I libretti di lavoro del Lanificio Trabaldo Pietro Togna
da "Eco di Biella" del 31 maggio 2021 [Danilo Craveia]
Fonte inusuale e straordinaria per la ricerca della storiografia contemporanea, i libretti di lavoro costituiscono ancora una tipologia documentaria non così considerata. Problematiche relative alla loro conservazione e alla gestione della privacy dei titolari dei libretti, hanno indotto le aziende a liberarsi di quei documenti. Spesso i libretti di lavoro sono stati eliminati insieme a molto altro materiale ritenuto, fino a ieri e purtroppo ancora oggi, del tutto inutile una volta terminata la sua funzione specifica. Tuttavia, per chi indaga il recente passato, soprattutto di una terra come la nostra “fondata su lavoro”, quei taccuini rappresentano una insperata occasione di studio. Apparentemente “muti”, i libretti di lavoro hanno, invece, storie notevoli da raccontare, tanto a livello individuale, quanto in termini sociali generali. Alla Fabbrica della Ruota è stato appena sistemato un piccolo giacimento di quei quadernetti. In un anno di impegno volontario, costante e meticoloso, Ina e Franco hanno analizzato e catalogato più di 600 libretti di lavoro (per la precisione si tratta di libretti di iscrizione alle casse mutue di malattia per lavoratori dell’industria) che un tempo erano pertinenti al Lanificio Trabaldo Pietro Togna di Pray. In altre parole, più di 600 storie di donne e di uomini che, per periodi più o meno lunghi, furono dipendenti della grande fabbrica valsesserina durante la prima parte del ‘900.
Tutti i documenti, che per ovvie ragioni contengono dati personali (ma non sensibili, né giudiziari), riguardano periodi anteriori ai quarant’anni previsti per la consultazione dei medesimi e per la diffusione dei dati rilevati, di fatto generici e non inerenti ad ambiti di tipo sanitario, sessuale o familiare riservato, si è osservato quanto previsto dalle vigenti “Regole deontologiche per il trattamento a fini di archiviazione nel pubblico interesse o per scopi di ricerca storica” del 2018. L’esito del lavoro archivistico è consultabile nel portale del Centro Rete Biellese Archivi Tessili e Moda (www.retearchivibiellesi.it), e su quello della Fabbrica della Ruota (www.fabbricadellaruota.it). Si tratta di un insieme di dati e di informazioni che consentono elaborazioni di vario tipo, ma è anche una raccolta di storie personali significative al di là del puro riscontro storico. Ogni libretto di lavoro riporta un sistema codificato di notazioni che consentivano di identificarne il portatore (di fatto il libretto di lavoro fu la prima forma di “carta d’identità”) dal cognome e dal nome (e dal cognome del marito per le donne coniugate), la paternità, la data e il luogo di nascita. Durante il Ventennio (la maggior concentrazione dei libretti di lavoro in esame risale a quel periodo) gli uffici provinciali della Federazione Nazionale Fascista delle Casse Mutue di Malattia per i Lavoratori dell’Industria rilasciavano libretti di iscrizione (obbligatori, ovviamente) a numerazione crescente ripartiti per provincia.
L’iscritto poteva avere familiari a carico, che andavano registrati per ordine, generalità e grado di parentela. A seguire i moduli per le assunzioni e i licenziamenti, che permettono di mappare nel tempo gli spostamenti del lavoratore. Rilevanti anche le registrazioni delle mansioni svolte. Come è prevedibile, i libretti hanno assunto differenti configurazioni, aggiungendo o modificando elementi di descrizione (infortuni, periodi di disoccupazione, indicazioni circa i salari ecc.) o di corredo, come riferimenti legislativi e normativi, a seconda anche delle diverse tipologie di libretti in corso di validità (il vero e proprio libretto di lavoro fu istituito dal Ministero delle Corporazioni solo con la legge N. 112 del 10 gennaio 1935). Alcuni libretti contengono anche fotografie degli iscritti e, spesso, si trovano tra le pagine fogli sciolti di varia natura che aiutano a ricostruire con maggior precisione il “mondo” in cui viveva la persona che ogni libretto tratteggia e tramanda ai posteri. La valutazione complessiva dei rilevamenti effettuati propone alcune letture di carattere generale che, per quanto localizzate sull’azienda di Pray, assumono valore statistico e storiografico ad ampio raggio. Prima di farne disamina occorre definire il perimetro cronologico. Come premesso, i libretti sono stati rilasciati nella prima parte del Novecento. Più precisamente tra il 1900 e i primi anni Settanta, ma con la massima densità nel periodo compreso tra la fine della Prima Guerra Mondiale e l’inizio della Seconda. Essendo, per lo più, il frutto di un’iniziativa fascista, non stupisce. Sotto il profilo anagrafico, invece, si riscontra il prevedibile sfasamento dovuto al fatto che i libretti erano intestati a lavoratori adulti o comunque più che adolescenti (dal 1934 il limite minimo di accesso al lavoro era stato portato a 14 anni, prima era 12). La data di nascita più remota è il 1876, quella più recente il 1939.
