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Cause e gestione della dermatite atopica.
La dermatite atopica è una malattia infiammatoria a decorso ricorrente ad eziopatogenesi complessa, in cui, accanto ad un’alterata funzione di barriera che determina una diminuzione delle difese cutanee, diversi fattori immunologici e non-immunologici giocano un ruolo fondamentale. La malattia ha una base costituzionale, in quanto è determinata da fattori genetici, sulla quale influiscono, contribuendo a modularne il decorso, diversi fattori ambientali.
I fattori immunologici che intervengono nella dermatite atopica sono allergeni, sia alimentari che inalatori, quali pollini, acari, micofiti, forfore ed epiteli animali, oltre che sensibilizzanti inorganici responsabili di reazioni da contatto. Osservazioni sia cliniche che sperimentali hanno provato che l’inalazione o il contatto con aeroallergeni gioca un ruolo significativo nello scatenamento e nell’esacerbazione della dermatite atopica. L’utilizzo di misure preventive, quali interventi di pulizia, uso di acaricidi, permanenza in ambienti idonei, e l’immunoterapia determinano un miglioramento clinico dell’eczema. Numerosi soggetti con dermatite atopica, inoltre, presentano IgE specifiche per allergeni inalatori, evidenziabili sia attraverso test in vivo che in vitro. Infine, nei pazienti positivi al patch test con aeroallergeni si osserva spesso una concordanza fra il risultato dei test epicutanei e la storia clinica. I Dermatophagoides sono certamente gli aeroallergeni più frequentemente chiamati in causa nell’influenzare il decorso dell’eczema nei pazienti atopici; d’altra parte l’esposizione agli acari è inevitabile, prolungata, intensa e a contatto diretto con la cute nelle ore notturne, quando un'ampia superficie corporea viene esposta agli antigeni degli acari presenti negli effetti letterecci. La sensibilizzazione nei confronti dei Dermatophagoides si accompagna ad una maggiore frequenza di associazione con la patologia respiratoria e rappresenta, nelle prime fasi della malattia, un fattore prognostico negativo.
Numerosi studi hanno evidenziato che, soprattutto nelle forme di dermatite atopica del lattante e del bambino piccolo, l’introduzione di allergeni alimentari può esacerbare la malattia e che, di conseguenza, una dieta di esclusione, cioè una dieta priva di tali allergeni, può portare ad un significativo miglioramento clinico. In particolare, alimenti quali latte, uova, arachidi, grano e soia sarebbero responsabili della maggior parte delle forme di allergia alimentare.
Gli allergeni alimentari e inalatori possono dar luogo sia a risposte immediate, attraverso un meccanismo IgE mediato, sia a risposte ritardate con intervento dell’immunità cellulo-mediata. Le prime si caratterizzano per la comparsa di flare up cutanei di tipo orticarioide a breve distanza dall’esposizione all'allergene, mentre le seconde si manifestano dopo circa 12-48 ore con un quadro di tipo eczematoso. Nei pazienti con dermatite atopica la reattività agli allergeni deve essere dunque indagata mediante metodiche diagnostiche che riproducano queste due forme di reazioni cutanee, pronte e tardive. Il prick test consiste in una puntura degli strati più superficiali della cute con apposita lancetta attraverso una goccia di soluzione allergenica. La lettura del test viene eseguita dopo 15-30 minuti; il test è positivo se compare un pomfo, cioè arrossamento e gonfiore localizzati nella sede della puntura. Il patch test consiste nell’applicazione del materiale antigenico, opportunamente veicolato, sulla cute del dorso, per mezzo di un adeguato apparato di supporto capace di garantire una perfetta adesione. L’apparato testante viene rimosso dopo 48-72 ore; la positività del test si basa sulla comparsa di una reazione cutanea ritardata di tipo eczematoso in corrispondenza dell’area testata. Nella nostra casistica di 702 pazienti con dermatite atopica sottoposti sia a prick test che patch test con Dermatophagoides abbiamo osservato una percentuale di positività del 32% e del 49%, rispettivamente. Su 604 soggetti affetti da dermatite atopica gli alimenti che più frequentemente hanno dato luogo a reazioni positive al prick test erano fagiolo (9.6%), albume (9%), pisello (8.6%), mais (8.5%), tuorlo (7.9%) e arachide (7.6%). Abbiamo eseguito patch test con allergeni alimentari in 290 pazienti, osservando elevate frequenze di sensibilizzazione in particolare all'arachide (18.6%), al tuorlo (16.5%), al mais (15.5%) e all'albume (13.1%).
