Inventario
Filatura e Tessitura di Tollegno
Note storiche e archivistiche
N.B. L’archivio è in fase di schedatura dal 2010, attualmente sono stati schedati 600 metri lineari, ma ne restano da schedare ancora 500 o forse più, pertanto non è ancora consultabile.
Nel 1900, in aprile, fu stilato presso la sede della Banca Gaudenzio Sella e C. l’atto di costituzione della Società Anonima Filatura di Tollegno e nel 1908 gli operai della Filatura di Tollegno erano più di 600 quasi decuplicando la loro consistenza dall’anno di fondazione. Fu sempre nel 1908 che nacque il marchio Lana Gatto raffigurante la testa di un gatto bianco, a pelo lungo, con gli occhi verdi. Nel 1913 si aggiunse la pettinatura e nel 1917 si ampliarono gli edifici: gli operai superarono il numero di 1700. Da quel momento si aprì una fase di grande floridezza e i prodotti della Tollegno erano additati ovunque come esempio di estrema qualità e perfezione.
Vennero poi gli anni oscuri e tragici della guerra.
Con il ritorno alla pace, l’industria laniera biellese ebbe la grande fortuna di ritrovarsi con le fabbriche pressoché intatte; alla fine del 1945 ricominciò ad arrivare allo stabilimento di Tollegno la lana australiana, finissima, bianca, da lavorare in cambio di una certa quantità di materia prima. Da questa, e da altre commesse analoghe, ripartì l’attività dell’azienda. Venne quindi il miracolo economico e per la Filatura di Tollegno fu di nuovo un’epoca di splendore.
Nel 1946 incorporò la S.A. Agostinetti & Ferrua nata nel 1862 come Lanificio Rosazza, Agostinetti e Ferrua in un edificio architettonicamente inglese“a ferro di cavallo”, dove oggi ha sede il Lanificio di Tollegno.
In seguito all’acquisizione l’azienda assunsel’attuale denominazione di Filatura e Tessitura di Tollegno e il numero dei dipendenti salì a più di 2000.
I documenti d’archivio non presentano però una netta cesura dal 1946, dovuta al cambiamento di ragione sociale poiché, ovviamente, l’attività in azienda continuò senza variazioni e di conseguenza i registri di ogni settore gestionale continuarono in quell’anno a essere compilati nello stesso modo e dalle stesse persone. Le carte intestate e le denominazioni variarono un poco alla volta. Dai documenti dell’archivio risulta anche l’esistenza di un forte legame tra l’Agostinetti & Ferrua e la Filatura d Tollegno ben prima del 1946.Nella relazione dell’archivista Patrizia Viglieno presentata al convegno biellese “Memorie in movimento” nell’ottobre 2010 si legge ”Ad esempio, in una lettera datata 11 maggio 1942 inviata dalla Filatura di Tollegno al Sottosegretario di Stato per le Fabbricazioni di Guerra (ai fini del conseguimento della qualifica di stabilimento ausiliario) si parla di nostra controllata in riferimento alla Agostinetti & Ferrua mentre in una lettera dello stesso periodo, inviata da quest’ultima ad un dipendente si può leggere: “[…] Vi invitiamo a spostarvi presso la nostra Casa-Madre, spett. Filatura di Tollegno, con l’incarico di sorvegliare e seguire da vicino la lavorazione delle partite di nastro di nostra proprietà destinate alle forniture militari ed all’esportazione che la Ditta suddetta deve filare per nostro conto”. Lo spaccio aziendale della Filatura di Tollegno era poi utilizzato anche dagli operai della Agostinetti & Ferrua come risulta da una prenotazione di generi alimentari per la stagione invernale 1941-1942, fatta dall’azienda stessa, alla Confederazione Fascista degli Industriali (lettera del 20 settembre 1941). Lo spaccio è detto appunto “della S.A. Filatura di Tollegno, i generi alimentari prenotati sono: 10 q di fagioli, 5 q di castagne bianche secche tipo Mondovì,2 q di cipolle sane, 3 q di fichi secchi sciolti e in pacchetti diversi, 50 q di patate e tra i documenti si conservano alcune delle relative fatture di acquisto della ditta Andreoletti di Vercelli (1941)”
