La lana di Borgosesia nella “Flotta gialla” dei Laghi Amari
da "Eco di Biella" del 2 settembre 2024
La storia della “Flotta gialla”, cioè delle navi imprigionate nel Great Bitter Lake tra il 1967 e il 1975 è davvero curiosa, ma poco nota. Vero è che non furono coinvolte imbarcazioni italiane, ma è strano che quella anomala situazione non abbia prodotto film hollywoodiani o qualche pellicola europea di qualità (però c’è un bel documentario di Al-Jazeera). La “Yellow Fleet” prese il nome dal colore che assunsero le navi coperte dalla sottile sabbia del Sahara. Mentre il mondo rischiava grosso di finire in una guerra totale e senza sopravvissuti, i marinai che si davano il cambio (i turni erano di quattro mesi) per vigilare sulle navi e sui carichi fecero di tutto per andare d’accordo e per vincere gli unici veri nemici comuni: il caldo e la noia. Sulle navi sventolavano bandiere inglesi, tedesche (dell’Ovest), polacche, cecoslovacche, svedesi, francesi, bulgare e statunitensi. Fondarono una bizzarra associazione, pregarono in un’unica chiesa allestita su uno dei bastimenti (la tedesca Nordwind), organizzarono olimpiadi (sulla britannica Port Invercargill si giocava a calcio, perché era la più grande), piazzarono un cinematografo (sulla bulgara Vasil Levsky), realizzarono francobolli (ufficialmente riconosciuti dall’Egitto).
Sì, certo, Borgosesia non è nel Biellese, ma abbondano le tracce storiche di una certa “appartenenza”, se non altro merceologica. E poi le carte da cui si trae questa storia sono conservate alla Fabbrica della Ruota che, invece, è in terra biellese. In ultimo, la vicenda è così singolare che si può perdonare lo sconfinamento. I fatti. A causa della Guerra dei sei giorni, nel giugno del 1967 l’Egitto di Nasser chiuse il canale di Suez per ostacolare gli israeliani. Alcune delle navi in transito, una quindicina, furono costrette a trovare riparo nel bacino dei Laghi Amari. Una di quelle imbarcazioni, tutte mercantili, era il cargo tedesco “Münsterland”, armato dalla HAPAG-Lloyd di Amburgo. La “Münsterland” fu costruita dal 1959 al 1960 come motonave da carico presso i cantieri Deutsche Werft di Finkenwerder, cioè ad Amburgo. Il 7 gennaio 1961, la nave, appartenente alla classe Saarland, salpò per il suo viaggio inaugurale diretta in Australia. Avrebbe svolto il servizio di lungo corso dall’Oceania all’Europa. Il 5 giugno 1967, la “Münsterland”, agli ordini del capitano Karl Hoffmann, si trovò suo malgrado in mezzo a una guerra che si stava combattendo tra il Sinai e l’Egitto. Dal canale di Suez non si poteva più uscire. La guerra durò sei giorni, la sosta nel Great Bitter Lake durò otto anni. Il 7 maggio 1975, il bastimento poté lasciare i Laghi Amari e raggiungere Amburgo il 24, dopo sette anni, 11 mesi e 2 giorni, stabilendo il record mondiale di durata di un viaggio commerciale via mare.
Ma perché la rocambolesca avventura di quella nave (che fu rimessa in sesto e continuò a solcare le onde in Estremo Oriente fino al 1984) è così interessante? Perché nella sua stiva c’era 349 balle di lana australiana destinate alla Manifattura di Lane in Borgosesia. Eppure, quegli otto anni di attesa e tutte le intricate vicende geopolitiche succedutesi in quel periodo, non ultima la guerra dello Yom Kippur del 1973, non furono che l’inizio di una storia nella Storia. Protagonisti furono, da una parte la Manifattura di Lane in Borgosesia che, nel 1974, veniva acquisita dalla Zegna Baruffa (mentre la parte immobiliare del suo ingente patrimonio passava in gestione alla Borgosesia S.p.A.), dall’altra una serie di figure e di ragioni sociali più o meno interessate a risolvere una questione internazionale non di lana caprina, bensì di greasy wool di un certo valore. Procedendo in ordine cronologico: il 24 maggio 1975 getta l’ancora ad Amburgo. Il suo carico riguarda circa 700 destinatari/proprietari. Da Borgosesia, supponendo che otto anni di salsedine dovevano aver danneggiato le 349 balle, comunicò a chi stava gestendo l’affare di non voler ritirare la lana, ma di essere intenzionata a venderla al miglior offerente. Tanto più che, per la perdita di 102 delle suddette 349 balle, stivate con accordi CIF, ossia Cost, Insurance and Freight (costo, assicurazione e nolo), era già stato corrisposto il previsto risarcimento da parte delle due case di importazione da cui l’azienda sesiana le aveva acquistate (Grandjean-Hauzeur di Verviers e Simonius Vischer di Basilea). Per le restanti, la polizza sottoscritta con la compagnia Generali al momento dell’imbarco da Newcastle, Sydney e Melbourne, aveva avuto il suo esito. Le Generali avevano pagato alla Manifattura di Lane in Borgosesia circa 32 milioni di lire nelle prime settimane del 1969. Ma, visto che il carico non era andato perduto, c’era l’opportunità di recuperare una parte del valore e di girarlo alla suddetta compagnia di assicurazione, in modo che non subisse un inutile danno. Le 247 balle da definire erano state vendute ai sesiani dalla Jacques Segard & Co. Ldt di Bradford (92), dalla Anselme Dewavrin Fils & C.ie di Melbourne (55) e dalla Delano Wool S. A. di Basilea (100). Una volta che, grazie alla diplomazia di Sadat, il canale di Suez era stato riaperto, il meccanismo di liquidazione dei danni si era messo in moto ben prima che la “Münsterland” attraccasse ad Amburgo.
