Mister Carlo Trossi, l’uomo di Bradford a Vigliano Biellese
da "Eco di Biella" del 13 febbraio 2023 [Danilo Craveia]
Carlo Trossi muore nel 1927, il 3 gennaio. Aveva settantanove anni. Da tempo viveva all’Ardenza di Livorno. Nel 1922 aveva perso il figlio, Felice, in un incidente d’auto. Grand’Ufficiale della Corona d’Italia e Cavaliere del Lavoro, fu sicuramente tra i protagonisti della storia dell’industria tessile biellese e italiana. E fu riconosciuto tanto geniale imprenditore quanto illuminato filantropo. Nei necrologi si legge: “Nel Castello di Gaglianico da lui acquistato al sorgere del nuovo secolo, tentava l’esperimento di un modernissimo stabilimento avicolo, che fornì per anni apprezzati prodotti alla nostra regione. Ed a Gaglianico Carlo Trossi donava il bell’edificio ove sorge l’Asilo Inf. – dedicato al suo nome – e il suo nome legava a tante opere benefiche”. A Vigliano Biellese aveva edificato il villaggio operaio “che coronava tutta una serie di provvidenze sociali dal Trossi volute per i suoi dipendenti”. Alla morte del figlio “trovò conforto all’immane dolore in una esemplare grandiosa opera benefica dotando l’Ospedale di Biella del Padiglione Felice Trossi che contiene i più recenti e perfezionati sistemi di cure fisiche, radiologiche, elettriche, idroterapiche ecc.”. Migliaia di persone e cinquanta bandiere lo accompagnarono alla tomba di Oropa.
La chiamavano “la fabbrica degli inglesi”. Era la Pettinatura Italiana Limited, dalla quale, il 15 settembre 1916 nacque la Pettinatura Italiana di Vigliano. La Limited fu fondata il 7 aprile 1905, molto lontano da Vigliano Biellese, ed è cessata tra il marzo e l’aprile del 1916. Una dozzina d’anni di attività che hanno profondamente mutato la realtà e le prospettive dell’industria tessile laniera biellese, e non solo. Quella breve, ma importante esperienza imprenditoriale e produttiva è interessante, e non solo perché i capitali per avviarla non erano né nostrani né italiani. Ci furono precondizioni che vale la pena di indagare, anche per precisare alcuni aspetti non così nitidi di quella bella storia che, per certi versi, è stata tramandata con con un po’ di approssimazione. Certo, “la fabbrica degli inglesi”, ma perché? Chi erano quegli inglesi? E, soprattutto, come andarono le cose quando un piccolo industriale, com’era Carlo Trossi allora, ebbe modo di entrare in un giro d’affari internazionale? Il fatto è che bisogna partire proprio da lui, che nel 1905 aveva già 57 anni e che aveva già visto tanta vita e tanto mondo. Carlo era figlio di Giuseppe Trossi, nato a Pinerolo nel 1806. Primo segretario di Vittorio Emanuele II, il vecchio Trossi, quando morì nel 1867, aveva intessuto una solida rete di rapporti nelle varie corti europee. L’amicizia con il console italiano a Parigi permette al ventunenne Carlo di lasciare gli studi e di farsi assumere da un commerciante di tessuti nella capitale francese. Nel 1869 è a Verviers per imparare le lavorazioni laniere. Nel 1870 combatte nella guerra franco-prussiana. Torna nella natia Torino l’anno dopo e apre un ufficio di rappresentanze commerciali (per lo più materia prima e sottoprodotti lanieri). Nel lustro successivo stabilisce legami sempre più forti con il Biellese che si stava industrializzando. Apre un ufficio a Biella. Nel 1882 entra in società con Agostino Agostinetti e Virginio Ferrua per l’esercizio di un opificio dedicato alla carbonizzatura di lane gregge e di “meccaniche”, lavatura e garnettatura (sfilacciatura dei cascami e cardatura) in quel di Vigliano Biellese. I soci di Carlo Trossi sono due terzi della ditta Agostinetti Rosazza Ferrua di Tollegno. La produzione nello stabilimento di Vigliano Biellese è destinata ad alimentare le filature allora attive in questa parte di mondo, cioè quelle del cardato. Il sodalizio si scioglie nel 1886. La fabbrica resta a Carlo Trossi come locatore. Nel 1890 diventa proprietario. Ma il suo business non era soltanto quello della sgrossatura delle fibre prima della filatura. Carlo Trossi era stato ed era rimasto un rappresentante. Questa è la principale precondizione alla rilevante parentesi che si aprirà poi nel 1905. Lane di varia provenienza, scarti, ma anche macchinari. Nel 1889 La C. G. Haubold di Chemnitz, famosa per i suoi leviathan (grandi “mostri” meccanici impiegati per il lavaggio), aveva domicilio in Biella presso Carlo Trossi.
