L’ingegner Mario Battista Benedetto, un Rivetti poco noto
da "Eco di Biella" dell'8 gennaio 2024
Non è chiaro perché ai due figli il padre, Ottavio Gregorio Rivetti (classe 1857, morto al Favaro nel 1914), abbia voluto dare lo stesso nome. Benedetto Battista Mario, “Mario”, il primogenito, e Benedetto Carlo Maria, “Benedetto”, il secondogenito. Così, per complicare la vita ai genealogisti e agli storici… Certo, il nonno materno era Benedetto Gatti, però… Benedetto Carlo Maria (1888-1934) non ebbe né sposa né discendenza, mentre Benedetto Battista Mario (1886-1955) impalmò Margherita Lefkowitsch, ossia Lefkowitz, ai primi di gennaio del 1918. La moglie era una parigina di origini rumene, probabilmente di antica stirpe ebraica convertita. Da Rita, morta nel 1964, ebbe almeno quattro figli. Due morirono in fasce (il dato lo fornisce Ugo Mosca nel suo terzo volume storiografico sulla Biella del Novecento dedicato alla dinastia dei Rivetti), mentre il primo nato, dottor Ottavio (1919-1975), proseguì la discendenza di una generazione. Da lui e dalla consorte, Rosa Pia Monga (mancata nel 2008), è nata Maria Rita. Figlia di Benedetto Battista Mario Rivetti è anche Clelia (come la nonna paterna), andata in moglie a Carlo del Carretto, marchese di Gorzegno e di Moncrivello. In questo modo si è sviluppata e conclusa la linea dei Rivetti del Favaro.
Poco nota è la figura di Benedetto Battista Mario Rivetti, citato appena nelle generose biografie dedicate ad altri membri di una delle più rilevanti dinastie imprenditoriali biellesi del Novecento. Nessun profilo specifico lo riguarda, per quanto ne meriti uno ancor più circostanziato di quello offerto qui di seguito. Nato a Biella il 4 gennaio 1886, cugino di primo grado dei più noti Oreste, Ermanno e Guido Alberto, fu avviato agli studi tecnici per entrare quanto prima nell’impresa di famiglia. Già diplomato in ingegneria chimica presso la Scuola di Mulhouse tra il 1910 e il 1912, nell’aprile del 1913, conseguì una seconda laurea in chimica presso l’Università di Tolosa. La tesi, in francese, incentrata sulle proprietà coloranti di alcuni derivati dal solfo-benzene e degli acidi solfonici aromatici, fu pubblicata in quello stesso anno. Già nel 1910, durante gli studi in Alsazia, si era fatto conoscere recensendo, per “La Tribuna Biellese”, un libro scritto da Romolo Buratti ed edito a Basilea, dal titolo Aperçus tintoriques sur l’art de la teinture à travers les siècles. Appassionato di tecnologia, tornato a Biella, nel 1914 installò nella sua villa del Favaro una stazione radiotelegrafica (smantellata quasi subito perché, nel clima di belligeranza imminente, ritenuta “clandestina” e pericolosa). Durante la Grande Guerra fu un attivo filantropo. Non prese parte direttamente al conflitto, ma mise a disposizione quella stessa villa per la convalescenza di almeno 25 ufficiali feriti. Si prodigò sul fronte interno, soprattutto nell’ambito della Croce Rossa Italiana, fornendo personalmente decine di letti ospedalieri attrezzati. E non mancò di contribuire al miglioramento delle condizioni di vita dei favaresi con ampie elargizioni a favore dell’asilo infantile. Sarà anche stato paternalismo e un modo facile per mettersi in pace la coscienza, ma c’erano molti che neppure pensavano di dover restituire qualcosa a chi combatteva al posto loro. Il suo atteggiamento fu, invece, percepito come sincero e Mario Rivetti fu stimato anche dai severi critici socialisti che, ovviamente, non tolleravano esentati senza giusta causa e imboscati. Tutto si può dire, ma non che Mario Rivetti sia rimasto in disparte “pagando” la sua condizione con un po’ di beneficenza a buon mercato. Anzi, proprio durante la guerra avviò progetti di notevole prospettiva sociale. Il primo riguardava la silvicoltura nell’area dell’antica abbazia di San Giacomo della Bessa (da quelle parti c’è il Rifugio degli asinelli). Alla fine di marzo del 1916 acquistò un vasto appezzamento di terreno e dispose affinchè il floricoltore Arturo Dubois vi piantasse 10.000 alberi per ripopolare il bosco depauperato dagli abbattimenti dovuti alle necessità belliche e per dare lavoro ai disoccupati di Sala Biellese. La stessa area, un anno più tardi, fu sede sperimentale per la coltivazione della barbabietola da zucchero, ma l’iniziativa più rilevante presa in quei mesi drammatici fu quella di istituire a Mongrando una scuola popolare mandamentale di taglio professionale.