L’uomo che doveva occuparsi della spinosa ripartizione di quanto restava nelle stive della nave era Otto Plön, spedizioniere amburghese con provata esperienza in “avarie” di quel tipo. L’esperienza, però non equivale alla trasparenza commerciale… Da Borgosesia, anche per tramite della ditta Avandero che avrebbe dovuto curare il trasporto da Genova (se il cargo fosse giunto lì nel 1967), furono scritte alcune lettere alla volta di Herr Plön, ma senza esito. Nell’autunno del 1975, anche grazie alle informazioni assunte in via indiretta dalla Borgosesia S.p.A., fu assodato che l’asta si era effettivamente tenuta, ai primi di agosto, e che, in linea teorica, il ricavato della vendita doveva essere già da tempo versato agli aventi diritto. L’Associazione dell’Industria Laniera Italiana, interpellata in merito, glissò e consigliò alla Borgosesia S.p.A. di rivolgersi all’ICE Istituto Italiano per il Commercio Estero avente una sede ad Amburgo. Il 15 dicembre, più volte sollecitato, si fece vivo tale Herr Schuster della HAPAG. L’armatore si dichiarò costernato per tale inspiegabile ritardo. Vista da Borgosesia la situazione era doppiamente fastidiosa: non c’erano riscontri alle missive spedite a Otto Plön e non c’erano cifre, ossia non era noto l’importo incassato all’asta. La pressione sul curatore si fece più forte all’inizio del 1976. Dapprima l’amburghese si negò facendosi dichiarare in vacanza poi, messo alle strette, cominciò un balletto epistolare fatto di richieste di chiarimenti e di cavillosi rilievi di inezie burocratiche, finchè, l’8 marzo 1976, scrisse che non avrebbe pagato se non il 60% della somma introitata con la vendita di agosto. La differenza, depositata su un conto fiduciario insieme alle identiche quote di tutti gli altri danneggiati (un gran bel gruzzolo!) doveva servire per risarcire la HAPAG delle ingenti spese di manutenzione della nave mentre era ormeggiata nel Great Bitter Lake. In gergo tecnico si diceva “avaria comune”. D’altro canto, non era colpa della HAPAG se i paesi arabi e Israele avevano deciso di farsi la guerra. Il carico poteva colare a picco, e invece si era salvato e i beni trasportati erano stati consegnati ai legittimi proprietari o ripagati (in parte), senza contare gli indennizzi delle assicurazioni. E tutto per la buona volontà della HAPAG che, però, non voleva rimetterci più del dovuto. A Borgosesia quel Plön era sempre più simpatico. E restava da capire quali e quante erano state effettivamente quelle spese, come erano state computate e da chi. Il tempo passava e i denari fermi ad Amburgo fruttavano interessi per la HAPAG e per Plön, di sicuro non per la Borgosesia S.p.A.. Il 6 aprile, l’amico Plön non potè procrastinare oltre e dovette dichiarare che il prezzo venduto all’asta era stato di 115.000 marchi (40 milioni di lire, il che significa che quella lana deteriorata da otto anni di salsedine valeva il 20% in più di quando era stata acquistata appena tosata!) e che il 60% di quella cifra corrispondeva a 65.000 marchi (23 milioni). Quaranta giorni dopo, previo ulteriore sollecito, Plön versò la somma indicata.
A quel punto, non fosse altro che per principio, la Borgosesia S.p.A. volle ricevere anche gli interessi decorsi da dieci mesi di giacenza di quei soldi ad Amburgo. Nuovo giro di danze, con Plön evasivo e vittimista. Lui era solo l’ingranaggio di una macchina ben più grande e minacciosa, con sede a Londra. Incalzato da Borgosesia, consigliò di accontentarsi, anzi segnalò che, se da Londra fosse stato stabilito che quel 40% defalcato per le spese della HAPAG non fosse stato ritenuto sufficiente, c’era il rischio che la Borgosesia S.p.A. (e gli altri risarciti con la vendita all’asta) avrebbe dovuto cedere una porzione di quanto già avuto. Sempre meglio! Ma in Valsesia la testa è dura: o gli interessi, o le vie legali. Plön garantì un pagamento, senza specificare se parziale o totale, per la metà del 1977. Ma, ovviamente, non accadde nulla. Nel 1978 uscì allo scoperto la finanziaria inglese che stava manovrando nell’ombra fin dall’inizio (figurarsi se non c’entravano gli inglesi che, a Suez, erano i veri padroni di casa). Richards Hogg Overseas International. Fino a qualche anno fa era ancora attiva. Nome suggestivo che, però, non impressionò i valsesiani. Tennero la barra dritta. Il 31 dicembre 1981, Otto Plön offrì 608 marchi per chiudere la partita. Non erano neanche la metà degli interessi dovuti, ma era ora di cessare le ostilità, non dopo sei giorni, ma dopo sei anni.