Francoforte, Biella, Pray, Cittadellarte, V2, Bozar… Tre campionari in viaggio
da "Eco di Biella" del 27 marzo 2023 [Danilo Craveia]
Questa è una storia di viaggio. Un viaggio nello spazio e nel tempo. Questo viaggio inizia a Francoforte sul Meno, quasi un secolo fa. I viaggiatori sono tre campionari di prodotti chimici per tintoria tessile, cotone e lana. I tre libretti, pieni di rettangolini di stoffa e di piccoli filzuoli che hanno mantenuto colori brillanti, adesso si trovano alla Fabbrica della Ruota, insieme ad altri 450 loro simili. Ma i tre di cui stiamo per raccontare la storia hanno viaggiato un po’ di più. Nel 2022 sono stati selezionati dall’artista Joshua G. Stein, un acuto e sensibile architetto statunitense residente presso Cittadellarte Fondazione Pistoletto. Scelti per diventare parte di un’installazione, dal titolo Dissolution|Reconstitution: Sediment as Cultural Heritage, cioè: “Dissoluzione/ricostituzione: il sedimento come patrimonio culturale”. La finalità del progetto artistico di Joshua era quella di tracciare come e perchè i sedimenti si muovono attraverso il paesaggio considerando l’acqua il vettore e valutando gli effetti di tale movimento (per lo più molto lento) nelle sue prossime e remote conseguenze.
I tre campionari e i sedimenti che hanno generato (qualcuno li avrà consultati per acquistare i prodotti chimici serviti per tingere fili e pezze nelle nostre fabbriche, cioè da quei quaderni commerciali è stato creato un residuo, un’acqua reflua che ha contaminato in qualche misura l’ambiente) sono stati integrati in un sistema di comunicazione emozionale e intellettuale concepito da Joshua che ha consapevolmente alterato la natura di quegli stessi oggetti. Ha impresso loro una inedita e inaspettata traiettoria storica, ne ha curvato il destino. Cambiare destinazione è un viaggio nel viaggio, cambiare destinazione d’uso lo è altrettanto. Mutare la funzione di un oggetto, il suo senso, anche questo è un viaggio. Significare è viaggiare. È portare qualcuno o qualcosa con sé, è condurre a un luogo, o a un non luogo, un significato. Modificare il significato vuol dire deviare dal viaggio iniziale. La visione di Joshua riqualifica la “destinazione d’uso” dei sedimenti, li riconosce come portatori di “una certa quantità di patrimonio culturale” e li nobilita come messaggeri. Ne cambia il viaggio e la percezione di esso. Questo è avvenuto anche con i tre campionari, riletti come segni di una sintassi nuova e loro estranea. Ma questa è solo l’ultima (triplice) tappa del loro viaggio. Sono nati a Francoforte sul Meno, in un momento imprecisato tra il 1925 e il 1945, ma è più verisimile che siano stati composti attorno al 1930. Si chiamano rispettivamente: I coloranti acidi, Tinte solide all’acqua di mare su filato di lana e Basische und janus farbstoffe auf baumwollgarn. I primi due predisposti per il mercato italiano, il terzo, oltre che per quello tedesco, anche per la Francia e l’Inghilterra. Uscivano, in chissà quante copie, dallo stabilimento della “I. G. Farben”, ovvero “Interessen-Gemeinschaft Farbenindustrie AG”, fondata nel 1925 da un “cartello” del più potente comparto industriale chimico del mondo, quello tedesco.
