Daniele Schneider e la misura della finezza della lana
da "Eco di Biella" del 1° marzo 2021 [Danilo Craveia]
Non è una questione di lana caprina… Semmai di lana ovina, merinos, della migliore. Ed è la storia, o una parte della storia, di un grand’uomo. Un signore. Quel Daniele Schneider che i più vecchi, a Tollegno, ma non solo, ricordano con deferenza. Dire Daniele Schneider vuol dire Filatura di Tollegno, ma significa anche autorevolezza e prestigio internazionali. Bisogna tornare indietro di un secolo, ossia in un altro mondo, abitato da altri uomini, come il commendator Schneider, tecnico di indiscusso valore, riconosciuto in Italia, in Europa e nel mondo intero.
Dopo una vita passata a filare lana, merinos, della migliore, la sua parola era ascoltata come quella di un saggio. Come quella di un sapiente che voleva unificare e uniformare, per unire. Come quella di un prudente che ambiva a fondere per evitare che le differenze tecniche, produttive e commerciali segnassero ulteriori confini tra nazioni, popoli e stati. Perché, si sa, arriva sempre il momento in cui, per i confini, si deve combattere. Vale per la lana, vale per la terra, vale per la vita. Cent’anni fa, Daniele Schneider aveva già visto e vissuto la Grande Guerra e non ne voleva un’altra. Voleva la concorrenza, questo sì, ma anche regole chiare e condivise. Nella tecnica, nella produzione e nel commercio, per lottare ad armi pari e nel reciproco rispetto. Daniele Schneider non era Gandhi, aveva dinamismo imprenditoriale e polso fermo, aveva responsabilità sulla sua fabbrica e sulla sua forza lavoro, e sapeva che gli affari erano spesso spietati, ma proprio per questo occorrevano norme e standard. Il mercato delle lane era, già tra le due guerre mondiali, un mercato globale. Le difformità tra i criteri di classificazione tra le materie prime erano causa di contrasti e di raggiri, di trattative inique e di problemi di ogni genere, anche quando sussisteva la più limpida buona fede. Chi si occupava di filatura, come Daniele Schneider, aveva piena consapevolezza della difficoltà di stabilire con ragionevole precisione la finezza delle lane. Nel luglio del 1923 un tecnico della United States Testing Co. (un’agenzia che si occupava di misurare e testare attrezzature e prodotti di qualsiasi genere a difesa dei consumatori, Hugh Byron Gordon, propose, dalle colonne del “Textil Word Journal”, un procedimento di classificazione delle fibre tessili sulla base del loro diametro medio. L’idea, apparentemente banale, risultò di non banale attuazione. Anche ammesso di riuscire a determinare dei “diametri tipo” concordando su valori convenzionali, si trattava di effettuare correttamente e ripetibilmente le misurazioni (in micron) su singoli peli di pecora, che mostravano irregolarità notevoli. Anche gli strumenti disponibili all’epoca non erano così affidabili, se non in ottica statistico, e l’unico risultato di Gordon fu quello di mettere in evidenza la variabilità dei diametri delle fibre. Le tabelle dell’americano non ottennero particolare attenzione, ma i suoi test avevano riaperto una annosa discussione, alla quale aveva preso parte, anni prima, anche il biellese Eugenio Bona.
