Inventario
Tavola rotonda: “Sicurezza del prodotto tessile, tracciabilità, marchi… quali strategie per rilanciare il made in Italy e difendere il consumatore?”
Aurora Magni
La tavola rotonda di oggi ha l’obiettivo di fare chiarezza sulle strategie che l’industria tessile si è data in materia di tutela e valorizzazione della propria creatività e produzione e sicurezza del consumatore. Un problema complesso che non a coso emerge congiuntamente alla crisi che il settore sta vivendo in termini di riduzione della propria capacità competitiva e di contrazione dei livelli occupazionali. Aggressività commerciale dei paesi di nuova industrializzazione, disomogeneità nelle condizioni di commercializzazione tra i diversi paesi produttori, aumento del fenomeno della contraffazione, calo dei consumi interni di prodotti tessili, sono dati preoccupanti per la nostra industria. Non sorprende quindi che forte sia da parte del settore, ma anche dei rappresentanti dei consumatori, l’attenzione verso le politiche nazionali e comunitarie in materia di etichettatura, made in, tracciabilità di prodotto. La crescita di sensibilità dell’opinione pubblica verso la qualità dei prodotti acquistati rappresenta inoltre un nuovo terreno di confronto tra chi produce, vende ed acquista. Per mettere meglio a fuoco il problema diamo la parola a Giacinto Brighenti di Federconsumatori.
Giacinto Brighenti
Grazie innanzi tutto all’Associazione Tessile e Salute per aver stimolato il dibattito su questi temi e per aver messo a punto nuove e avanzate griglie di controllo sulle sostanze coinvolte nel processo produttivo tessile. Ritengo sia ora importante il coinvolgimento delle autorità italiane e comunitarie per ottenere prodotti più sicuri. Un percorso che come associazioni dei consumatori siamo ben interessati ad accompagnare. Ma affermare nuovi livelli di sicurezza dei materiali tessili rischia di non essere sufficiente se non si predispongono misure contro le mine vaganti che minacciano questo processo. Una di queste, forse la principale, è la contraffazione delle merci, L’industria del falso rappresenta oggi il più insidioso concorrente del tessile italiano , essendo quello della moda uno dei settori maggiormente presi di mira dalla contraffazione con un giro di affari di oltre 15 miliardi di fatturato, pari al 21% della produzione nazionale (fonte: Federconsumatori).
Gli interventi da intraprendere trovano concordi imprenditori, sindacati e consumatori e riguardano l’obbligo del rispetto delle clausole sociali per tutti i paesi, l’intensificazione dei controlli sui prodotti importati, la reciprocità negli scambi, la tracciabilità ma anche il supporto alla ricerca volta a potenziare il prodotto tessile italiano e la promozione dello stesso.
Non bisogna inoltre sottovalutare l’importanza dell’informazione rivolta al consumatore, che non sempre è del tutto consapevole delle conseguenze dell’acquisto di un prodotto contraffatto. Un’azione di contrasto della contraffazione basata solo sul controllo dell’offerta che non si ponga il problema di orientare la domanda, non otterrà esiti duraturi. La pubblicità che l’industria della moda propone è sicuramente uno dei fattori di traino del made in Italy ma deve essere accompagnata da un’azione di informazione che sensibilizzi in particolare i target più deboli verso un consumo consapevole: i giovani e gli anziani. A questo scopo ci stiamo impegnando in un’azione di informazione presso le scuole superiori rivolta ai ragazzi e ci auguriamo che questa iniziativa incontri il consenso delle associazioni di categoria. Un’iniziativa che mirerà a valorizzare il contenuto qualitativo del prodotto acquistato e a fornire criteri per la sua valutazione, anche per quanto riguarda il rapporto qualità/prezzo.
Aurora Magni.
L’industria della contraffazione è sicuramente una minaccia per il sistema economico regolare: non paga tasse, ruba idee, creatività e marchi altrui, e, cosa che non tutti sanno, offre cospicui finanziamenti alla delinquenza organizzata e al terrorismo. Ed è sbagliato pensare che operi solo all’estero: noi italiani non siamo immuni da questo peccato. Anzi.
