Inventario
Comportamento dei materiali tessili usati nelle protesi: studio su protesi vascolari spiantate.
Le protesi vascolari realizzate con polimeri sintetici sono utilizzate ormai da molto tempo per la sostituzione o il by-pass di tratti di arteria danneggiati. Dopo i primi esperimenti pionieristici, molti progressi sono stati compiuti nella produzione di dispositivi protesici sempre più adeguati allo scopo curativo e ottimizzati dal punto di vista funzionale. Le protesi vascolari sintetiche attualmente in uso si distinguono per:
- il tipo di tessitura, che può essere ortogonale (trama/ordito, woven), o a maglia (knitted); spesso è presente un componente denominato velour, costituito da un filato intrecciato alla struttura di base del tessuto e che forma anse sporgenti su uno o entrambi i lati dello stesso, con la funzione di fornire alla protesi punti di ancoraggio nella zona di impianto;
- il tipo di fibra: Dacron (PET, polietilene tereftalato) e Teflon (PTFE, politetrafluoro etilene) sono le più comunemente utilizzate; le protesi in Dacron sono impiegate più frequentemente nella chirurgia degli aneurismi aortici addominali;
- la forma (tubolare) e il calibro, che variano in funzione dalla zona di destinazione delle protesi, per adattarsi alle caratteristiche dell’arteria su cui vengono inserite.
I requisiti di una protesi vascolare sono diversi: deve essere biocompatibile, per garantire una buona integrazione nel tessuto ospite e la ricostruzione della parete interna del vaso sanguigno sostituito; non deve essere trombogenica; deve essere facilmente maneggiabile e suturabile da parte del chirurgo; deve avere prestazioni funzionali il più possibile simili a quelle dei vasi sanguigni sostituiti, soprattutto in termini di comportamento elastico (distensione radiale). Deve, infine, durare nel tempo e mantenersi efficiente. Quest’ultimo aspetto è particolarmente importante e ci porta a considerare che nella chirurgia vascolare ricostruttiva possono insorgere complicanze di vario tipo. Le più comuni sono: dilatazioni aneurismatiche o pseudo-aneurismatiche, distacco della protesi per cedimento della linea di sutura, rottura del dispositivo per lacerazione delle fibre, infezione. Spesso queste complicanze portano all’espianto della protesi danneggiata e alla sua sostituzione. Lo studio delle proprietà chimiche, fisiche, meccaniche e morfologiche dei dispositivi espiantati può essere di grande utilità per valutare le cause dei fallimenti e per ovviare ad essi. La presente ricerca è stata intrapresa allo scopo di caratterizzare protesi vascolari espiantate, dopo lunghi periodi di funzionamento in vivo, e di contribuire alla comprensione dei fenomeni che ne determinano il comportamento a lungo termine.
La sperimentazione
Per la casistica considerata in questo studio si rimanda alle pubblicazioni citate in premessa. Sono state esaminate tre protesi, una in Dacron woven, espiantata dopo 20 anni, e due in Dacron knitted doppio velour, espianate dopo 11 e 12 anni. Sono stati esaminati anche i fili di sutura recuperati insieme alle protesi (Tevdek 3-0 in PET multifilamento, Prolene 3-0 in PP monofilamento). Quando necessario, le protesi e i fili di sutura sono stati purificati eliminando il materiale biologico che li includeva mediante trattamento con soluzioni di SDS e tripsina. Il protocollo analitico comprendeva osservazioni microscopiche in microscopia ottica (MO), elettronica a trasmissione (TEM) e a scansione (SEM), la determinazione del grado di polimerizzazione del Dacronâcon misura della viscosità intrinseca ([h]), l’esecuzione di prove fisico-meccaniche, analisi termiche (DSC), e indagini batteriologiche per evidenziare la presenza di infezioni latenti.