L’archivio presenta una forte traccia della qualifica di “stabilimento ausiliario” ottenuta dalla Agostinetti & Ferrua nel 1942, qualifica che determinò la variazione di produzione e anche della posizione degli operai rispetto alla chiamata alle armi per la guerra. Ancora nella relazione di Patrizia Viglieno (crf. nota 1) si legge “Con determinazione del Sottosegretario di Stato per le Fabbricazioni di Guerra del 10 dicembre 1942 lo stabilimento fu dichiarato ausiliario con effetto dal giorno 11 gennaio 1943. Da un documento intitolato “Promemoria per il Sig. Comm. Converso[1]” (datato 30 settembre 1942) si desume che la domanda fu in questo caso presentata unitamente a quella della Filatura di Tollegno e che la motivazione era da ricercarsi quasi esclusivamente nell’intento di ottenere le assegnazioni di carbone estero e nazionale che sono ora limitate ai soli stabilimenti ausiliari. I dati riportati nella domanda ci offrono una fotografia dell’azienda, oltre all’indicazione del capitale sociale che ammontava a £ 6.000.000 abbiamo modo di apprendere che lo stabilimento dà lavoro a circa 400 operai ed è impegnato quasi totalmente per la lavorazione di forniture militari dirette ed indirette e per l’esportazione. Il lanificio dispone di propria tintoria, filatura cardata (7 assortimenti di carderia e 3150 fusi di filatura che lavorano a 2 turni), ritorcitura (n. 1510 fusi), tessitura (n. 115 telai, che in parte lavorano a doppio turno) e finissaggio completo. Il macchinario è azionato dalla forza motrice prodotta dal salto d’acqua di proprietà della ditta. Segue l’elenco delle commesse militari in corso con il Ministero della Guerra costituite da 60.000 m di panno grigio verde semipettinato impermeabilizzato e di altri 51.000 m in corso di aggiudicazione e ancora che nel 1940 e nel 1941 la Società ha complessivamente consegnato all’Amministrazione militare più di 680.000 m di panno e flanelle oltre alle forniture indirette[1] effettuate. Tra i documenti non è presente l’istanza inoltrata dalla Filatura di Tollegno ma nel suddetto promemoria sono menzionati anche alcuni dati ad essa relativi: il capitale ammonta a £. 55.000.000, ha l’attrezzatura completa per produzione di filati pettinati e dispone di 31.608 fusi di filatura e di 13.836 fusi di ritorcitura ed occupa circa 1200 operai oltre a 50 impiegati. I filati pettinati di sua produzione sono soprattutto destinati a commesse belliche dirette ed indirette, principalmente indirette lavorando essa per conto di lanifici e maglifici aggiudicatari di forniture militari. La dichiarazione di stabilimento ausiliario ha delle ricadute anche sul personale dello Stabilimento che da questo momento assume la qualifica di “mobilitato civile”. Questo comporta che, ai sensi della Legge sulla disciplina di guerra 24 maggio 1940 n. 461 ogni “mobilitato” non possa per alcun motivo abbandonare il servizio senza apposita autorizzazione scritta della competente autorità e che, ai sensi della Legge 1 novembre 1940 n. 1782, sia soggetto alla giurisdizione militare per i reati previsti dalla legge stessa. Punito è anche l’abbandono del posto di lavoro o di servizio in caso di pericolo. Nella relazione anonima redatta in occasione di un viaggio a Torino presso il “Fabbriguerra” (13 gennaio 1943) si legge tra l’altro che la disciplina interna allo stabilimento è devoluta ai dirigenti dello stesso e che