Giuseppe Nicodano, il “celebre pellegrino” di Vaglio Chiavazza
da "Eco di Biella" del 3 aprile 2023 [Danilo Craveia]
La “guerra” del 1896 tra il Regno d’Italia e la giovanissima Repubblica Federale del Brasile è uno di quegli episodi della nostra storia patria totalmente dimenticati. Nel 1896 in Brasile “scoppiò una violenta rivolta xenofoba anti-italiana che investì i nostri migranti che in realtà nella stragrande maggioranza erano semplici contadini […]: la rivolta assunse proporzioni talmente grandi e gravi (violenze, saccheggi, incendi e chi più ne ha più ne metta) che arrivarono a lambire persino certi edifici diplomatici italiani (San Paolo, Santos e Pernambuco)”. La vicenda è illustrata su italiacoloniale.com. Re Umberto I la prese molto male e fece allestire la “Squadra Navale dell’Atlantico” con l’obiettivo di attaccare il Brasile. In realtà, vista l’impossibilità logistica di condurre una guerra così lontano dall’Italia, l’intento era di spaventare i brasiliani. E così avvenne. Quando nave “Lombardia”, una torpediniera, giunse a Rio de Janeiro a terra si diffuse il panico. Ma anche la febbre gialla, che devastò la città. Alla fine, i marinai italiani aiutarono i “nemici” subendo decine di morti per l’infezione. All’arrivo di nave “Piemonte” non c’era più bisogno di combattere e fu raggiunto un accordo diplomatico onorevole per l’Italia.
Devo la conoscenza del personaggio di cui state per leggere a Luciano Donatelli. Era sua la fotografia che mi ha fatto scoprire Giuseppe Nicodano e la sua singolare storia. Storia che avevo promesso di pubblicare proprio a Luciano. Arrivo, purtroppo, un po’ lungo. Ma, a ben guardare, il tempo non conta più. Luciano è dove non è mai presto e nemmeno mai tardi, è sempre l’ora giusta per qualunque cosa, senza anticipi né ritardi.
La vicenda singolare di Giuseppe Nicodano è riassunta sulla fotografia di cui sopra, scattata da mastro Simone Rossetti a Biella l’11 maggio 1902. Tanto per cominciare fu uno “Specialista in Cappelli”, anzi addirittura “conosciuto sotto il nome di Specialista dell’Arte del Cappellaio”, con tutte le maiuscole al posto giusto a rimarcare il concetto, macché l’idea pura dell’uomo che fu il Nicodano col suo rinomato talento. Il fatto è che questa evidenziata attitudine artistica non sembra aver lasciato tracce indelebili nella storia del mondo… Probabilmente non ho cercato bene. L’aspetto e l’abbigliamento del Nicodano, d’altronde, non ammettono dubbi sulla sua reputazione. In effetti, tanta era la sua maestria nel fabbricare cappelli che la sua stessa testa ne è fieramente priva, con la chioma scriminata ma indomita e contigua a un connubio baffi-barba modello Cecco Beppe. E che dire della posa? A suo agio davanti alla macchina fotografica, il cappellaio insigne propone un incrocio di gambe dandy e un’impercettibile inclinazione sostenuta dal notevole ombrello. La lunga sciarpa scura drappeggiata alla spalla sinistra copre il taschino dal quale spunta, più che un fazzoletto, un tovagliolo. Della croce e della medaglia dorate, quest’ultima applicata sulla stampa in un fotomontaggio posticcio, si dirà dopo. Si torni allora alla didascalia (auto)biografica. Giuseppe Nicodano nacque a Vaglio Chiavazza il 15 febbraio 1856, ergo fu immortalato alla vigorosa sua età di quarantadue anni compiuti. Ben portati, non c’è che dire… C’è, invece, da (ri)dire sull’affermazione in merito a quel “nato da una delle più nobili famiglie del Biellese”. Ora, nulla contro la degnissima schiatta dei Nicodano, ma in secoli di trascorsa biellesità, i Nicodano non hanno mai dato del tu ai Ferrero di Masserano e della Marmora, ai Gromo, ai Dal Pozzo, agli Scaglia, ai Bertodano ecc. Antichi sì, nobilissimi no. Così come suona un po’ di eccesso di autostima l’attributo stampato sotto il ritratto: “Diplomatico del Secolo XIX”. Tutto può darsi e, come sopra, prendiamo atto di questa dichiarazione, senza però averne avuto riscontro alcuno. Diplomatico? Cioè ambasciatore, console, forse attaché…? Ma dove, e quando? Di sicuro il nostro suggestivo conterraneo visse una (brutta) esperienza in Brasile, in occasione della (quasi) guerra tra il Regno d’Italia e il Brasile del 1896 (la sintesi dei fatti in cima alla pagina). Giuseppe Nicodano, sempre con l’understatement che lo contraddistingue, non esitò a definirsi “Famoso eroe della rivolta del Brasile contro gli italiani nel 1896 il 26 di agosto”. Quale sia stata la ragione di detta fama eroica non è di dominio pubblico (difetto nelle ricerche, ci mancherebbe…), anche se è certo che il biellese ebbe a patire ferite e perdite patrimoniali su beni che aveva a San Paolo, tanto che il suo nome compare negli elenchi dei richiedenti risarcimento a carico del governo brasiliano.