I risultati
Le misure di viscosità intrinseca eseguite sulle fibre delle protesi hanno evidenziato una drastica riduzione del grado di polimerizzazione del Dacron dei campioni knitted doppio velour (Kdv11 e Kdv12), mentre il campione woven (W20) ha presentato solo una debole flessione del valore di [h] rispetto a quello di controllo (C) [Figura 1]. Questi risultati sono stati confermati dalle misure fisico-meccaniche. Sia la tenacità che l’allungamento a rottura delle protesi knitted doppio velour hanno presentato un calo considerevole rispetto ai campioni di riferimento (CK e CW), mentre la protesi woven ha mostrato un comportamento simile a quello del controllo (CW) per quanto riguarda la tenacità, e inferiore per quanto riguarda l’allungamento [Figure 2 e 3]. Le proprietà termiche (temperatura di transizione vetrosa, temperatura di fusione, entalpia di fusione) e fisiche (grado di cristallinità) dei diversi campioni di Dacronâprelevati dalle protesi knitted e woven non hanno evidenziato differenze significative rispetto ai campioni di controllo. La degradazione e il deterioramento delle protesi knitted doppio velour sono state evidenziate dall’analisi SEM. Le protesi espiantate hanno rivelato una massiva rottura delle fibre più esterne (velour), mentre quelle dell’intreccio di base sono apparse inalterate. Le fibre del velour hanno presentato caratteristiche fessurazioni trasversali di probabile origine meccanica, nonché erosioni superficiali di forma ovoidale attribuibili ad aggressione chimica. E’ interessante osservare come l’abbattimento delle proprietà fisico-meccaniche e la morfologia di degradazione siano simili nei due casi di protesi knitted doppio velour esaminati. Dal punto di vista morfologico, la protesi woven è invece apparsa regolare e paragonabile alla protesi vergine usata come controllo. L’esame istologico-morfometrico delle protesi knitted doppio velour ha evidenziato che le fibre protesiche dell’intreccio di base sono immerse in tessuto denso scarsamente cellulato, ed hanno disposizione e diametro regolari. Le fibre del velour, a profilo trilobato, sono invece avvolte o inglobate da cellule giganti multinucleate caratteristiche della reazione da corpo estraneo [Figura 4]. Il profilo delle fibre protesiche trilobate è spesso apparso irregolare, con la presenza di incisure superficiali, alcune delle quali particolarmente profonde. L’indagine batteriologica è risultata negativa in tutti i casi esaminati, confermando l’assenza di processi infettivi latenti o in corso. Per quanto riguarda i fili di sutura, entrambi hanno evidenziato l’assenza di rotture e solamente un lieve deterioramento delle proprietà fisico-meccaniche, tale comunque da non alterarne la funzionalità. La struttura del multifilamento è stata considerevolmente rigonfiata dall’infiltrazione di fibre di collagene [Figura 5a]. La morfologia superficiale della sutura monofilamento ha presentato caratteristiche fessurazioni non molto profonde [Figura 5b].
Considerazioni conclusive
Sulla base dei risultati sopra esposti si possono proporre le seguenti considerazioni. Per quanto riguarda le caratteristiche delle protesi espiantate va rilevato quanto segue:
- il decadimento delle proprietà chimico-fisiche e meccaniche, più o meno accentuato a seconda del tipo di protesi (tessitura), è attribuibile a sollecitazioni meccaniche indotte dal flusso ematico e ad attacco chimico prodotto dall’ambiente biologico col quale le protesi sono rimaste in contatto per lungo tempo (enzimi, agenti ossidanti, ecc.);
- è risultata evidente l’influenza del tipo di tessitura (knitted o woven) sulle proprietà delle protesi espiantate;
- nonostante quanto sopra, la funzionalità residua delle protesi era ancora tale da garantire il mantenimento di un livello accettabile di performance;
- non si sono evidenziate alterazioni specifiche della struttura delle protesi in corrispondenza della zona di anastomosi.
- Per quanto riguarda i fili di sutura, si è osservato quanto segue:
- assenza di rotture;
- lieve diminuzione delle proprietà fisico-meccaniche:
- presenza di degradazioni superficiali sul monofilamento;
- essenziale conservazione delle proprietà funzionali.
In conclusione, le cause delle complicanze (pseudo-aneurisma) che hanno comportato la rimozione dei dispositivi protesici e la loro sostituzione non era da attribuirsi a cedimenti delle protesi vascolari o dei fili di sutura, ma all’involuzione della parete arteriosa su cui le protesi erano innestate per l’innesco di processi degradativi che hanno comportato un’estrema fragilità dell’arteria stessa.
N.b. Lo studio qui descritto si riferisce ad una ricerca multidisciplinare nata dalla collaborazione tra l’Istituto di Anatomia Patologica dell’Università di Milano, il Dipartimento di Bioingegneria del Politecnico di Milano e la Stazione Sperimentale per la Seta. I risultati della ricerca sono stati oggetto delle seguenti pubblicazioni:
1. E. Tardito, B. Biondo, V. Caputo, G. Freddi, E. Grosso, S. Mantero, A. Motta, M.L. Repetti, M.C. Tanzi, L. Matturri, Biodegradazione delle protesi vascolari in Dacronâ, Minerva Cardioangiologica, 1993, vol. 41(3), 59-80
2. E. Tardito, B. Biondo, V. Caputo, G. Freddi, E. Grosso, S. Mantero, A. Motta, M.L. Repetti, L. Matturri, Anastomotic disjunction in long-term patent vascular synthetic grafts in Dacronâ, J. Cardiovasc. Surg., 1993, vol. 34, 369-380
cui si rimanda per ogni ulteriori approfondimento degli argomenti trattati.