Ma se la contraffazione mina il sistema tessile, non è solo da qui che nascono i problemi. Qual è il punto di vista degli imprenditori tessili in merito?
Mauro Chezzi
Innanzitutto l’industria tessile non è solo l’industria più antica del mondo e che appartiene alla storia dell’umanità ma è un sistema che opera da sempre in contesti globali. Oggi l’industria dei paesi occidentali è chiamata a misurarsi con quella di paesi che sarebbe anacronistico definire in via di sviluppo: paesi di nuova e poderosa industrializzazione dotati di impianti e tecnologie evolute che nulla hanno da invidiare alle nostre e capaci di fornire il mercato di tutto ciò che lo stesso ha bisogno. Il problema si pone quindi in termini di reciprocità delle relazioni commerciali. Il consumatore deve poter ricevere proposte omogenee perché realizzate da paesi che hanno gli stessi obblighi e gli stessi vincoli (obblighi sociali e ambientali innanzitutto) e le stesse legislazioni nel momento in cui esportano propri prodotti. Un’azione legislativa quindi che abbia una forte valenza informativa presso i consumatori. Un prodotto deve innanzi tutto dichiarare la sua origine, che è diverso dalla sua provenienza essendo quest’ultima un’informazione che si limita ad indicare il paese da cui la merce è partita. Il prodotto deve essere spiegato nelle sue fasi di trasformazione più significative affinché sia possibile per il consumatore valutarlo di termini di qualità, originalità e prezzo. Quello della conoscenza di ciò che viene acquistato è un diritto che il consumatore di paesi come gli Usa, ma anche la Cina e la Russia ha garantito a differenza del consumatore europeo. Per questo ci stiamo battendo per il principio della tracciabilità del prodotto intendendo con questa formula l’indicazione nell’etichetta delle aree geografiche in cui sono avvenute le principali fasi di trasformazione del capo. Una comunicazione esaustiva che descrive anche le fasi a monte del ciclo di lavorazione e non si limita all’ultima. Questo non può che dare maggiori garanzie al consumatore che acquistando un capo interamente italiano saprà per certo di acquistarne anche il valore tecnologico intrinseco. Ma un altro principio deve essere sostenuto con forza: quello della sostenibilità del prodotto e del ciclo di produzione intesa come ecocompatibilità. I cicli economici non devono impattare negativamente sull’ambiente: anche questo elemento non secondario distingue un prodotto italiano da uno realizzato in altre aree del mondo. Si tratta di valori culturali che devono avere lo stesso peso dell’esteticità e dell’originalità. Ed è bene che di questo i consumatori siano informati. Non sottovalutiamone infatti il potere: chi compra può condizionare, con le sue scelte, il mercato e premiare le produzione di qualità.
Elena Venditti.
Una breve panoramica sulla situazione legislativa. La legge 833 del 73, che è poi stata modificata da successivi provvedimenti legislativi, è stata voluta dalle associazioni dei consumatori. Si attesta che un prodotto tessile deve portare un’etichetta di composizione. Il decreto legislativo 194 del 99 non ha però colmato un vuoto di legge relativo alle informazioni obbligatorie che l’etichetta deve dichiarare. E’ ad esempio misterioso il caso dell’etichetta di manutenzione: è o non è obbligatoria? Eppure, a chi si occupa proprio dei reclami dei consumatori è ben noto come i maggiori problemi intervengano in fase di lavaggio e stiro di un capo presso la tinto lavanderia.
Altrettanto importante è il marchio di origine del prodotto. Va tenuto presente che in una recente indagine Eurisko il 72% degli italiani intervistati ha dichiarato di essere molto interessato a una informazione che dica anche se quel prodotto è stato realizzato in un paese che rispetta i diritti umani e l’ambiente. Le associazioni imprenditoriali sono d’accordo con noi su questo punto ma l’u
Unione Europea è scettica e propone il marchio made in UE. Del resto va detto che solo a noi italiani sta molto a cuore valorizzare il made in Italy, interesse che possono non avere altri paesi meno apprezzati nel mondo per la loro creatività. Ora siamo di fronte, in fatto di etichettatura, a tre alternative: facoltativa/facoltativa per merci importate e nazionali, obbligatoria per le merci importate e facoltativa per le nazionali, obbligatoria per entrambe. Noi rappresentanti dei consumatori gradiremmo la terza ipotesi ma siamo disposti ad accontentarci anche della seconda.