La finezza (con la lunghezza delle fibre) era un parametro più che importante per un’efficace valutazione della lavorabilità della materia prima. Titolo, torsione, accoppiatura, ritorcitura e altre operazioni di filatura erano (e sono) connesse direttamente alla finezza (e alla lunghezza). Un acquisto fatto sulla base di un non preciso riconoscimento della finezza poteva condizionare o compromettere la produzione del semilavorato e, di conseguenza, della sua lavorazione in tessitura, se non della sua vendibilità. Nel 1923, tale riconoscimento era attuato in via esclusivamente soggettiva. “Chi deve giudicare è l’occhio, che non è sempre dello stesso parere, anche se è ben esercitato ed appartiene alla medesima persona. Campioni dell’identica lana, inviati a vari specialisti, furono classificati in modo pure vario. Anche la stessa lana, greggia, tinta o oliata dette luogo ad apprezzamenti diversi”. Questo assunto, pubblicato sul “Bollettino dell’Associazione dell’Industria Laniera Italiana” come introduzione al lavoro del ricercatore americano, esplicava in modo perfetto la situazione. Malgrado le oggettive e non indifferenti pecche del sistema Gordon, nel 1924 gli USA adottarono una prima forma di standardizzazione capace di “fissare dei tipi ben definiti, che possano servire di base alle transazioni commerciali in tutta la Confederazione e le cui denominazioni rispondano ad analoghi campioni appositamente preparati dal Ministero di Agricoltura o da esso custoditi nel Distretto di Columbia”. Il principio era quello della convenzione. Così come esisteva il metro campione, era lecito immaginare una misura di riferimento campione per diametro, lunghezza, qualità e resa della fibra. Sette “gradi”, dal “fine” al “braid” (treccia) bastavano e avanzavano per classificare le lane. Certo, gli americani non avevano alle spalle una tradizione tessile di qualità, ma il loro esempio di concretezza andava imitato. Tanto più che loro stessi erano intenzionati a esportare il loro metodo. “Un rappresentante del Ministero di Agricoltura di Washington si è poi recato a Bradford allo scopo di coordinare il sistema adottato negli Stati Uniti con quello inglese”. Questo attraversare l’Atlantico, ovviamente, non avrebbe avuto effetti solo sulla perfida Albione, ma su tutta l’Europa e su tutto il mondo, visto che allora, più che di “sistemi” organici, si poteva parlare soltanto di usanze e tradizioni. Daniele Schneider, e altri come lui, consci della complessità dell’“universo” laniero, non potevano subire la visione, di fatto un po’ semplicistica, degli USA. A maggior ragione, quindi, si rendeva necessario agire per imporre una visione più colta e profonda del problema, ma altrettanto connotata dal senso pratico. Nel corso del 1925 si assistette alla prosecuzione dei contatti tra Washington e Bradford.
Americani e inglesi volevano superare (in assoluta autonomia e senza impelagarsi negli infiniti e sterili distinguo campanilismi tipici dell’Europa continentale) gli ostacoli posti dai cinque (!) diversi “sistemi” in corso legale: francese, inglese, tedesco, statunitense e sudamericano. Oltre alle differenze non raccordabili con equivalenze o con “cambi”, come si poteva fare con la valuta, “la classificazione attuale non è poi rispondente ai criteri di stretta logica per due altre ragioni da non dimenticare: i mutamenti sensibili avvenuti nelle produzioni qualitative della lana, ed i numerosi miscugli effettuati in questi ultimi tempi, miscugli che avrebbero creato delle marche intermedie fra quelle esistenti”. Come a dire che gli abituali metodi di misura erano stati superati dalla realtà degli elementi da misurare. Senza contare che “per ciò che concerne i mutamenti avvenuti nelle qualità delle tose è noto a tutti che le belle qualità anteguerra non si ritrovano più”, mentre i “miscugli” erano stratagemmi commerciali