La positività dei test cutanei deve sempre essere confermata dalla dieta di eliminazione seguita dal test di esposizione, che consiste nella reintroduzione, in modo controllato, degli alimenti precedentemente esclusi. Il test di provocazione alimentare in doppio cieco contro placebo è considerato lo standard di riferimento per l’identificazione dell'allergia alimentare. L’alimento, mascherato in modo tale da non poter essere riconosciuto né dal paziente né dal medico, viene somministrato a digiuno, raddoppiando la dose ogni 15-60 minuti. L’aspetto, il gusto, la quantità del cibo indagato e del placebo (preparazione inerte impiegata come termine di confronto nella sperimentazione clinica) devono essere simili. E’, quindi, un esame indaginoso e laborioso e può elicitare reazioni cutanee, gastrointestinali e respiratorie anche severe per cui richiede la permanenza in ambiente ospedaliero. Nella pratica clinica esso è spesso sostituito dal test di provocazione alimentare ripetuto in aperto, che riproduce l’esposizione naturale, ed è di più semplice esecuzione. Il challenge in aperto ripetuto viene eseguito esponendo il paziente a dosi crescenti di alimento il primo giorno, poi, nei giorni successivi a “dosi adeguate” dello stesso per la durata complessiva di una settimana. Nel caso compaiano sintomi cutanei, respiratori o gastrointestinali, il test di esposizione viene immediatamente sospeso e considerato positivo. Esiste una correlazione tra tipo di reattività cutanea al prick e patch test e intervallo intercorrente fra challenge e comparsa dei sintomi. In particolare, la positività dei prick test correla con la comparsa di reazioni immediate, mentre il test epicutaneo presenta elevata specificità e sensibilità per le risposte a comparsa tardiva. I nostri dati su circa 200 pazienti con DA sottoposti sia a test cutanei che a challenge in aperto ripetuto con uovo, latte e arachidi dimostrano che il patch test con allergeni alimentari rappresenta un utile strumento per identificare quei pazienti che mostrano risposte di tipo eczematoso all’ingestione di alimenti. Per tutti i tre allergeni considerati abbiamo osservato elevati valori di specificità, variabili tra 79% per l'uovo e 89% per il latte e una sensibilità superiore a quella del prick test.
Nei soggetti con dermatite atopica si rivela utile anche eseguire test epicutanei con sostanze chimiche di sintesi. Reazioni eczematose da contatto possono interessare le sedi di esposizione e suggerire quindi una sostanza esogena come agente eziologico, ma possono anche sovrapporsi alle lesioni tipiche del paziente atopico, rendendo così difficoltosa la diagnosi e riducendo l’efficacia della terapia in atto. La sensibilizzazione da contatto è un fenomeno comune nei soggetti atopici, interessando circa il 58% di 473 bambini e adulti da noi esaminati. Le sostanze più frequentemente coinvolte nell’allergia da contatto sono la neomicina (19.5%), il nichel (19%), il potassio bicromato (11%) e la lanolina (10%). Elevate frequenze di sensibilizzazione si osservano anche per i coloranti tessili, in particolare per i dispersi utilizzati per tingere fibre sintetiche (poliesteri ed acriliche). Su 6.78 soggetti, di cui 531 affetti da dermatite atopica, sottoposti a patch test con 7 diversi coloranti dispersi abbiamo osservato una prevalenza di sensibilizzazione del 6,7% nella popolazione generale testata e del 7,2% negli atopici. In particolare i dispersi blu 124 e 106 e il disperso arancio 3 sono risultati essere quelli più frequentemente positivi (tabella 1).
I fattori non immunologici che intervengono nella eziopatogenesi della dermatite atopica sono rappresentati da una diminuita soglia del prurito con percezione anche di stimoli meccanici come prurito, da alterazioni della sudorazione e soprattutto da alterazioni della barriera cutanea. In particolare, la composizione lipidica dello strato corneo è alterata qualitativamente e quantitativamente nella cute atopica. I ceramidi dello strato corneo sono significativamente diminuiti nei pazienti con dermatite atopica, anche in assenza di lesioni cutanee, mentre risulta aumentato il colesterolo libero.