La casa Longtain di Verviers, specializzata in macchine per finissaggio, aveva in Carlo Trossi il suo uomo nel Biellese. Così anche per Robert Centner, pure di Verviers, di cui Carlo Trossi fu dipendente molti anni prima, mentre “studiava” la lana. Nel 1895 la rappresentanza si trasformò in una vera e propria società che terminò otto anni più tardi. Nell’estate di quel 1903 l’imprenditore, ormai biellese d’adozione, fu tra coloro che festeggiarono nella città belga il cinquantesimo anno di costituzione della maison Centner, fabbrica di carde tra le più note al mondo all’epoca. E poi c’erano gli inglesi. La John Sykes & Son Ltd, “ironfounders and woollen machines makers” (fonditori in ferro e fabbricanti di filatrici per cardato) di Huddersfield, la concorrente Joseph Rodhes di Leeds e, soprattutto, la George Hodgson di Bradford, celebre azienda costruttrice di telai che Carlo Trossi rappresentava nel Biellese fin dal 1888. In quell’anno la ditta britannica fece dono di alcuni suoi macchinari alla Scuola Professionale di Biella per tramite del suo agente di commercio nel Biellese.
Quindi Carlo Trossi aveva già di suo un raggio d’azione piuttosto ampio, sicuramente mantenuto e ampliato con frequenti viaggi all’estero. Il suo orizzonte era di certo più largo di quello dei suoi clienti medi biellesi, ma questo derivava anche da quel suo essere stato, in gioventù, un “cittadino del mondo” ben più di quanto potevano esserlo stati coloro cui proponeva materie prime, ausiliari tessili e macchinari di produzione straniera. Tale posizione di privilegio lo metteva in condizione di vedere prima e più lontano. Ragion per cui, nel marzo del 1907, costituirà una società con Pietro Calliano, Enrico Bozzalla, l’ing. Enrico Bellimbau, e Gregorio Reda, azienda finalizzata alla condizionatura della lana. Quello sarebbe stato “il primo stabilimento del genere impiantato in Italia […] L’idea dell’impianto di questo stabilimento è venuta al cav. Carlo Trossi al quale va quindi attribuito il merito di questa utile e moderna iniziativa”. L’opificio entrò in funzione nella fabbrica di Vigliano Biellese dove, dal 1905, operava già un’altra realtà pioniera in Italia, quella della pettinatura della lana. La “fabbrica degli inglesi”. Prima di quella data non esistevano stabilimenti di pettinatura conto terzi. Alcune ditte avevano allestito al proprio interno reparti per pettinare le fibre necessarie alle ditte medesime (dal 1887 la Primo Sormano di Sordevolo, poi a Tollegno, Borgosesia e Grignasco), ma a nessuno era venuto in mente di avviare un opificio specializzato che lavorasse in grande quantità su commessa. Nel 1884, in occasione della Esposizione Generale Italiana di Torino, quella della filatura pettinata era stata definita una “industria bambina” e, da allora, non era cresciuta di molto. Tutt’altro che “donna fatta”, la filatura pettinata nel Biellese (e in Italia) del primo Novecento era ancora in larga misura vincolata alle importazioni. Chi voleva filare e tessere col pettinato doveva rivolgersi all’estero, con tutto ciò che l’importazione comportava. La “leggenda” (riportata da Mario Sodano e richiamata da altri) vuole che, nel 1904, un certo James Hill (1849-1936) da Bradford fosse in visita nel Biellese. Hill era il pezzo grosso dei pezzi grossi del commercio laniero della cittadina dello Yorkshire occidentale. Quando si rese conto delle qualità dell’acqua biellese, capace di lavare molta lana con poco sapone, intravide la possibilità di un business. Carlo Trossi, che ci vedeva anche meglio, il business ce l’aveva già tutto chiaro davanti agli occhi. Da quell’incontro sarebbe nata la “Pettinatura Italiana Limited”. Ma…
Il “ma” non è avversativo, piuttosto discorsivo, perché i documenti d’archivio non contraddicono la “leggenda”, ma ne ridisegnano la sagoma. A partire dal fatto che, nell’atto costitutivo della società a responsabilità limitata, James Hill non compare. Come non compare Carlo Trossi. Mario Sodano, nei suoi appunti sulla “Pettina” (Fondo Mario Sodano, Fabbrica della Ruota, DocBi Centro Studi Biellesi), dattiloscriveva di quote azionarie ripartite tra i due, ma se ciò avvenne, è avvenuto dopo la sottoscrizione della costituzione in quel di Bradford, nello studio degli avvocati Wade, Bilbrough, Tetley & Co. Come detto, era il 7 aprile 1905 e tre giorni dopo la società fu “incorporated” a Londra. Le carte originali (e le copie tradotte dal consolato italiano) attestano che James Hill è entrato ufficialmente in gioco solo dopo e la sua firma si riconosce solo sulla nomina di Carlo Trossi quale rappresentante incaricato di “condurre i nostri affari nel nostro stabilimento di Vigliano Biellese”.
Era il 15 febbraio 1906. I “nostri affari” nel “nostro stabilimento”. Non c’erano ambiguità, anche se i muri restavano di Carlo Trossi, ma tutto ciò si muoveva all’interno di essi, fossero uomini, animali e cose, così come tutto ciò che stava fermo nei magazzini del greggio e in quelli del prodotto finito, era della “Limited”, ossia inglese. James Hill appone il rinomato suo autografo accanto a quello di Arthur Hentzen in calce all’incarico conferito a Carlo Trossi. Erano i due “directori”. Anche Hentzen non è tra i sottoscrittori dell’atto costitutivo, eppure si trattava di un altro nome altisonante nel commercio laniero internazionale. I “directori” agivano in totale libertà, più da amministratori delegati che da subalterni. E furono proprio loro a nominare Carlo Trossi. A questo punto facciamo una pausa. Fermiamo le macchine giusto il tempo di arrivare a lunedì prossimo.