leciti, ma complicati da inquadrare in termini tecnici, e tuttavia non per questo ignorabili, visto che saturavano il mercato assai di più e prima dei “tipi standard”. La risposta europea a quella sempre più pressante domanda fu data, in prima battuta, dal professor Luigi Rinoldi (1867-1955), valsesiano di Rimella e mitico docente dell’ITI “Q. Sella” di Biella. Nel luglio del 1925 elaborò e pubblicò una sua idea di unificazione schematizzata in due tabelle che, rispetto alla confusione persistente, rappresentavano un enorme passo avanti. L’idea del Rinoldi era quella di usare le lettere A e B (mutuando in questo la metodologia tedesca, illustrata nel volume del 1923 Mechanisch- und physikalisch -technische Textiluntersuchungen del professor dottor Paul Heermann, capo del Dipartimento tessile dell’Ufficio statale per le prove sui materiali di Berlino) per definire, con accettabile tolleranza, le finezze della lana merinos sulla base del micronaggio dei diametri. AAA avrebbe indicato la extra fine da 14 micron e l’AB la fine da 25 micron. Allo stesso modo le lane croisé avrebbero assunto una numerazione romana, da I a VII (più o meno alla maniera dei sudamericani) per segnalare le “intermedie” da 27,5-30 micron fino alle “molto ordinarie” da 73 micron. Con questo criterio, secondo il professore, si potevano interconnettere i cinque metodi in uso senza gravi squilibri, lasciandosi alle spalle l’antiquata “misurazione” (di origine inglese) basata non sul dato metrico oggettivo da ricavare al microscopio, ma sulla deduzione del rendimento in filatura. In altre parole, si trattava di dare alla lana una “dignità” sua propria e non di assegnargliene una “ex post”, cioè limitata alla sua filabilità, che restava un altro parametro quanto mai aleatorio (anche solo tenendo conto della differenza di resa meccanica tra una macchina e l’altra). Nel biennio successivo si registrò un sostanziale nulla di fatto. Ma in occasione della Conferenza laniera internazionale di Parigi del 21-22 novembre 1928, “scesero in campo” il presidente della Federazione Laniera Internazionale, Maurice Dubrulle, il rappresentante della Camera di Commercio di Verviers, Joseph Duesberg (della nota casa meccanotessile HDB, Houget Duesberg Bosson) e Daniele Schneider (che della FLI era uno dei vicepresidenti e il coordinatore generale per il settore filature, e che, oltre alle problematiche sulla standardizzazione della finezza, si occupò anche di condizionatura e di normative doganali). L’alsaziano, tollegnese di adozione, puntava a far passare il principio della misura micrometrica che, se effettuata con strumentazione moderna, poteva garantire apprezzabili e condivisibili valutazioni.
La sua posizione era radicale: nessuna delle classificazioni applicate arbitrariamente dai singoli paesi o dalle singole filature poteva tradursi in standard. Si doveva pensare a una “scala nuova di finezze, basata sul diametro delle fibre”. Non era opportuno eliminare gli usi invalsi, ma lo era produrre un riferimento condiviso e unico, da affiancare come “traduttore universale” a tutte le altre metodiche e nomenclature già esistenti. Come lui la pensava il cavalier Lorenzo Valerio Bona (attivo a Carignano) e il compatriota dello Schneider, il filatore Engel. L’inglese Joseph Clay, esperto di materie prime, sostenne (guarda caso…) la superiorità del sistema inglese, mentre il tedesco Georg Schönbach si limitava a osservare “che è impossibile mettersi d’accordo sui limiti di filabilità delle lane” trovando d’accordo lo stesso Schneider. Il belga Duesberg, invece, riteneva più utile un approccio incentrato sull’uso specifico delle fibre. La sua relazione però non arrivò a una vera sintesi. Quindi tutto rimandato. A Bradford. Nella capitale inglese della lana greggia si ritrovarono di nuovo tutti i big del comparto. La conferenza iniziò il 28 novembre 1929.