Riteniamo inoltre interessante il sistema adottato negli USA: obbligo dell’etichetta per tutti i prodotti importati oltre ad alcune tipologie di prodotti nazionali tra cui il tessile,e indicazione nell’etichetta della percentuale di lavoro non realizzato in USA. Va inoltre notato che altri paesi come Cina, Bulgaria, Perù, Giappone hanno l’obbligatorietà dell’indicazione dell’origine della merce. In questo senso il nostro paese è il fanalino di coda.
In conclusione difesa del consumatore significa: etichette eloquenti, possibilità di valutare i prodotti e di scegliere quelli virtuosi e socialmente accettabili, completa tracciabilità, doppia obbligatorietà, etichette di manutenzione affidabili. La finanziaria dell’84 ha tolto i finanziamenti agli istituti preposti ai controlli e da allora le frodi sono aumentate. Controlli maggiori quindi e maggior responsabilità sociale dei produttori. Se un prodotto costa poco è possibile che sia stato realizzato da bambini e da persone socialmente non tutelate. Conoscere per scegliere quindi: questo è quello che chiedono i consumatori.
Aurora Magni
Etichettatura quindi come strumento di verifica sull’origine del prodotto ma anche valorizzazione della qualità intrinseca quando questi prodotti sono espressione di una cultura tecnologica e creativa di alto livello. E’ il caso dei marchi “Art of eccellence” lanciato a Biella e del comasco “SeriCo”.
Alberto Brocca
Innanzitutto due parole sull’etichettatura obbligatoria, o meglio, un appello: Europa muoviti e non fare scemate, per favore. Come padre ho, come è normale, il desiderio che i miei figli godano degli stessi diritti. Ebbene uno dei miei figli vive negli USA e l’altro a Udine. Non ritengo giusto che il primo possa conoscere e valutare ciò che sta acquistando e l’altro no. Ciò è inconcepibile in una nazione civile perché informare deve essere un dovere.
Per favore, Europa, non fare scemate. Qualche euroburocrate ha avuto la pensata di proporre il marchio Made in UE. Vi pare possibile che se uno intende acquistare un formaggio o uno champagne francese si accontenti di acquistarne uno col marchio UE? Lo stesso è per il tessile. E’ evidente che la moda italiana ha un valore di per sé che chi compra vuole vedere riconosciuto. Proprio per valorizzare qualità e valore dei nostri prodotti, a Biella abbiamo lanciato un marchio volontario, frutto di uno studio e di una strategia che dovrebbero indurre il consumatore finale a riconoscere e scegliere la qualità, come complemento imprescindibile dall’elemento estetico. Perché è importante che un capo sia bello, originale, ma è altrettanto importante che “il motore” non deluda. E’ importante sapere chi l’ha fatto quel motore. Pur in una situazione di disagio quale quella che il distretto di Biella sta vivendo siamo ben consci del valore di ciò che produciamo come espressione della civiltà del lavoro che Biella rappresenta.
Mario Frigerio
Nel corso della recente visita del presidente Ciampi un produttore comasco gli ha donato una cravatta acquistata a Londra riportante una vistosa etichetta made in Italy ma che da un analisi più accurata risultava averne un’altra più nascosta e veritiera dichiarante made in China. Questa è la dimostrazione di quanto poco protetti siano i nostri prodotti e la nostra immagine.
Per tutelare i nostri prodotti il distretto di Como ha dato origine al marchio Serico. Si tratta di un marchio che può essere utilizzato dalle aziende che avendone fatto richiesta, hanno superato tutti i test e le prove relative. Non si tratta infatti di un’autocertificazione, al contrario l’iter è simile a quello della certificazione ISO 9000. Innanzi tutto il marchio sancisce l’origine del prodotto: almeno due operazioni qualificanti il prodotto devono essere svolte in Italia. Inoltre test prestazionali ne valutano gli standard qualitativi e garantiscono l’assenza di sostanze potenzialmente nocive. Si tratta quindi di una procedura più rigida di quella richiesta per l’attribuzione del made in Italy. Ulteriori garanzie vengono però dall’azienda che deve dimostrare di operare in regime di qualità, nel rispetto dell’ambiente e delle norme etico-sociali tra cui il divieto di copiatura dei disegni e di utilizzo di etichette non veritiere.
