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Rivetti, Famiglia
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Dalle modeste origini sullo Strona (1872) ai grandi stabilimenti a Biella, i Rivetti hanno impresso un segno fondamentale per la storia dell’industria biellese. Nel 1971 la chiusura dei cancelli della fabbrica: dall’ascesa al declino
(da Rivista Biellese, aprile 2010. Articolo frutto dall’elaborazione della tesi di laurea di Federica Garola L’attività della famiglia Rivetti in campo tessile, 1916-1971. Prime ricerche documentarie, discussa il 15 luglio 2008 con il prof. Claudio Bermond presso la sede di Biella della Facoltà di Economia dell’Università di Torino).
L’industria laniera biellese, nel trentennio successivo all’Unità, compì progressi non indifferenti. [1] Protagonisti di questi sviluppi del lanificio furono i “nuovi fabbricanti” tra i quali spiccava la famiglia Rivetti. Giuseppe (Crocemosso 1816-Biella 1899) era stato assunto non ancora decenne, con il padre Giovanni Battista, come attacca-plotte nella “macchina vecchia” del Lanificio Sella di Vallemosso e, più tardi, dopo aver guadagnato da 30 a 40 lire al mese a «fare le marelle», era passato ai reparti di filatura rimanendovi per quasi un trentennio.[2] Intorno a quel valligiano crebbero quattro figli: Pietro (Crocemosso 1846-Biella 1926) che, frequentate le scuole elementari, lavorò per più di vent’anni, prima come attaccafili, poi come filatore e tessitore presso l’opificio della Gio. Giacomo e f.lli Sella; Quinto (Crocemosso 1853-Biella 1902), tolto anzitempo dalle scuole elementari di Mosso per aiutare la famiglia nei lavori campestri, prese undicenne la via della fabbrica come apprendista di cardatura presso i Gilardi di Cossila, quindi per 3-4 anni venne assunto in qualità di filatore nell’opificio dei Negri ad Occhieppo Superiore; anche Ottavio (Crocemosso 1857-Cossila Favaro 1914) si prestò giovanissimo ai più umili mestieri di fabbrica; infine il primogenito Giovanni Battista (Crocemosso 1842-Graglia 1920), ordinato sacerdote nel 1865, assunse più tardi il vicariato foraneo di Graglia.
Nel 1872 Giuseppe, all’età di 56 anni, decise di mettersi in proprio ed avviò, nel periodo in cui nel Biellese, ad imitazione di Prato, stava prendendo piede l’uso della lana rigenerata, un’attività innovativa: la sfilacciatura degli stracci. Padre e figli si stabilirono lungo le rive del torrente Strona, generoso datore d’acqua motrice, attraverso affittanze di fabbriche e fabbrichette inoperose entro le quali dormiva nella ruggine qualche macchina spesso antiquata.[3]
La prima dotazione dell’azienda Rivetti, un piccolo locale preso in affitto l’8 dicembre 1872 per poco più di 1.000 lire annue in un’ala dello stabilimento Felice Cartotto a Vallemosso, era modesta: un apritorio da filandre, una mule-jenny francese da 300 fusi ed un assortimento di carde. Ma il campo di attività scelto, la sfilacciatura di stracci, era tra i più recenti e portò la famiglia, nel giro di meno di cinque anni, alla gestione di quattro fabbriche. Nel 1877 presero in affitto a Pianezze dalla famiglia Mino un piccolo opificio con folloni e lavaggio; nel 1879 assunsero la direzione dell’azienda Musso di Callabiana che venne poi distrutta da un incendio nel 1888; nel 1881 affittarono la fabbrica Viotti a Pianezze e una parte della fabbrica Galoppo a Biella.
Nel 1886 accentrarono le lavorazioni in un unico impianto a Biella, che presto ebbero in regolare proprietà, che divenne la fabbrica del loro avvenire, la loro sede madre. Lavorando concordi e di buona lena, raddoppiarono e triplicarono addirittura la produzione da un anno all’altro.