La città dello Yorkshire ospitava il gotha della lana e la sera di quel giorno il vicepresidente Schneider fece alzare i calici per brindare alla “fratellanza” internazionale laniera sancita per la prima volta a Torino nel 1926 e ribadita nelle successive annuali conferenze. L’indomani si aprirono i vari tavoli e tra quelli più vivaci c’era quello della classificazione. Si partiva dalle relazioni Schneider e Duesberg dell’anno precedente. E ancora una volta fu il Regno Unito – nella persona di Sidney George Barker della British Research Association di Leeds, che aveva appena dato alle stampe un suo libro dal titolo Wool: A Study of the Fibre – a prendere le distanze dalla posizione italiana evidenziando quanto fosse fallibile la microscopia in ragione della ellitticità della fibra, cioè sottolineando che il dato microdiametrico non avrebbe dato riscontri sicuri. Il francese Marcel Ségard si schierò con il tollegnese che accolse il rilievo dell’inglese, ma precisò che “pur essendo ellittica la fibra, se si fa un gran numero di misurazioni del diametro, la media può essere assunta come indice della finezza”. La statura di esperto di Daniele Schneider era fuori discussione, e molti erano convinti della bontà delle sue idee, ma la diplomazia impose alla FLI di assumere un atteggiamento non troppo risoluto, per non rischiare una rottura per questioni di principio tra Inghilterra ed Europa continentale. Un classico. Tuttavia, Daniele Schneider, anche per il suo ruolo di capo della delegazione italiana, non rinunciò a esporre nel dettaglio i suoi divisamenti. Fu quindi presentata la “scala Schneider”. Il presidente della Filatura di Tollegno non aveva dubbi e non cedeva di un millimetro, anzi di un micron, rispetto alle sue convinzione confortate da una puntigliosa indagine sul campo e in laboratorio. “Io ho costruito una scala di 25 gradi che comprende le lane utilizzate nell’industria. Essa è in forma di progressione geometrica per ragioni evidenti […]. Io rappresento sul medesimo grafico i millesimi di millimetro che corrisponderebbero a questa scala. Ho cercato di indicare i punti nei quali verrebbero ad inserirsi le finezze francesi, inglesi e tedesche attualmente in uso. Per stabilire questi confronti, ho preso delle medie su campioni da pettinature, negozianti di pettinati ecc.”.
Il lavoro di Daniele Schneider aveva il merito di aver migliorato, se non altro in chiave grafica, la doppia tabella del professor Rinoldi (che senza dubbio conosceva), concentrandosi sulla sponda europea dell’Atlantico e riducendo il discorso a una specie di regolo calcolatore di facile impiego. Schneider non era più un ragazzino. Era nato a Mulhouse nel 1868 e in più di sessanta primavere aveva imparato a temere i tedeschi (che avevano occupato la sua Alsazia dal 1870 al 1918) e a diffidare degli inglesi. Con l’aria che tirava, non poteva illudersi che a Bradford si facessero piacere il frutto, per quanto buono, dell’intelligenza italica. “Non ho la pretesa di aver risolto il problema di una classificazione internazionale, ma di aver portato in contributo alla questione proponendo una prima base di studio”. In realtà la soluzione Schneider era più che valida, ma c’erano ostacoli insormontabili tra la sua “scala” e la sua applicazione effettiva. Quando morì, nel 1947, la Associazione Laniera gli tributò giusti onori e nel necrologio non dimenticò di segnalarne l’opera di unificatore. Ci aveva pensato la Storia a vanificare i suoi sforzi (con il crollo di Wall Street, le sanzioni economiche all’Italia, la Seconda Guerra Mondiale e tutto il resto), sebbene molte voci si fossero fatte sentire in suo favore. Con l’ultima guerra gli studi sulla classificazione non si interruppero, ma nessuno arrivò al livello di semplificazione raggiunto con la “scala Schneider”. La stessa Filatura di Tollegno dovette poi ripiegare su un quadro di rappresentazione comprensibile per una clientela abituata a destreggiarsi tra tante “lingue” diverse. Alcuni campionari tollegnesi riportano tabelle di ispirazione tedesca (cioè con lettere dalla AAA alla E, dalle migliori merinos alle più ordinarie “incrociate”), ma con espressi i limiti di filabilità, dove la tripla A (15-17 micron) poteva raggiungere il 2/100 in greggio e il 2/80 con fibre tinte, mentre l’EX, ossia la peggior “crossed” da 40 micron, dava fili con titoli metrici compresi tra il 20 e il 24 mila. Quanto questi numeri abbiano ancora un valore rispetto alle esigenze produttive e commerciali attuali è da verificare. Forse gli sforzi uniformatori di Daniele Schneider, dei suoi alleati e dei suoi avversari hanno fatto il loro tempo, ma quella stagione ha lasciato testimonianze storiche rilevanti e non pochi spunti di riflessione sulla necessità e sull’opportunità della ricerca tecnico-scientifica e della regolamentazione mercantile.