l’Ufficiale di Sorveglianza ha solo funzione integrativa. Gli stranieri (ad esempio i montatori di macchine) non possono accedere ai reparti di lavorazione senza preventivo permesso del Fabbriguerra da chiedersi di volta in volta e che, naturalmente, gli ebrei non possono assolutamente essere impiegati in stabilimenti ausiliari. In caso di assenze arbitrarie o ingiustificate per gli operai o impiegati delle classi richiamabili (1910-1915) sono sufficienti 24 ore di assenza per essere denunciati mentre per gli altri 5 giorni. E’ quindi da mettere in relazione a queste disposizioni la lettera del 7 aprile 1943 indirizzata al Maggiore Caputi[1] - Biella con la quale lo si informa che il giorno precedente (6 aprile), dalle ore 10 alle prime ore del pomeriggio, gli operai dei reparti carderia e filatura, tessitura, ritorcitura, miste ed apparecchio asciutto avevano sospeso il lavoro pur restando presso le macchine. Motivo della sospensione era la protesta contro l’insufficienza del vitto, i prezzi del mercato nero e l’avvenuta riduzione di 50 gr. di pane dal 1 aprile e la richiesta di aumento della paga. Con decreto del Ministero della Produzione bellica del 26 aprile 1943 la dichiarazione di ausiliarietà viene revocata”. Nel dopoguerra l’azienda creò a Tollegno anche un villaggio di case per gli operai; prima ancora esisteva già una casa di accoglienza per operaie.
L’archivio di questa azienda è completo in ogni sua parte e quindi è possibile ricostruire la storia aziendale da diversi punti di vista: direzione, produzione, clienti e fornitori, rappresentantiLa relazione dell’archivista Laura Bonom presentata al convegno bellese (cfr. nota 1) offre dati interessanti sulle vendite: “Agostinetti & Ferrua esportava in Germania, Olanda, Finlandia, Islanda e Svizzera, per citare i principali; poi il suo commercio si allargava all’Asia toccando Paesi come Iraq, Libano e Palestina e al continente americano e in più in particolare negli U.S.A., in Canada, a Cuba, in Equador e in Guatemala; e in Africa del nord, Tripoli e Bengasi in Libia, e del Sud. […] come esempio del volume d’affari si veda la stagione Inverno 1939/1940, periodo in cui si affacciava lo spettro della guerra su tutta Europa. Notiamo che su un totale di 1450 pezze di tessuti per uomo 255 erano state esportate e su 2742 pezze di laneria 154 avevano passato la frontiera italiana. Per fare qualche esempio per drapperia 35 pezze erano andate a Quito (Equador), 10 a Santiago (Cile), mentre per la laneria 2 pezze erano arrivate appena sotto il circolo polare artico, a Rejkyavich, altre a Copenaghen, mentre 13 erano arrivate a Beirut. Passata questa stagione arrivarono gli anni della guerra e tutte le esportazioni divennero sempre più difficili. Ne sono testimoni le denunce dei danni di guerra. Da un documento per esempio si legge che della merce, spedita al cliente Archimede Salandra a San Salvador tramite il piroscafo “Fella” e partita il 7 maggio 1940 da Genova alla volta di La Libertad (capitale San Salvador) non era arrivata a destinazione. Infatti durante il viaggio era sopravvenuta la dichiarazione di guerra da parte dell’Italia e il piroscafo si era rifugiato a Puntarenas (Cile). Il rappresentante di Agostinetti & Ferrua con i documenti di viaggio di franco valuta si era adoprato affinché la merce fosse imbarcata su un altro piroscafo verso la destinazione finale. Da lì si erano perse le tracce sia dei documenti sia della merce. Molti i casi simili a questo in quel periodo e i clienti non pagavato perché la merce non era arrivata a destinazione. Ciò nonostante la credibilità dell’azienda non era stata intaccata.”