La nascita di un’impresa moderna
Nel 1899 l’impresa contava 1.200 operai, saliti a 3.000 nel 1922. Quinto, detto Quintino, fu la figura più rappresentativa della famiglia, non solo per la sua ingegnosità pratica, ma per l’audacia che ne caratterizzò l’attività di imprenditore e di uomo d’affari. Diresse lo stabilimento insieme al fratello Ottavio, fu il creatore, l’anima e la mente dell’azienda ed a lui spettò il merito di averla portata al grado di prosperità noto, in quanto seppe conciliare la bella apparenza dei tessuti alla modestia dei prezzi. Per tacito accordo, venne subito riconosciuto dai fratelli come l’unico in grado di condurre l’impresa familiare e, appena ventenne, divenne il factotum della ditta: contabile, macchinista in carderia, filatore, facchino all’occorrenza, padrone e direttore. [4] Organizzò direttamente l’incetta di stracci, adottò il trasporto interno di merci nella valle dello Strona tramite una funivia, applicò il sistema della «ritoccatura con tinta» delle pezze e progettò un modernissimo impianto di filatura pettinata che portò l’azienda all’avanguardia in tale settore di lavorazione. [5] La sua ditta, il cui sviluppo era completo, in grado di curare direttamente la lavorazione degli articoli pettinati e cardati, dalla materia prima al tessuto finito, dall’acquisto della lana greggia, alla vendita al consumatore dell’abito confezionato, fu tra le prime ad introdurre l’illuminazione elettrica e poi l’impiego dell’energia elettrica quale forza motrice. [6]
Sul piano personale, Quintino si dedicò alla lettura di testi di storia, economia e grammatica e allo studio del francese, impegnandosi nella stesura della corrispondenza lavorativa che gli permise di sfoggiare nei rapporti commerciali la sua pronuncia di “francese di Biella”. La sua vita privata fu segnata dall’amore per la famiglia e dai buoni rapporti con gli operai, con i quali si comportò sempre in modo onesto, e con gli industriali, i quali sovente si affidavano a lui per risolvere le loro liti.
Il 24 dicembre 1899 fu nominato cavaliere della Corona d’Italia e, quando venne istituito l’ordine dei Cavalieri del Lavoro, fu uno dei primi compresi nella lista pubblicata sui giornali, anche se la morte sopraggiunse prima che arrivasse la conferma ufficiale. Il 9 aprile 1902, all’età di soli 49 anni, mancò dopo una breve malattia, ma la fabbrica aveva già una posizione solida e di sicuro avvenire. [7]
Dopo la scomparsa di Quintino e Ottavio, subentrarono i figli Ermanno, Guido Alberto Mario e Benedetto che, insieme ai cugini Giuseppe, Eugenio, Attilio, Ezio Oreste e Adolfo, formarono la promettente seconda generazione che si ritrovò, con lo scoppio della guerra, a fabbricare per la prima volta panno grigio verde. Il lanificio, sotto la guida di Oreste, riuscì a tessere una tale quantità di panno militare da superare ogni altro stabilimento, anche quelli più ampi del Veneto, riuscendo, così, a coprire la quarta parte della produzione italiana. [8]
Dopo il conflitto, le aziende tessili biellesi, e non solo, si trovarono a dover affrontare un periodo di risanamento della situazione economica, in quanto dovettero lanciare sui mercati italiani ed esteri nuovi articoli per rimpiazzare i vuoti lasciati dall’industria tedesca durante l’imperversare della guerra.9 I Rivetti compresero che il problema dell’avvenire dell’industria si basava su due cardini: lo sviluppo dell’esportazione e l’incremento della produzione dell’abito confezionato. Per il consumatore bisognava fabbricare abiti a buon mercato realizzandoli in serie. [10]
Cominciò, così, un’altra fase dell’attività dei Rivetti che entrò, con i suoi capitali, nella ditta Donato Levi e Figli di Torino, che assunse poi il nome di Gruppo Finanziario Tessile, la quale diede un forte impulso alla fabbricazione degli abiti in serie, anche attraverso il lancio dei nuovi abiti da lavoro operaio confezionati con la fibra del ramié [11] dalla Manifattura Italiana del Ramié, di loro proprietà e avente lo stabilimento a Lucca.