La funzione barriera della cute del paziente con dermatite atopica può essere valutata con l'ausilio di metodiche strumentali, quali la corneometria per misurare l'idratazione cutanea e l'evaporimetria per la TEWL (trans epidermal water loss). I parametri biofisici indicativi di infiammazione vengono quantificati con strumenti quali il colorimetro e l'ecografo a 20MHz.
Nella cute eczematosa i valori della TEWL e della capacitanza risultano inversamente correlati: si osservano un aumento, rispetto alla cute sana, della perdita d’acqua per difetto della funzione barriera, e una diminuzione del contenuto idrico, in conseguenza della ridotta capacità dello strato corneo di trattenere l’acqua. Nel paziente con dermatite atopica anche la cute clinicamente indenne presenta alterazioni significative dei parametri biofisici in confronto alla cute sana del soggetto non atopico: in particolare si riscontrano ridotti valori di capacitanza ed elevati livelli di TEWL. La ridotta funzione di barriera sta alla base di reazioni aumentate nei confronti di irritanti e di allergeni, specialmente in condizioni in cui vi è una contemporanea esposizione a questi agenti, come nel caso di un'esposizione ad un allergene ubiquitario come il nichel dopo una detersione eccessiva.
Il trattamento della dermatite atopica si basa sulla riduzione dell'esposizione agli allergeni e agli irritanti e sulla terapia farmacologica sia topica che sistemica. Nei soggetti affetti da allergia alimentare, la dieta rappresenta un presidio terapeutico fondamentale della malattia.
Nei pazienti sensibilizzati agli acari è opportuno trattare l'ambiente domestico per ridurre la quantità degli allergeni tramite interventi di pulizia e l'eventuale uso di acaricidi. E' anche utile impiegare gli appositi rivestimenti per materassi e cuscini. L'iposensibilizzazione specifica (vaccinazione) basata sul principio dell'induzione di tolleranza nei confronti degli allergeni è stata pienamente sperimentata con buona efficacia nelle altre patologie atopiche (asma, raffreddore da fieno), mentre viene ancora utilizzata con cautela nella dermatite atopica a causa di possibili riesacerbazioni della malattia alle prime somministrazioni. Evitare l'esposizione ad allergeni per contatto come il nichel, gli acceleranti della gomma, i profumi, i coloranti per tessuto è utile per prevenire le riesacerbazioni legate a sensibilizzazione da contatto.
Il trattamento locale prevede sia un corretto approccio alla detersione con lavaggi poco frequenti senza detergenti o con prodotti delicati, quali detergenti oleosi o saponi-non saponi (syndet), sia un trattamento quotidiano con emollienti, volto a prevenire le riaccensioni. Gli emollienti hanno come obiettivo quello di restaurare la funzione la barriera cutanea che serve per la difesa nei confronti delle aggressioni esterne (irritanti e allergeni), ma anche di limitare la perdita di acqua responsabile della secchezza cutanea. Il trattamento farmacologico locale volto a controllare la componente infiammatoria della malattia si basa sui corticosteroidi e più recentemente sugli immunomodulatori topici. L'utilizzo di antibiotici topici attivi sullo Staphilococcus aureus, presente in aumentata quantità sulla cute dell'atopico, rappresenta un altro punto fondamentale nell'approccio terapeutico dell'eczema atopico. Per quanto riguarda la terapia sistemica gli antistaminici contribuiscono alla riduzione del prurito e rappresentano, quindi, presidi fondamentali per il trattamento della dermatite atopica. Gli antistaminici di prima generazione associano all'effetto antiprurito un'attività sedativa che può essere sfruttata nei bimbi più piccoli o iperattivi. Quelli più recenti sono attivi sul prurito mentre sono praticamente privi di effetto sul sistema nervoso centrale. I farmaci immunomodulatori sono estremamente efficaci, ma vanno utilizzati nei casi resistenti alle altre terapie.
Tabella 1. Numero (%) di risposte positive ai coloranti dispersi su 531 pazienti con DA
allergene |
n° (%) risposte positive |
allergene |
n° (%) risposte positive |
DB106 * |
4 (31%) |
DG3 |
12 (32%) |
DB124 |
9 (24%) |
DR1 |
8 (21%) |
DA3 |
11 (29%) |
PAAB* |
3 (23%) |
PDAAB |
4 (11%) |
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