Nell’ottobre del 1917 fu il medesimo Mario Rivetti a essere scelto per acclamazione quale direttore del nascente istituto. Nell’aprile del 1918 furono premiati i migliori disegni tecnici eseguiti dagli allievi. L’esperienza mongrandese aveva convinto Mario Rivetti e non pochi altri della necessità di una scuola agraria biellese. In effetti, dai tempi del podere sperimentale di Sandigliano degli anni Quaranta dell’Ottocento, non si era più pensato all’agricoltura, ma solo all’industria. I biellesi dovevano “dimenticare” i campi per farsi tutti operai e tecnici dell’industria? Il 7 agosto 1918, con la guerra quasi finita, su “La Tribuna Biellese” si leggeva: “La Federazione Agraria Biellese ha recentemente nominato nel proprio seno una Commissione perchè studi l’impianto d’una Scuola teorico-pratica di agricoltura. La Commissione composta di membri volonterosi e competenti, quali il Rev. D. Berck, il Cav. Rota-Zumaglini ed il Dottor Mario Rivetti, informandosi al savio concetto che gli studi migliori son quelli basati sui fatti e non sulle sole induzioni, s’accinge ad assolvere il proprio mandato visitando gl’istituti analoghi già esistenti in Italia, fra cui uno dei migliori è quello di Brescia. L’iniziativa della Federazione Agraria merita lode ed incoraggiamento. La Scuola in questione renderà senza dubbio un segnalato servizio al nostro Biellese, il quale, mentre industrialmente può andar orgoglioso d’esser chiamato la Manchester d’Italia, sotto l’aspetto agricolo dà molto meno di quanto potrebbe e dovrebbe dare. Una infinità di prodotti agricoli di cui finora fummo tributari a zone vicine e lontane, potremo ricavarli con generale vantaggio dalle nostre terre con una coltivazione intensa e razionale”. La situazione socio-politica degli anni immediatamente successivi non permise l’attuazione del progetto. Intanto, quella di Mongrando continuava a funzionare e, nel 1919, ne fu aperta una anche a San Giacomo del Bosco. Questo perché, in quell’anno, Mario Rivetti aveva rivolto anche alle baragge di Brusnengo e di Masserano le sue meticolose attenzioni. Si trattava di una scuola elementare rurale, a servizio delle famiglie dei coloni che coltivavano i terreni scelti dall’imprenditore per le sue colture sperimentali (per lo più barbabietola da zucchero, su superfici notevoli: quattromila giornate solo in territorio di Masserano) in almeno tre “poderi modello” nei dintorni della frazione Sant’Antonio. Supportato da professionisti come Quinto Aragnetti e Luigi Giacosa, Mario Rivetti si dimostrò un pioniere e un costruttore di un nuovo paesaggio non solo agricolo, ma anche forestale. Fu tra i più convinti “rimboschitori” di quel momento storico. Non solo a Sala Biellese, ma anche in altre aree del Biellese (anche a Cossila-Favaro e a Pollone, dove mille abeti furono da lui destinati al colle di San Barnaba nel 1933). A Sala Biellese, però, l’ingegnere chimico si impegnò maggiormente favorendo l’introduzione delle conifere. Nel 1941 la “sua” pineta copriva ormai 42 metri quadrati. Nel 1928, Mario Rivetti era stato nominato commissario prefettizio e poi podestà proprio di Sala Biellese. Divideva quell’impegno con quello di responsabile del Partito Nazionale Fascista per la colonia montana “Pietro Micca” che si teneva a Mosso S. Maria (un tempo si chiamava “Fra Dolcino”, ma nel 1927 le era stato assegnato un nome meno… socialista). Dal 1941, Mario Rivetti volle attivare all’ombra della pineta di Sala Biellese una nuova colonia montana, dedicata al padre Ottavio, per i piccoli biellesi. Anche in questo caso, data la situazione generale, l’intento filantropico non ottenne i risultati voluti. Quelli tra il 1920 e il 1940 furono vent’anni di febbrile attività. Promotore del turismo scolastico, presidente onorario dell’UEOI Unione Escursionisti Operai Italiani, inauguratore del rifugio alpino in memoriam del cugino Alfredo nel 1921, cittadino onorario di Masserano (da “La Tribuna Biellese” del 15 agosto 1920 si apprende che i comuni del Mandamento di Masserano, per il suo interessamento “alla causa agricola della bonifica baraggiva gli offrivano una lapide, con squisito pensiero, che venne murata nella prima casa colonica costrutta nella baraggia”. Chissà se quella lapide esiste ancora?), cavaliere della Corona d’Italia per meriti agricoli, inventore di un antiparassitario (brevettato nel 1930 come “MR 42”, fu premiato con gran diploma d’onore e medaglia d’oro alla Mostra Fiori-Frutticola di Sanremo del 1932), sostenitore della costituzione di una cooperativa biellese per il commercio della frutta e della verdura, istitutore di cospicue borse di studio, animatore tra i più vivaci della cittadina Società di M. S. ed Istruzione tra Commercio e Arti Belle (sodalizio previdenziale e didattico nato nel 1865), di cui fu presidente dal 1919 al 1930…
Si dichiarò liberale fino all’ultimo, fino a che fu possibile farlo senza incorrere nelle ire dei fascisti, poi si allineò al regime pur rimanendo piuttosto lontano dall’adesione conclamata di altri suoi parenti. Sicuramente non fu uomo di fabbrica. Ebbe qualche ruolo marginale in seno alla Associazione Laniera, ma il suo cuore batteva al ritmo lento della campagna, non a quello forsennato dei telai. Quando si fermò, il 1° agosto 1955, nessuno pianse quel cuore come quello di un santo, ma la sua figura non mostra particolari macchie, anzi sembra quella di una brava persona e valeva la pena di evocarne i tratti poco conosciuti.