Uno degli industriali che, negli anni Trenta, si distinse per attivismo e particolare influenza sulla vita politica fu Oreste Rivetti. Dopo il primo conflitto mondiale fu nominato direttore capo dell’Opificio militare e, durante la seconda guerra mondiale, fu delegato del Fabbriguerra per l’industria laniera e commissario dell’Associazione laniera. [12] Con grande determinazione si impegnò a rompere l’isolamento che aveva sempre condizionato in senso negativo il Biellese. L’autostrada Torino-Milano, che venne inaugurata nel 1932, una delle prime autostrade del paese, fu da lui fortemente caldeggiata per ottenere che il tracciato passasse nelle vicinanze di Santhià e toccasse il crocevia di Carisio-Buronzo, discostandosi dal più razionale collegamento diretto tra le due città, che avrebbe dovuto passare vicino a Vercelli. Nel 1934 Oreste Rivetti ebbe un primo riconoscimento della sua attività con la nomina a Cavaliere del Lavoro, mentre nel 1941 il re gli conferì il titolo di Conte di Val Cervo.
Gli anni di guerra
Nel 1939 Mussolini fece visita allo stabilimento di Biella dei Lanifici Rivetti, dove venne ricevuto da Oreste, Giuseppe, Ermanno, Adolfo e Attilio e dalle maestranze occupate nel gruppo aziendale. [13]
Durante la visita premiò 112 “fedelissimi al lavoro”, che avevano assommato più di venticinque anni di anzianità negli stessi stabilimenti, attraverso la consegna di un premio in denaro e di una pergamena ricordo.
L’interesse della famiglia Rivetti, nel periodo della guerra, non si limitava alla sola produzione; volgendo il pensiero agli operai chiamati alle armi, fece un versamento di lire 50.000 al Fascio di combattimento di Biella per opere di assistenza e firmò assegni, che variavano da lire 1.000 a lire 5.000, per tutti gli operai. La società, inoltre, si occupò delle esigenze di svago e riposo degli operai mediante versamenti di sussidi al Dopolavoro comunale di Biella, e cercò di facilitare il compito relativo all’istruzione dei figli, attraverso l’istituzione di una scuola elementare che aveva anche lo scopo di promuovere corsi serali di filatura e tessitura. [14]
Secondo le testimonianze di trenta lavoratrici di alcuni stabilimenti del Biellese, tra le quali dodici dei Lanifici Rivetti, raccolte dalla Cgil di Biella, durante il conflitto prima e l’occupazione tedesca poi, le maestranze dei Lanifici Rivetti vivevano una condizione di quasi “privilegio” sotto il profilo alimentare, in quanto nella mensa veniva distribuita la minestra, settimanalmente veniva distribuito un pacco di vettovaglie e lo spaccio aziendale era sempre rifornito di generi altrove non reperibili (verdura, formaggio e anche carne) forniti dalle truppe di occupazione. [15]
Al termine del conflitto, gli stabilimenti risultavano non aver subito danni causati dalle azioni belliche, ma la società si trovò ad affrontare il problema della ricostruzione e della ripresa della normale attività lavorativa. [16]
Il declino
Nel 1953, Stefano Rivetti, figlio di Oreste e conosciuto anch’egli come “il conte”, andò in Calabria alla ricerca di una località dove avviare un nuovo stabilimento industriale che aprisse le porte a 250 apprendisti, contando sull’aiuto finanziario della Cassa del Mezzogiorno e delle banche di credito mobiliare pubbliche. Il giovane riuscì ad ottenere un finanziamento iniziale dalla Cassa di un importo pari a lire 2 miliardi 200 milioni per costruire il nuovo stabilimento a Maratea.
