temperature e velocità del vento ed effetti sull’uomo
Il permanere in queste condizioni può derivare seri problemi quali congelamenti ed ipotermia.
Ancora una volta un confronto con il problema “termico”, in questo caso più propriamente ipotermico, anche se è doveroso ricordare che non si tratta dell’unico problema riguardante l’adattamento umano in Antartide.
Altro problema relativamente inaspettato e di difficile soluzione si è dimostrato il rapporto di cute e mucose con il bassissimo tasso di umidità dell’aria (circa il 6%) con conseguenze disastrose a livello di sensazione soggettiva di benessere, quali dolorose e persistenti ragadi cutanee e secchezza oro-faringea fino al sanguinamento
Essendo il freddo comune denominatore degli ambienti estremi, appare, quindi, evidente la necessità di studiare i meccanismi fisiologici di adattamento umano alle basse temperature e, di conseguenza, studiare “ostacoli” che riducano le azioni dannose dell’ambiente.
I frequentatori degli “ambienti estremi” vorrebbero, fatta salva l’esigenza di una copertura “intima”, una sorta di alone invisibile, ma anche protettivo, robustissimo, isolante da caldo e freddo, anallergico e ben tollerato, traspirante.
Utilizzando gli “ambienti estremi” come un laboratorio sperimentale, in quanto la esasperazione ambientale costituisce un test formidabile di resistenza meccanica, di protezione termica, di sufficiente elasticità e, se necessario, di impermeabilità, la tecnologia tessile potrebbe, un domani, fornire loro quanto desiderano. Soprattutto, è importante trasferire questo know-how alla produzione di serie per un mercato avido di soluzioni ipertecnologiche anche in situazioni che non sempre le giustificano!