«Così giovane e già così disgraziato…»: Marconi visto da Biella
da "Eco di Biella" dell'29 aprile 2024
Nella sua ode Il canto d’Oropa (1922) Giuseppe Deabate, che visse il giorno della scoperta, celebrò con arte e genuino sentimento l’inventore e l’invenzione del secolo:
[…] Mentre un altro gagliardo, alta la fronte e chiusa la sognante anima in sé,
spingea lo sguardo all’ultimo orizzonte, o ispiratrice Oropa, innanzi a te.
Udì il possente palpito che crea effondersi pel ciel de l’infinito
ed in un lampo schiudersi l’idea che aveva il giovanil cuore nutrito?
Ne l’alta solitudine che muove lo spirito al meditar, sentì l’austero
sognator disvelarsi arcane e nuove vie e trionfi per l’uman pensiero.
E fu in quell’ora e in quell’istante, quando l’aura del monte su di lui ventò,
che l’angelo del genio sfolgorando gli scese accanto e in fronte lo baciò.
Salian fantasmi nella mite sera, e ardea del sogno il giovanil cervello
di quel pensoso eroe, qui dove impera l’alta virtù di un Galileo novello.
E qui, fra i monti, dove in chiusa via e aerei fili, giù per le pendici,
tanto tesor di forza e d’energia, strappato a l’acque, scende a gli opifici,
nacque il novo prodigio, onde il pensiero senz’aeree trame, ne l’immensità spandesi, e va,
pel gemino emisfero, da l’uomo a l’uom liberamente va” […].
Il 20 luglio 1937 sul mondo calò il silenzio. Un assordante silenzio radio. All’improvviso, certo non decrepito, era morto Guglielmo Marconi. Aveva sessantatré anni e un cuore non forte quanto la sua mente visionaria e la sua volontà di scoprire e di osare. I biellesi si sentivano un po’ “padri” della radio dopo che l’inventore aveva dichiarato di aver avuto l’intuizione definitiva a Oropa e dopo che tutti avevano saputo che il mentore di Guglielmo Marconi era il biellese Vincenzo Rosa. Fu un duro colpo. La radio era già un oggetto d’uso quotidiano e domestico, se non per tutti, per molti. Chi non l’aveva in casa, la ascoltava in pubblico. La radio era popolare, anche se non libera, visto che il regime fascista la impiegava intensamente per la sua propaganda. Due anni prima della scomparsa del grande fisico, il giornale del locale PNF, “Il Popolo Biellese” (12 agosto 1935) pubblicò un articolo di “ricordi” marconiani in occasione del quarantesimo del primo positivo esperimento radiotelegrafico. Fu riportata la testimonianza del dottor professor Scipione Vinaj, allora direttore dello Stabilimento Idroterapico di Andorno. “Nel 1894, attraversando un periodo di stanchezza e di esaurimento, il giovane Guglielmo Marconi si recò sui monti di Oropa a cercarvi nella verde tranquillità, riposo e vigorìa nuova. Lo aveva in cura il notissimo prof. Vinai dell’Università di Torino, che tanti ancora ben ricordano. Al medico, specialista di malattie nervose, non poteva sfuggire l’intenso lavorìo che attanagliava la mente fervidissima di Marconi, e lo fece oggetto di più particolari attenzioni”. Il luminare dell’idroterapia era rimasto particolarmente colpito da quel ragazzo. E ne parlò, all’epoca, con i suoi amici. “«Figuratevi che ho un ospite il quale vuole inventare il telegrafo senza fili! È un signore compito, che si direbbe perfettamente normale; e vedete un po’ che fissazione si è cacciata in mente!». Non credeva dunque molto il prof. Vinai nel genio del suo cliente Marconi che «sarebbe apparso normale» ma non lo era. E che pettegolezzi fra le cameriere dello stabilimento, le quali raccontavano di strane occupazioni del giovane ospite che tendeva reti di filo tra castelli di sedie e scope; in funzione di antenne!”.
Il ricordo di quei giorni d’estate fu richiamato qualche giorno dopo il decesso di Guglielmo Marconi. Sempre “Il Popolo Biellese” (il 22 luglio 1937) fece proprio il lutto del mondo e celebrò, ancora una volta, la biellesità della radio. “Guglielmo Marconi, il divinatore delle forze oscure e formidabili del creato, scompare dalla scena rumorosa di questo mondo in tormento, per entrare nella grande pace silente del regno misterioso, che forse non avrà più veli pel suo acuto sguardo indagatore. Ma noi ci sentiamo colpiti dalla folgore e ci pare che un gran buio si faccia intorno a noi, ora che il nostro Genio vivente ed operante fino ai più remoti angoli del mondo ci viene rapito. Era nostro, intimamente nostro, orgogliosamente nostro. La sua gloria, non infeconda e fatua, ma viva e vitale, limpida e consistente, ci infondeva nell’animo una serena fierezza e ci nobilitava al cospetto del mondo”. Ma nello stesso articolo si legge un meno reverente bozzetto di memorialistica spicciola. Il soggiorno andornese deve essere stato abbastanza lungo da aver lasciato qualche traccia nella memoria collettiva della comunità e di qualche abitante del paese che, allora, era una delle capitali mondiali dell’idroterapia. A distanza di tempo c’era chi si ricordava di quel personaggio singolare. “Così giovane e già così disgraziato”, dicevano di lui. Il prof. Andrea Vinaj, figlio di Scipione, per quanto nel 1894 fosse giovanissimo, aveva “ben impressa nella mente la magra figura dello Scienziato ed ancora ricorda l’interessamento che Marconi mostrava al reparto elettroterapico da poco impiantato e che rappresentava allora un’assoluta novità, specie per ciò che si riferiva alla corrente di alta frequenza. Più di una volta, ci ha confermato il prof. Vinay, fu sorpreso Guglielmo Marconi nascosto nelle sale di elettroterapia e più di una volta fu per questo severamente richiamato dal direttore il quale, naturalmente, non poteva nemmeno lontanamente sospettare ciò che maturava il pallido e taciturno giovane”.