Dopo la morte di Oreste Rivetti, avvenuta il 2 gennaio 1962, iniziarono le prime difficoltà del gruppo Rivetti. Nel 1965 il Lanificio di Mara-tea evidenziò un’improvvisa perdita. L’azienda venne sanata, grazie all’intervento del Mini-stro del Tesoro dell’epoca, Colombo, che fece depennare al conte un debito verso l’Imi (Istituto mobiliare italiano) per complessivi 5 miliardi di lire, ma l’ingresso dell’Imi nel Lanificio di Maratea coinvolse anche le altre aziende di proprietà dei Rivetti. [17]
La crisi che stava attraversando il gruppo Rivetti si aggiunse alla crisi del tessile che colpì il Biellese negli anni Settanta. Nel giro di poco tempo vennero licenziati 680 dipendenti portando a trecento i lavoratori ancora in forza all’inizio del 1971. Il tentativo di risanamento, ottenuto attraverso un riassetto societario derivante dalla concentrazione con la Pettinatura San Paolo di Biella, in realtà non servì a molto; i cancelli del gruppo tessile biellese chiusero i battenti il 6 settembre 1971. Presso i Lanifici Rivetti rimase attivo solo il reparto carderia con 40 addetti e 25 ausiliari. [18]
Dopo la chiusura dell’attività produttiva, la società Lanifici Rivetti s.p.a. rimase ancora in vita per amministrare soprattutto il suo consistente patrimonio immobiliare. [19]
Il 21 dicembre 2004 è stata incorporata nella società Sicer s.p.a., una società di costruzioni edili e restauri, avente sede in Biella, con conseguente cancellazione dello storico marchio dal Registro imprese della Camera di Commercio. [20]
Questo articolo nasce dall’elaborazione della mia tesi di laurea dal titolo L’attività della famiglia Rivetti in campo tessile, 1916-1971. Prime ricerche documentarie, discussa il 15 luglio 2008 con il prof. Claudio Bermond presso la sede di Biella della Facoltà di Economia dell’Università di Torino.
Note
1 Il Biellese e l’arte della lana: fattori competitivi e logiche del successo, dattiloscritto a cura di D. Presa, Biella, 2008.
2 V. Castronovo, L’industria laniera in Piemonte nel secolo XIX, Torino, ILTE, 1964, p. 42.
3 «Laniera», rivista mensile, a. LXXVI, gennaio 1962, p. 5.
4 V. Ormezzano, Esempio biellese di volere e potere: Quinto Rivetti, Mosso S. Maria, Fulgenzio Regis, 1902, pp. 18-19.
5 V. Gradito, A. Buggero, Il Biellese terra di lanaioli, Biella, Gradito, 1995, p. 30.
6 Biella che lavora: il lanificio Rivetti, in «La Rivista Biellese», a. VI (1926), n. 2, p. 7.
7 V. Ormezzano, op. cit., pp. 33-34.
8 «Laniera», rivista mensile, a. LXXVI, gennaio 1962, p. 7.
9 F. Scardin, Nella Manchester d’Italia, in «L’Il-lustrazione italiana», n. 13, 1° aprile 1917.
10 Biella che lavora..., op. cit.
11 Il ramié era una fibra tessile vegetale poco conosciuta in quegli anni, ma che aveva qualità di resistenza e lucentezza, e che poteva avere infinite applicazioni, dalle biancherie finissime da signora alle corde ad uso navale.
12 «Il Biellese», 4 gennaio 1962.
13 U. Mosca, Biella nel ’900: fatti, personaggi e immagini, Biella, Lineadaria, 2007, p. 20.
14 Archivio di Stato di Biella, Fondo atti societari, s.n., Bilancio societario, Relazione consiglio di amministrazione, a. 1939.
15 S. Vella, La condizione delle donne biellesi durante la guerra nella memoria delle operaie, visibile sul sito internet: www.storia900bivc.it
16 Archivio di Stato di Biella, Fondo atti societari, s.n., Bilancio societario, Relazione consiglio di amministrazione, a. 1945.
17 Industria e turismo al sud nell’esempio di Rivetti: ingenue speranze e forti delusioni in uno spaccato della storia di Maratea, reperibile sul sito internet: www.calderano.it
18 «Il Biellese», 7 settembre 1971.