Un ente certificante, in questo caso Certitex, effettua le ispezione e attua una sorta di sorveglianza straordinaria sull’azienda, il che significa che là dove vi fosse il sospetto di un comportamento non corretto, verrebbe meno la certificazione stessa. Ad oggi sono un centinaio le aziende coinvolte nel progetto e siamo impegnati in una importante azione di promozione del marchio e di sensibilizzazione.
Aurora Magni
Fa piacere verificare come questi marchi locali non siano operazioni di marketing ma il frutto di uno studio tecnologico e metodologico rigoroso ad effettiva garanzia del consumatore. Qualcosa di simile è stato sviluppato da Levis, multinazionale conosciuta in tutto il mondo e oggi non solo produttrice di jeans.
Lorenzo Radice
Nel mio lavoro mi occupo anche di tematiche riguardanti la responsabilità sociale del sistema produttivo e distributivo Levis ma nel mio intervento mi soffermerò solo sulle procedure che abbiamo adottato al fine di assicurare ai nostri clienti la maggior sicurezza e la miglior qualità del capo che acquista. Per quanto riguarda la sicurezza, noi la suddividiamo in due ambiti: chimico e fisico meccanico. Parlerò del primo, perché più attinente alle riflessioni che stiamo svolgendo. Innanzi tutto abbiamo proceduto organizzando al nostro interno un gruppo di lavoro formato da tecnici dell’azienda ed esperti esterni ed abbiamo raccolto e analizzato tutte le normative relative alle sostanze utilizzate in ambito tessile. L’analisi ha coinvolto più paesi, prima quelli più avanzati, ma procedendo ci siamo resi conto che queste regolamentazioni erano soprattutto presenti nell’Unione Europea, in Svizzera, negli USA, in Australia, Corea del sud e Giappone. Abbiamo verificato l’accuratezza di queste informazioni e compilato una primo elenco prendendo in esame le sostanze specificatamente regolamentate in ambito tessile a cui abbiamo aggiunto altre sostanze definite a rilevanza sociale ciò non regolamentate in nessun paese, non considerate certamente pericolose dalla comunità scientifica ma percepite come tali dai consumatori. Abbiamo inoltre considerato elenchi di sostanze indicate da associazione non governative come potenzialmente nocive (Greenpeace, Ecotex, Ecolabel) ed elenchi prodotti da imprese come Nike, inoltre abbiamo considerato processi tecnologici messi a punto in altri sistemi industriali ma nuovi per il tessile.
Le sostanze sono poi state sottoposte a un filtro chimico e fisico volto a verificare il grado di permanenza nei capi e l’eventuale scarico nell’acqua. Un’altra verifica è di tipo tossicologico e valuta l’effetto sulla salute (cancro, sterilità, sensibilizzazione cutanea). Se questi effetti sono rilevanti la sostanza viene mantenuta nella lista.
La parte metodologicamente più innovativa riguarda la valutazione del rischio: di ogni sostanza sottoposta ai filtri chimico e fisico è stato valutato il rischio in cui incorre il consumatore nell’utilizzo e per ogni sostanza è stata determinata la dose minima accettabile. Ciò è stato effettuato considerando diverse vie di concentrazione: la pelle, la volatilità di sostanze nella fase di stiro del capo, l’ingestione dello stesso, il tutto considerando il valore più restrittivo. E’ quindi una lista particolarmente restrittiva che è stata inviata a tutti i fornitori Levis per i quali sono stati organizzati momenti di training e sui quali la Levis effettua costanti azioni di controllo mediante test sui campioni prodotti. La lista verrà aggiornata annualmente per tenere in considerazione l’evoluzione dei materiali e delle tecnologie.