I taccuini della Fabbrica della Ruota sono equamente suddivisi tra donne e uomini, ma questi ultimi sono più “mobili”, cioè risultano più disposti a cambiare datore di lavoro, mentre le donne, per comprensibili motivazioni, sono più stanziali. Ovviamente, per entrambi i generi si possono segnalare eccezioni contrarie che confermano la regola. Attenzione, però, a non confondere la mobilità lavorativa con l’immigrazione. I titolari dei libretti del Lanificio Trabaldo Pietro Togna possono essersi spostati da una fabbrica all’altra più volte pur essendo originari e residenti a Pray o Crevacuore. Al contrario, un bellunese o una brindisina può risultare immobile e fedele al proprio posto di lavoro per tutta la vita lavorativa. La questione geografica, in effetti, merita un approfondimento. Naturalmente la componente più cospicua in termini quantitativi degli operai era locale. Il 75-80% risulta originario delle province di Novara e di Vercelli. Il dato sul novarese va interpretato con particolare accortezza, perché fino al 1927 la Provincia di Vercelli non esisteva, quindi erano “novaresi” anche i dipendenti di Pray, di Coggiola, di Ailoche ecc. Proprio Pray e Coggiola, con Pianceri (allora comune autonomo fino al 1928, quando fu assorbito da Pray). Molti i valsesiani e i triveresi. Ma è evidente che l’interesse più forte è per i “forestieri”. Per conoscerli si può procedere a concentrico. In prima battuta si nota come i novaresi veri e i vercellesi fossero molto ben rappresentati. Da Albano ad Arborio, da San Nazzaro Sesia a Novara, da Sizzano a Vercelli, da Villarboit a Casalbeltrame, non pochi furono coloro che “disertarono” la risaia per la filanda. In qualche caso si trattava di spostamenti che riguardavano parenti stretti (con una certa preponderanza per coppie fratello/sorella o comunque tra fratelli), ma il più delle volte si rileva che quelle migrazioni a corto raggio furono compiute da individui singoli. Il medesimo principio resta valido allargando il cerchio alle regioni viciniori. Il Biellese delle industrie tessili attirava uomini e donne dalla Bergamasca, da Padova (Montagnana, Sant’Urbano, Solesino, Vescovana), dal Vicentino (Conco, Crosara, Piovene, Schio), da Rovigo. E poi qualche bellunese e udinese. Ai veneti si affiancavano i toscani, con una piccola colonia proveniente da Bibbiena, e i pugliesi di Minervino Murge.
Ma il cerchio si deve allargare ulteriormente, perché l’opificio di Pray riuscì a richiamare in Italia anche alcuni italiani che erano nati all’estero. Secondo Giorsa e Maurizio Salbego arrivavano dalla Francia, senza migliori precisazioni, mentre Lucia Starobbo (cl. 1924) era di Valenciennes, Maria Piazza di Carentan (cl. 1925), suo fratello Alfonso di Caen (cl. 1928), Cecilia Cerri (cl. 1905) del Lussemburgo, Virginia Beccaro (cl. 1914) indicata come tedesca e Albino Beccaro del 1905, a sua volta tedesco, ma di Benel (luogo non identificato), un paio di svizzeri e poi Avenir Trocca di Delfino, nato nel 1911, aveva natali brasiliani. Giuseppe Rista, classe 1901, pone un piccolo interrogativo: sarebbe nato a San Rocco, in America. Questi dati descrivono uno stato delle cose su cui riflettere: questi “immigrati” non sono che italiani (spesso biellesi) che semplicemente ritornavano a casa. Figli di immigrati verso il mondo, si trovavano a dover emigrare verso la terra di origine alla ricerca di un futuro che il mondo non aveva dato loro. Certo, ogni uomo o donna iscritto alle Casse Mutue era una storia speciale e unica, ma la statistica non si occupa delle storie speciali e uniche. Questa è una storia meno nota di quella del grande flusso migratorio verso altri paesi, una storia di rientri che ha legato in un destino comune tante persone. L’archivio del Lanificio Trabaldo Pietro Togna testimonia questo “riflusso” ovvero, in controluce, una tenace attitudine alla mobilità, alla ricerca della propria strada e, più ancora, di un posto in cui vivere in relativa sicurezza. La vecchia patria, quella dei padri o dei nonni, era un’opzione e si poteva scegliere, forse, con maggior fiducia rispetto a un altro stato straniero. La trascrizione dei libretti permette anche di avere a disposizione un’altra tipologia di dati da considerare. In ogni libretto è riportata la mansione (o le mansioni, nei casi, piuttosto numerosi, in cui l’intestatario avesse “girato” più aziende differenziando le esperienze lavorative). Uno sguardo alla “tabella” rivela