19 Tra l’elenco dei soci e degli altri titolari di diritti su azioni o quote sociali al 31 marzo 2003, risultava proprietaria di una quota di capitale pari a nominali 384.035,00 Euro su un totale di 1.750.000,00 Euro anche la Sella Holding Banca s.p.a.
20 Camera di Commercio di Biella, Archivio Registro imprese, Visura storica società di capitali.
Federica Garola
Rivetti
da www.treccani.it
Dai primi anni Cinquanta, altri esponenti della quinta generazione Rivetti stavano portando avanti un’esperienza completamente diversa. Nel 1954, i figli di Adolfo, Franco (1919-1986), Silvio (1921-1961) e Pier Giorgio (1927-1983), cedettero allo zio Oreste la loro quota di partecipazione nelle aziende della famiglia – il 34%, ereditato nel 1946, alla morte del padre – e con il ricavato acquisirono la piena proprietà del GFT (Paris, 2006, p. 104; MAMe, voce GFT).
Nel 1949 Silvio, appena terminato il liceo, aveva compiuto un viaggio di istruzione negli Stati Uniti, durante il quale si era imbattuto nell’azienda tessile Palm Beach incorporated, che fabbricava un prodotto allora ignoto in Europa, l’abbigliamento confezionato su misure teoriche, quelle che oggi si chiamano ‘taglie’ (Rivetti, 2019).
Silvio, come direttore tecnico del GFT, applicò alla produzione dell’azienda il sistema statunitense delle taglie; rilanciò il marchio di confezione maschile FACIS (Fabbrica Abbigliamento Confezioni In Serie) – creato nel 1932, ma che non aveva conosciuto fino ad allora un vero sviluppo – con una strategia d’immagine basata su grandi campagne pubblicitarie e, soprattutto, sull’uso di taglie non più teoriche ma calibrate su 25.000 concreti campioni maschili: l’azienda, infatti, nella seconda metà degli anni Cinquanta ‘prese le misure’, in senso letterale, a circa 25.000 italiani, cosa che permise di elaborare un ‘sistema’ di trenta taglie (cresciute poi fino a centoquaranta) – ideato da Giuseppe Tartara, direttore dell’Ufficio ricerche statistiche e studi di mercato del GFT e quindi di vestire una massa considerevole di clienti, per la prima volta in Italia, con abiti non sartoriali. Per la vendita, i tre Rivetti diedero vita a nel 1960 un’apposita catena di negozi, la MARUS (Magazzini Abbigliamento Ragazzo Uomo Signora). Nel 1958, inoltre, avevano lanciato anche un marchio dedicato al pubblico femminile, CORI (COnfezioni RIvetti).
Nel 1971 le redini dell’azienda furono prese da un esponente della sesta generazione di Rivetti, Marco (1943-1996), figlio di Franco, che ristrutturò l’azienda e i suoi prodotti, soprattutto tramite accordi di collaborazione con famosi stilisti. Gli anni Ottanta videro una nuova espansione del gruppo, che arrivò a controllare trentacinque società di cui diciotto all’estero. A partire dal 1992, tuttavia il restringimento del mercato portò a una progressiva crisi dell’azienda, diventata acuta dopo la morte di Marco, nel 1996. Nel 1997 il gruppo venne assorbito dalla HdP (Holding di Partecipazioni industriali), e dopo alterne vicende chiuse definitivamente nel 2003.
L’avventura industriale dei Rivetti è tuttavia proseguita con un altro esponente della sesta generazione, Carlo (nato nel 1956), figlio di Silvio, entrato nel GFT nel 1975. Nel 1983 Marco e Carlo rilevarono il 50% della CP company; nel 1993 Carlo lasciò la GFT e acquistò la totalità delle azioni della CP, che in seguito prese il nome di Sportswear company e diede vita al marchio di abbigliamento Stone island. Nel 2010 Carlo cedette la Sportswear e creò la società Stone island, tuttora attiva, di cui è presidente e direttore creativo.