Ne “L’Italia nell’America Latina” il Biellese è di cotone
da "Eco di Biella" dell'18 marzo 2024
Ne “L’Italia nell’America Latina” si legge che, al cambio di secolo, “l’industria più importante dell’Italia è quella della seta. Le esportazioni di seta sono salite da lire 341 mila a lire 520 mila nel 1899. Nel 1904 il mercato serico di Milano strappava a Lione il primato mondiale. L’Italia contribuisce con circa un quinto a tutta la produzione mondiale della seta”. Se si aggiungono i dati sul cotone di cui sotto, cambia la prospettiva rispetto alla produzione laniera biellese di allora. “Dal 1861 fino al picco del 1929 il volume dell’export in Italia (misurato in dollari ai prezzi del 1913) è cresciuto a un ritmo medio annuo del 2,9% (quasi il 600%), superiore a Francia (il 2,7%), Spagna e Regno Unito (entrambe il 2,1%), e inferiore solo alla Germania (il 3,4%)” (dati Istat). Da quella crescita impressionante la lana era del tutto esclusa. Il Regno d’Italia la importava, ma ne esportava (lavorata) una frazione infinitesima. La forza dell’esportazione nazionale, anche verso l’America Latina, si fondava su altre merci. Per il Biellese non era di certo una condizione ideale. Tale situazione esalta il “miracolo” della manifattura laniera biellese del primo Novecento.
Pubblicata nel 1906 per iniziativa del genovese Ernesto Trevisani (stampata a Milano dalla STEP Società Tipografica Editrice Popolare), L’Italia nell’America Latina è un’opera di difficile inquadramento editoriale. Il sottotitolo aiuta, ma fino a un certo punto: “Per l’incremento dei rapporti industriali e commerciali fra l’Italia e l’America del Sud”. A mezza via tra il catalogo e la rivista di settore, suddivisa in compartimenti merceologici ben definiti, L’Italia nell’America Latina conta 950 pagine (quasi tutte bilingue, italiano-spagnolo), con numerose illustrazioni. L’idea era nata nel 1904 e ci vollero due anni per arrivare a quella pubblicazione che mirava “ad espandere la potenzialità economica del nostro Paese, a fare apprezzare e favorire le sue rigogliose, giovanili, laboriose forze, tacitamente collegate, per far risorgere ed ingigantire un passato commerciale tanto glorioso, convinti che ognuno debba portarvi il contributo delle sue forze, noi siamo venuti nella determinazione di pubblicare un’opera artistica industriale nella quale, con razionale e pratico metodo, siano esposte tutte le notizie e i dati diretti a promuovere, incrementare ed assodare i rapporti commerciali e gli scambi fra l’Italia e l’America Latina…”. Un’America Latina da cui andava virtualmente escluso il Brasile, di lingua portoghese, anche per via delle non facili relazioni diplomatiche tra Roma e Rio de Janeiro (allora Brasilia non esisteva ancora). Non c’erano ricorrenze speciali da celebrare in quel 1906, ma solo la volontà di instaurare un legame solido e, in buona misura, nuovo con un continente profondamente italiano e non solo per la più recente emigrazione, ma per quella più antica, specialmente in Argentina, Cile e Perù, che risaliva agli anni Venti e Trenta dell’Ottocento. All’inizio del secolo scorso, soprattutto in Argentina, c’erano già italo-discendenti di terza o quarta generazione cui si sommavano centinaia di migliaia di più moderno espatrio. Anche il Biellese si inseriva in quella operazione editoriale perché, tanto o poco, era inserito in un contesto di scambi commerciali da e, in maggior quantità, per il Sud America. Infatti, se quei paesi, nei quali i biellesi avevano un numero notevole di “parenti”, erano un giacimento di materie prime, erano altrettanto un mercato per i nostrani prodotti finiti. All’inizio del XX secolo, dall’Argentina arrivava una certa quantità di lana greggia, contenuta in fardi destinati ad alimentare la filiera della concia che passava per Mazamet, ma i tessuti di lana delle fabbriche biellesi laggiù avevano acquirenti? In realtà ben poco. Da Biella e convalli partivano filati di cotone e, per quanto riguarda la lana o i misti cotone/lana, perlopiù prodotti di maglieria. Ecco perché i grandi lanifici biellesi erano esclusi o, meglio, autoesclusi dal novero degli “inserzionisti” nel volume di Ernesto Trevisani. Ma chi era, invece, presente?