Anche “il Biellese” (23 luglio 1937) non si fece mancare la sua quota di aneddoti. Come quello del pioppo sul poggio di San Rocco trasformato in antenna o il simpatico siparietto nel Caffè-Pasticceria Argentero, con la padrona del locale che accolse il dottor Vinaj da affezionato cliente abituale chiedendogli per celia come se la passassero i suoi ospiti: “tutti mezzi matti, ma il più matto di tutti è quello che vuole comunicare a distanza senza fili. Quello è matto per davvero…”. Al che il giovane Marconi, senza scomporsi, rispose: “Quello sono proprio io, signora”. Ne Il Biellese e le sue massime glorie, pubblicazione celebrativa edita nel 1938 in vista della visita del Duce a Biella, si aggiustò il tiro sulla presunta condizione di “esaurimento nervoso” del giovane Guglielmo Marconi. Non si poteva di certo consegnare ai posteri il più rilevante intelletto d’Italia come un malato di mente! Era una questione di reputazione. Eppure, con tutte le accortezze del caso, ne usciva comunque il ritratto di un “tipo” un po’ strano. Carlo Tamaroglio, bagnino e custode dello stabilimento, lo ricordava non per averlo massaggiato, ma perché Guglielmo Marconi si “aggirava sempre nei luoghi meno frequentati dagli ospiti a far raccolta di scatole di latta per farne delle pile e perché lo vedeva sovente appartato presso la tavola di pietra, nel folto dei pini, che stava sul poggio, intento a fabbricare chissà che cosa con del filo di rame e delle scatole di fiammiferi”. Fu emendata la versione del dottor Vinaj. Fu promossa, invece, la narrazione di Orrin Elmer Dunlap (Marconi, l’uomo e le sue scoperte, 1938), che incontrò Guglielmo Marconi e il fratellastro Luigi (figlio di primo letto del padre), quest’ultimo e non lui, bisognoso di cure idropatiche. Stando a Dunlap, Guglielmo Marconi gli confidò che, dopo aver letto, ad Andorno, un articolo sul lavoro di Hertz, l’idea gli girò nella testa per tutta l’estate trascorsa da queste parti, “sempre tramutandosi a guisa di un camaleonte” e quella “idea mi ossessionava ogni giorni di più fra quelle montagne del Biellese”. Dunlap, che poeticamente definì quell’intuizione prodigiosa come uno “spettro alato”, lascia il posto a un vero poeta, Giuseppe Deabate, il cantore di Oropa.
Quest’ultimo parlò, invece, di “angelo del genio” e mise in versi l’evento creativo del 1894 cui assistette in prima persona perché, in quel periodo, si accompagnava a Marconi a Oropa. Fu proprio Deabate a raccogliere, senza capirne la portata, il primo cenno della scoperta della radio. Nel tardo pomeriggio di uno di quei giorni oropei, sulla scalinata della Porta Regia, Marconi gli disse: “Caro Deabate, lassù alla Cappella del Paradiso, una portentosa idea m’ha attraversato la mente. Ricordi questo giorno. Lo ricordi!”. È facile capire perchè Marconi abbia poi portato per sempre il Biellese nel cuore. Quando, nel 1936, Leopoldo Gallo gli mandò le fotografie della lapide “marconiana” posizionate nel basamento di quella che era stata la casa di cura di Andorno (abbattuta nel 1921 per far posto alla villa Gallo-Barbisio), Marconi, dallo yacht Elettra, gli rispose con gratitudine scrivendo: “serbo sempre un caro ricordo del tempo trascorso in quella plaga deliziosa”.
Il 31 ottobre del 1937 fu scoperta la lapide di Oropa, dettata da Emanuele Sella. Dieci anni più tardi, l’Amministrazione del Santuario di Oropa volle porre un’altra lapide dedicata a Marconi. Fu incaricato dell’opera lo scultore Virgilio Audagna, ma qualcosa non andò nella direzione giusta, è il caso di dirlo. L’artista propose un bozzetto con il profilo di Marconi rivolto verso i monti, cioè “al contrario” e il progetto non ebbe seguito. Nel 1938, con la Legge n. 276 del 28 marzo 1938, Vittorio Emanuele III, per indicazione del Duce, fu disposto che il 25 aprile fosse dichiarato giorno di solennità civile. La festa di Guglielmo Marconi durò fino al 1945, perché nel 1946, il 25 Aprile, assunse tutt’altro significato. Non è noto se a Biella tale festività sia mai stata celebrata con particolare fervore, però, all’inizio di settembre di quello stesso 1938, l’antica via dell’Ospedale cambiava di denominazione e assumeva quella attuale, cioè via Guglielmo Marconi. Forse, a Oropa, si potrebbe fare qualcosa di più.