Detto questo, eccoci alla parte più gustosa della dinamica esistenza del Nicodano. In effetti, il suo epigrafico “Celebre pellegrino” piazzato come un cavalierato proprio sotto il nome la dice lunga… Quindi, l’ex emigrante era anche e soprattutto un credente… Sì, ma non poteva che esserlo sui generis, cioè alla sua maniera. Attenzione alle date. Su “Biella Cattolica” del 26 arile 1902 (quindici giorni prima della fotografia di Rossetti), sotto il titolo “Un preteso pellegrino biellese”, si legge: “La Patria, del 24 aprile, narra: oggi un pellegrino piemontese, certo Nicodemo (?) Giuseppe, della Diocesi di Biella, si era introdotto in San Pietro con un nastro tricolore al collo e con una coccarda tricolore all’occhiello. Invitato ad uscire dai gendarmi, si dichiarò cattolico ma monarchico e liberale. Infine fu accompagnato alla porta, ove prima di allontanarsi fece notare ai gendarmi pontifici che, se essi non riconoscevano lo Stato italiano, era molto curioso che accettassero di essere pagati con monete degli «usurpatori». Parecchi astanti lo hanno applaudito”. La testata cattolica biellese prese, come si suol dire, le distanze e intese smontare la notizia. Quel cognome, “Nicodemo”, non era dei nostri e, più ancora, un vero pellegrino “avrebbe saputo che non era il caso di andare a Roma a far sciocchezze”. Una fakenews diremmo oggi. Anche perché, sempre secondo l’articolista di “Biella Cattolica”, è “una sciocchezza il voler contrapporre monarchico a cattolico: non c’è contrasto”. Infine, “non è credibile che un pellegrino biellese fosse così maleducato da rispondere in questo modo […]. Ripetiamo che non la può essere altro che una panzana”. I liberali massoni de “La Tribuna Biellese” non credettero ai loro occhi. Il giorno seguente sguazzarano nell’approssimazione dei colleghi baciapile rilanciando l’episodio romano e precisando che il “Nicodemo” era, in verità, un “Nicodano” (sbagliarono anche loro dandolo per vernatese, ma era un errore veniale). Dunque, biellese, biellesissimo, checché ne dicesse “Biella Cattolica”. Eh, già, anche i biellesi erano tanto cristiani quanto italiani e piuttosto fieri del Tricolore, con buona pace di Sua Santità e dei suoi sgherri. L’8 maggio (tre giorni prima di posare nello Studio Rossetti) il cappellaio rilasciò un’intervista alla compiaciuta “Tribuna Biellese”. Il profilo dell’intervistato. “È un uomo bruno, altissimo, dai modi distinti: da soli tre mesi è reduce dal Brasile dove esercitava la professione di cappellaio. A San Paulo nel Brasile era conosciutissimo nella colonia italiana, ed è venuto in Italia per una vertenza che ha col Ministero degli Esteri, perchè il bravo Nicodano, durante la rivoluzione Brasilena fu gravemente ferito, mentre difendeva contro una banda di saccheggiatori le persone e gli averi di connazionali italiani, per il qual fatto il Governo del Brasile dovrebbe pagargli un’indennità di L. 25.000 per mezzo del nostro Ministero degli Esteri, come indennizzo per le ferite sofferte”.
Il Nicodano pensò di approfittare dell’occasione del suo passaggio a Roma per andare a vedere il Papa, “ed essendo amante della patria e del suo Re, ha pensato bene di mettersi al collo un nastro coi colori italiani con appeso un crocifisso d’oro, memoria sacra, di famiglia ed all’occhiello una vistosa coccarda tricolore (bianco rosso e verde) con appesa una medaglia col ritratto del Papa. Insomma, egli aveva cercato con questa unione di emblemi di conciliare la chiesa con lo Stato”.
Non fu una gran pensata, bisogna riconoscerlo… Il suo sincretismo non fu apprezzato. “Poco dopo il suo ingresso a S. Pietro un prete napoletano che aveva notato il nastro coi colori dell’usurpatore, lo indicò ad una guardia nobile del Papa”. Da lì i fatti erano noti a tutti. “Appena fu fuori della, chiesa, si apersero le cateratte del cielo e sul buon Nicodano cadde una pioggia così fitta ed insistente da infracidirlo fino alla midolla. Ad onta di ciò il Nicodano si recò al telegrafo e mandò subito il seguente dispaccio a S.S. Leone XIII”. Un telegramma al Papa… Zuppo e tignoso. E in quella sua divisa da celebre pellegrino pedalato senza tante cerimonie dai buttafuori di San Pietro il Nicodano si presentò dal fotografo. E poi si presentò anche, qualche giorno dopo, alla conferenza tenuta dell’azionista cattolico don Alessandro Cantono in quel di Vaglio Chiavazza. Si fece notare anche lì, per modo di dire, con un suo intervento (esilarante, stando alla cronaca del socialista “Corriere Biellese”) sulla possibilità di conciliare Stato e Chiesa. Poi l’oblio. Un ultimo cenno. Nel 1928 era a Reggio Emilia. “Il Cav. Giuseppe Nicodano, nativo di Pavignano – così “Il Popolo Biellese” del 20 settembre – è stato allievo detta nostra Regia Scuola Industriale Q. Sella ed attualmente copre l’importante carica di Direttore Generale della Soc. Anonima Setificio Nazionale, che ha i suoi grandiosi stabilimenti a Padova, a Ferrara ed a Reggio Emilia”. Aveva settantadue anni ed era ancora in pista. Tutto qui, storia scritta, promessa mantenuta. Ma Luciano Donatelli, adesso, la conosce meglio, in tutti i dettagli. Avrà già fatto amicizia con la buonanima di Giuseppe Nicodano.