A titolo generale, l’autore volle segnalare che “nella mirabile efflorescenza graduale dell’industria tessile Italiana, ogni giorno, si può dire, vediamo trasformazioni ed innesti che ne vivificano il ramo, e accanto a nuovi rampolli germinare indipendentemente antiche forze staccate da validi tronchi. Il florido Biellese, così ricco di stabilimenti lanieri e cotonieri, ne offre continuamente l’esempio. Quivi gli opifici si sono moltiplicati con fortuna; la produzione corre trionfante su quasi tutte le piazze del mondo, stando degnamente a fianco della migliore straniera; e oggi la gran lotta si concentra tutta quanta nello sviluppo delle fabbriche e nella perfezione dei prodotti, al nobile scopo di portar l’industria, se è possibile, ad un grado d’elevatezza e diffusioni anche maggiori”. E non solo, poiché: “non è facile incontrare – nella storia delle industrie italiane – una così limpida e precisa, e nello stesso tempo così ampia parabola ascendente, qual è quella percorsa dall’industria cotoniera, nell’Italia settentrionale, e specialmente nelle valli del Biellese. Sorta tre quarti di secolo or sono, essa aveva da lottare oltrecchè con la concorrenza straniera con l’impreparazione dell’ambiente”. L’elenco si apre con la casa Bellia Bernardo e Figlio di Pettinengo, della quale il volume tramanda che “non foss’altro che per la varietà degli articoli la produzione di questa Ditta è importantissima. L’articolo maglia-cotone, genere corrente in greggio e colorato, viene fabbricato dalla Ditta sociale Bellia e Maggia di Vercelli di cui il cav. Bellia è socio promotore e dove, oltre la tessitura a maglia, havvi la filatura cotone e di Vigogne”.
Segue il Maglieficio Antonio Boglietti di Biella. “Specialità della Casa (oltre la fabbricazione d’ogni articolo di maglieria in seta lana e cotone), il prodotto cioè che la fa emergere su tutte l’altre concorrenti, è l’«articolo diminuito» sistema Cotton che prima introdusse in Italia e del quale si mantiene unica fabbricante. La ditta Boglietti fu una delle iniziatrici fortunate nell’esportazione maglierie, e i suoi prodotti sono da tempo favorevolmente noti tanto nell’America latina quanto sulle più importanti piazze dell’Oriente, Indie, Africa orientale, tendendo ognora ad aumentare con nuovi sbocchi all’estero la cerchia larghissima delle sue relazioni”. Altra azienda citata è quella di Pietro Calliano, avviata al Thes di Biella. “Lo stabilimento Calliano inaugurato felicemente il primo gennaio 1906 presenta tutto l’aspetto d’un organismo florido completo, si da permettere fin d’ora i più lieti e salutari pronostici. Sotto la diretta vigilanza d’un proprietario tanto pratico e competente, il fabbricato non poteva a meno di riescire così. Misura già una superficie di 4000 mq. che verrà man mano allargandosi fino al doppio ed ha un salone per la tessitura e riparti speciali per le officine, la tintoria e il finissage […]. Notevole in questo opificio la vasca-serbatoio per i lavaggi, in cemento armato, sistema Hennebique di Parigi, della capacità di 600 metri cubi d’acqua la prima, crediamo, consimile in Italia”. Unico lanificio è quello indicato come Lanificio già Sella e C. di Valle Mosso, per il quale si ha solo la versione in spagnolo.
“Esta Fábrica de Lana cuéntase entre las más importantes del Bielles y de todas la más antígua. Fué fundada en la primera mitad del siglo pasado por el Senador Gió. Batt. Sella hermano del celebre Pietro Sella que fué el primero que introdujo en Italia las máquinas para la fabricación de la estofa […]. En el se fabrican estofas para Hombre, para Mujer y Flanelas de las cuales la Casa hace cuantiosa exportación á los mercados de Oriente y en América donde en Buenos Ayres tiene un Representante propio”. Chiudono la lista due cotonifici. Quello di Giuseppe Porta di Biella nel quale “nulla essi trascurando, perchè i tessuti in cotone a colori riuscissero ad uguagliarsi ed anche superare quanto di meglio veniva dalle fabbriche più ricche e migliori d’Italia e di Europa essi arrivarono ben presto a crearsi una clientela estesa, non solo, ma fedele e amica. Specializzando la fabbricazione della fazzoletteria in cotone colorato essi divennero i fornitori principali, per non dire quasi esclusivi del grande commercio che di questi prodotti si fa in Italia ed all’estero attivandone una vasta e diretta esportazione oltre mare”.
E quello dei Fratelli Poma fu Pietro (che aveva sede legale a Torino). Numeri impressionanti, quelli dei Poma, il cui “impero” era un “monstrum” logistico che contava cinque stabilimenti e migliaia di dipendenti. Il tutto basato sul cotone, prima nordamericano, poi mediorientale. Quello dei Poma era il più grande apparato produttivo del Biellese, un apparato non laniero, eppure capace di far sviluppare non solo chili o metri (“la tessitura di Miagliano produce annualmente non meno di un milione di chilogrammi di tessuti; nè minore importanza ha la tintoria”, precisava Trevisani), ma anche un welfare inedito nel Biellese per dimensioni ed efficacia. Non strettamente biellesi, ma considerabili come tali c’erano anche la Manifattura di Lana in Borgosesia, con sede a Torino, e il Lanificio Basilio Bona di Caselle Torinese. Il contingente nostrano non aveva altro da offrire, anche se altre ditte avevano rapporti con l’America Latina, per esempio il Lanificio Giuseppe Barberis Canonico che vendeva filato di cotone all’imprenditore meneghino Antonio Gerli a Buenos Aires fin dal 1903, ma che non lasciò traccia nel volume in oggetto. Cotone, non lana. Ancora una volta, il tessile biellese dimostrava di avere un’altra anima.