AGFA, BASF, Bayer, Meister Lucius und Brüning AG (che è oggi Sanofi-Avensis), la allora celebre Farbwerke Leopold Cassella & Co., tutti insieme. E non solo nella coloristica tessile, ma anche e, soprattutto, nella farmaceutica, nell’agro-alimentare, nella fotografia, nell’industria bellica e/o affini. Quelle aziende unite nella I. G. Farben non avevano rivali e non soltanto l’Italia dipendeva interamente da loro. L’unione faceva la forza e consentiva di mantenere il primato che le singole case avevano in parte perso durante la Grande Guerra, quando in altrove erano sorti dei competitor efficienti (come la A.C.N.A. in Italia). La I. G. Farben riconsolidava la supremazia della chimica teutonica, a tutti i costi. Le pagine web sul colosso di Frankfurt am Main mettono i brividi. La I. G. Farben era ad Auschwitz. Per certi versi era Auschwitz. L’Olocausto è stato anche un processo chimico. La I. G. Farben deteneva il brevetto del famigerato Zyklon-B e lo faceva produrre dalla ditta Degesch, sua controllata. Questa lunga digressione apre un’altra via, un’altra ipotesi di percorso, ma il viaggio di quei tre campionari segue un’orbita differente, pulita, inquinante e foriera di sedimenti senza dubbio, ma eticamente pulita, almeno in riferimento alla coscienza ecologica della prima metà del Novecento. Il loro cammino li porta a Biella o nel Biellese. Come? Uno degli opifici tessili in esercizio allora li ricevette per apprezzare la qualità e la validità dei prodotti campionati. Non ci sono timbri di agenti di commercio o di rappresentanti quindi la consegna deve essere stata diretta, per posta. Non è chiaro come, né perché, né quando i 450 campionari siano finiti nel sotterraneo della vecchia sede della Biblioteca Civica di Biella. Sono rimasti là sotto per decenni e si sono coperti di muffa e di polvere. Ed erano candidati ideali per uno scarto massivo e ampiamente motivato. Non è noto neppure il nome dell’opificio acquirente e neppure se la “collezione” sia stata formata da un unico soggetto originario. In ogni caso, quella raccolta è stata salvata dall’idea di “bene culturale” che è condivisa dalla Biblioteca Civica di Biella e dal DocBi Centro Studi Biellesi che, peraltro, alla Fabbrica della Ruota conservava già documenti similari (in vari fondi archivistici e, in particolare, in quello della Tintoria di Mosso). I tre campionari utilizzati da Joshua e tutti gli altri sono stati resi nuovamente consultabili e reperibili anche attraverso la piattaforma della Rete degli Archivi Biellesi. La nuova vita digitale di quei supporti è, a ben guardare, un altro possibile viaggio. Pubblicizzavano molecole antiche (come l’alizarina, il primo colorante a essere prodotto sinteticamente fin dal 1858) e altre di più recente scoperta. In quelle pagine le denominazioni scientifiche si fondono con quelle commerciali (sulfurodamina, sulfoflavina, chinolina, flavazina, tartralina, naftol, azofucsina, alizarincianina, Palatino, Metacromo, supranol, antracene, coloranti azoici (janus), toluidina, metile, rhodulina, auramina, euchrysina, chrisoydina, safranina…). Alcune di queste sostanze non esistono più (magari tossiche e perciò bandite): il loro viaggio è finito e ne rimane solo più una memoria labile. Altre sono tuttora in uso, ancora nella tintoria tessile, ma anche in campo medicale. La I. G. ha tolto tante vite. Ma le sue ricerche oggi ne salvano altre. Il dilemma etico sussiste.
I tre campionari hanno ripreso a viaggiare tornando a Biella. Il primo allestimento di Dissolution|Reconstitution è stato quello di Cittadellarte. Ma c’era ancora tanta altra strada da fare. Fino a Rotterdam. Nel V2 Institute for the Unstable Media, al civico 10 della Eendrachtsstraat. Sulla Street View di Google Maps si vede ancora il manifesto di “Water Works” e si legge il nome di Joshua G. Stein, che ha partecipato alla kermesse con la sua opera attinente all’acqua. E poi il Belgio. Nella riflessione proposta dall’artista, i tre “pezzi” prelevati dalla Fabbrica della Ruota dovevano indurre a re-immaginare “la Pianura Padana Occidentale come un territorio la cui idrologia è al tempo stesso diretta e composta da attività antropogeniche, sature degli aspetti positivi e negativi della cultura e dello sviluppo umani”. Joshua ha suggerito anche la visione complessa di una “geologia umana” generata o co-generata fino a poco fa senza una vera e propria consapevolezza, ma che oggi, ormai, deve essere intesa come fenomeno stratificato, oggettivo e misurabile. D’altro canto, il lavoro dell’architetto americano si è sviluppato nell’ambito delle residenze “S+T+Arts”, dove arte, tecnica e scienza si incontrano e dove la prima può anticipare e guidare le seconde. Belgio vuol dire Bruxelles. Il Bozar Centre for Fine Arts, rue Ravensteinstraat 23, ha accolto lo stesso scenario concettuale: dai campionari, eletti a simbolo della pratica tintoria, “colano” nell’alveo di un torrente ideale (in realtà l’Oropa e/o il Cervo) spesse bave di coloranti che marcano l’acqua e il territorio. Da lassù, di nuovo a Biella e finalmente nella Vallefredda di Pray, nell’archivio che li custodisce lungo le rive del Ponzone. Sono tornati uguali a prima, ma anche diversi. Hanno viaggiato e hanno diffuso un messaggio, loro stessi sedimenti culturali di un modo e di un mondo dell’industria che non esiste più, ma che non deve essere dimenticato. Il viaggio è finito? Chi può dirlo? Chi può dire in quale altra modalità potrebbero muoversi ancora?