tutto lo sviluppo dei processi industriali lanieri. Il Lanificio Trabaldo Pietro Togna era uno stabilimento a ciclo completo e la serie dei libretti “copre” tutto il ciclo. Tessitrici e tessitori, filatrici e filatori, attaccafili e porgifili, follonieri, rammendatrici, “pinzin-e”, cardatori, cimatori, “apparecchiatori” (addetti alla preparazione della filatura). Quasi del tutto assenti i tintori (il che fa pensare che il reparto non esistesse e che la tintoria fosse gestita con terzisti). Mentre sono molto rappresentati i manovali (operai generici che si occupavano della manutenzione). Qualcuno si fa notare più di altri per la peculiarità dell’incarico. Secondino Torchio, classe 1904 nato a Granozzo (Novara), era l’assistente alla centrale elettrica, Alessandro Delvillani e Giovanni Bialetti, rispettivamente del 1877 e del 1878, il primo di Grignasco e l’altro di Mede (Pavia) erano gli autisti. C’erano poi sette “boscaioli” (che erano anche falegnami o solo taglialegna?), e c’era Abbondio Morello di Pianceri, il fuochista, Melchiorre Bignoli da Galliate, la guardia, vari “sceglistracci” e “sceglifilandre”, Alfredo Dosso di Postua era il sellaio, e alla via così. Quanto scritto sinora ha già messo in evidenza che, per non pochi degli uomini e delle donne documentati dai libretti, si potrebbero scrivere dei piccoli romanzi. Romanzi di vite vissute in forma di brevi o lunghissimi viaggi di cui si colgono solo le tappe principali. Ma ogni timbro sui taccuini prima di fermarsi a Pray svela un’altra esperienza, un’altra realtà, forse un’altra vita. Forto Bonvillo (si chiamava proprio così), trevigiano originario di Miane, era nato il 14 dicembre 1909.
Fu assunto al Lanificio Trabaldo Pietro Togna nel 1946 come manovale. Nei trentasette anni precedenti aveva imparato il mestiere in contesti assai diversi, ma tutti ossolani. Fu dipendente della Galtarossa, fabbrica meccanica di Domodossola (i fondatori erano veronesi e impiantarono lo stabilimento nel 1917 per produzione bellica), poi passò all’Impresa Umberto Girola nel cantiere della galleria di Preglia, quindi tornò a Domodossola sul libro paga della Società Dinamo e nel settembre del 1941 fu a Iselle di Trasquera, a ridosso del Sempione, operaio della Ing. Dario Moresco. Probabilmente la fabbrica di Pray gli appariva piuttosto piccola al confronto con le grandi infrastrutture presso cui aveva lavorato in precedenza. Alcuni suoi colleghi non avevano fatto giri così larghi. C’erano quelli che si erano spostati di pochi passi, dalla Bozzalla & Lesna o dalla Loro Totino, dalla Fila o dalla Tonella. Scostamenti minimi, forse indotti da qualche soldo in più in busta paga, o da momenti di “mola” nelle ditte di partenza. Sicuramente l’elenco di quelle aziende dimostra una progressione negativa: molte di quelle ragioni sociali non esistono più da tanto tempo e solo grazie a documenti come quelli in esame è possibile non obliarle del tutto. Luciano Venara, invece, da Ailoche (classe 1920), aveva iniziato il suo percorso lavorativo alla Ernesto Breda di Milano, poi alla Società Talco e Grafite Val Chisone di Pinerolo. Anche lui fu assunto a Pray nel 1946, come muratore. È facile comprendere che gli operai tessili furono i meno mobili, mentre quelli che svolgevano mansioni ausiliarie avevano più opportunità o necessità di spostamenti. A volte, però certi spostamenti non erano dettati da intenzioni o da volontà personali indipendenti, bensì dalle contingenze storiche. I destini minimi dei singoli entravano a contatto con i massimi sistemi degli eventi storici mondiali e poteva capitare che Primo Soardi, nato a Pianceri il 28 maggio 1901 fosse costretto a partire per la Germania nazista e a prestare, da operaio coatto deportato, la sua opera a Amöneburg nell’Assia, presso la Chemische Werke Albert AG, fabbrica chimica al servizio del Terzo Reich. Anche al bergamasco Enrico Rossi (cl. 1905) toccò la stessa sorte. Nel 1941 finì a Feuerbach, vicino a Stoccarda, per lavorare nei reparti della Theodor Kuhn Gmbh, un’azienda tessile anch’essa impegnata sul fronte delle commesse militari di Hitler. L’analisi dei libretti del Lanificio Trabaldo Pietro Togna è comunque appena cominciata. Gli “incroci” possibili nella banca dati sono ancora, in molti casi, da elaborare. Sicuramente il rapporto tra le informazioni singole potrà suggerire nuove interpretazioni e aprire nuovi filoni di ricerca. I documenti sono già tutti disponibili on line.